È stata un’occasione per Nsc, il Norwegian Seafood Council, di diffondere la cultura del pesce nordico con il grande pubblico italiano. Baccalà e merluzzo sono stati al centro della seconda edizione di Roma Baccalà, kermesse capitolina tenutasi a settembre a Roma nella cornice del quartiere della Garbatella.
Norwegian Seafood Council è un istituzione che collabora in prima linea con le industrie norvegesi della pesca e dell'acquacoltura. Una rete fra pubblico e privato che dà luogo ad una esemplare intesa per valorizzare il prodotto, la sostenibilità e la tutela delle specie, ma anche l’economia e l’occupazione territoriale.
L’Italia è il primo mercato per il Norwegian Seafood Council. Consumiamo salmone soprattutto, ma anche il merluzzo, il baccalà tradizionale e lo stoccafisso che appartengono al nostro patrimonio culturale enogastronomico fin dal Rinascimento. Basti pensare all’esistenza di organismi storici, come la Confraternita del Bacalà alla Vicentina, e a manifestazioni di successo, come questa kermesse romana, per capire quanto questa cultura sia ancora viva.
Tra gli eventi di Roma Baccalà anche il convegno a cura di Unicoop Tirreno “Quale Pesce per noi?”. Un focus per evidenziare come il baccalà sia divenuto un prodotto importante delle tavole italiane, apprezzato principalmente per le sue proprietà nutritive e per la sostenibilità con cui è prodotto.
Il convegno è stata occasione per fare il punto sul consumo di questo prodotto, sul suo incremento costante negli ultimi anni ma anche sulla mutazione del gusto verso prodotti semilavorati, facili da cuocere.
Riccardo Romano, category manager pesce di Unicoop Tirreno, conferma che il consumo di pesce aumenta di anno in anno. “Con la pandemia però, – ha osservato – gli acquisti si sono spostati dal bancone tradizionale al reparto in cui il pesce è confezionato, pulito e pronto da cuocere, e take away”. Il convegno ha anche messo in luce, grazie alle spiegazioni di Valentina Tepedino, veterinaria specializzata nel settore ittico, le differenze tra prodotti: “il merluzzo nordico salato e stagionato è l’unico a potersi chiamare baccalà”. Invece lo stoccafisso, è un merluzzo essiccato con procedure totalmente diverse.
“La Norvegia – ha spiegato Tepedino - ha elaborato una normativa serrata sulla pesca e la lavorazione del merluzzo, decidendo tra i primi Paesi al mondo, di chiudere delle aree di pesca e monitorarle costantemente in modo che non si soffra con le specie e la loro ripopolazione”.
Ogni barca non può superare la quota assegnata ed è controllata elettronicamente. Il pesce è dotato di un certificato di cattura e quindi monitorato fino alla fine della filiera che ha diversi organi di controllo imperniati sulla tracciabilità.
In questo quadro, l’aspetto più sorprendente è che il merluzzo nordico norvegese è un marchio volontario, una collaborazione tra pubblico e privato che è partita proprio dall’industria ittica stessa, dai privati, per garantire, attraverso il controlli, non solo la qualità, ma il rispetto delle regole che consentono il ripascimento, e una concorrenza leale. Il baccalà norvegese segue dunque una catena naturale dall'inizio alla fine e per quanto negli anni il metodo sia stato modernizzato, il prodotto finale è lo stesso che viene preparato ed esportato dalla Norvegia da più di 300 anni. Il sale estrae l'acqua e satura il contenuto liquido rimasto nel pesce, in un processo di maturazione che richiede solitamente diversi mesi. Quando il contenuto d'acqua del pesce essiccato scende al di sotto del 48%, può essere chiamato baccalà.
“Per quanto il processo di produzione sia piuttosto semplice, e gli ingredienti non siano molti, la produzione di baccalà norvegese di alto livello è tutt'altro che facile – ha dichiarato Gunvar Lenhard Wie, direttore Italia del Norwegian Seafood Council- nessuno strumento tecnico o scientifico può indicare quando il prodotto è pronto: è tutta una questione di conoscenza ed esperienza, che in Norvegia vengono tramandate di generazione in generazione”.
Italia mercato fondamentale
“L’Italia è sempre stata un mercato importantissimo per noi, penso che sia una nazione che ama il pesce storicamente come la Norvegia, ha solo cambiato il modo di mangiarlo”. Gunvar Lenhard Wie, direttore Italia del Norwegian Seafood Council, ci racconta il legame tra il pesce norvegese e il mercato italiano. “Dal 1400, quando per la prima volta arrivò nel porto di Venezia lo stoccafisso, abbiamo avviato questo commercio che nel tempo di è trasformato”. Se è vero infatti che noi importiamo il baccalà norvegese, la Norvegia a sua volta importa da noi il baccalà cucinato in modi nuovi e gustosi cui i norvegesi si sono abituati nell’era della globalizzazione.
Il prodotto con più volume di vendita in questo momento è il salmone norvegese, per le sue proprietà salutistiche e per la semplicità di consumo. Segue lo stoccafisso, poi il merluzzo fresco, e il baccalà.
Lo stoccafisso è venduto molto in retail dove segna una crescita costante in particolare nel Nord Italia. “Con la pandemia molte persone hanno scelto di riprendere piatti di cultura tradizionale che non potevano più mangiare al ristorante e che avevano bisogno di una preparazione elaborata, come lo stoccafisso”.
Ora lo scenario è cambiato; nel mondo Horeca risale di baccalà e lo stoccafisso per la cucina tradizionale, ma anche il salmone, ingrediente tra i più richiesti per il sushi. Nella GDO si sceglie il merluzzo e c’è una grande in crescita il consumo di piatti semilavorati o take away. “Nel futuro di Norwegian Seafood c’è una comunicazione sempre più orientata a evidenziare la sostenibilità e la qualità del prodotto e una volontà di lavorare sempre di più con il retail” afferma Gunvar Lenhard Wie.
Campagna in partenza
In ottobre partirà, ad esempio, una grande campagna per il salmone e per lo stoccafisso nel retail “dove il prodotto arriva al consumatore tracciabile, riconoscibile per origine, lavorazione e qualità. In particolare sui prodotti ready to eat mettiamo sempre il marchio di riconoscimento- conclude il direttore - perché vogliamo che il messaggio che passi è che mangiare in modo salutare può essere semplice e in questo momento in Italia il consumatore è molto orientato alla salute e al benessere”.
Il pesce per Unicoop Tirreno
Riccardo Romano, category manager pesce di Unicoop Tirreno, ha colto l’occasione per fare il punto sulla consapevolezza dei consumatori rispetto alle filiere ittiche che sono presenti nei banchi di vendita sia all’interno della GDO sia nelle pescherie di quartiere. Il manager ha ricordato che il consumo di pesce sta aumentando sempre di più negli ultimi anni. “Il banco del pesce è frequentato dal 10% dei clienti Unicoop che spendono in media 15 euro per il fresco” afferma Romano. Le specie più vendute sono: frutti di mare, orate, branzini, salmone, pesce spada, calamari. Lo scorso anno il baccalà ha rappresentato il 2,7% del venduto totale in pescheria.
“Con la pandemia le vendite si sono spostate dal bancone tradizionale al reparto in cui il pesce è confezionato, pulito e pronto da cuore, e take away” afferma Romano.
Il manager osserva che negli ultimi due anni si fa sempre più significativa l’attenzione alla sostenibilità, e il consumatore apprezza i valori storici di Coop in questa direzione.
I consumi privilegiano il pescato locale e seguono la stagionalità della pesca. Unicoop ha anche completamente sostituito le cassette di polistirolo con nuovi tipi in plastica riutilizzabile e riciclabile.
Il lavoro del settore pesce consiste anche nel comprendere la definizione delle tendenze dei consumatori che a volte anche guidarle attraverso il banconista con i suoi consigli giornalieri. “Il consumatore sul prodotti di filiera controllata coop ci ha dato fiducia e per questo il nostro marchio di origine identifica un controllo di filiera fin dall’allevamento che contempla uno stringente utilizzo di mangimi di farine di pesce controllati, vasche in mare con spazi adeguati” afferma il manager. “Le cozze e la bottarga di muggine Fiorfiore, ad esempio, sono allevati in Sardegna con norme ancora più stringenti di quelle normalmente riservate al biologico”.