Nuova Castelli ricerca frontiere extra europee

Luigi Del Monaco, amministratore delegato
L'azienda di Reggio Emilia esporta il 70% della produzione. Fra i mercati del futuro Cina e Usa (da Mark Up n. 262)

Fondata a Reggio Emilia nel 1892, Nuova Castelli è in origine -sembra strano- un produttore di gorgonzola; strano, perché il gorgonzola non lo si associa istintivamente all’Emilia, ma alla Lombardia. L’azienda si è sviluppata negli anni acquisendo la proprietà di caseifici per la produzione di parmigiano reggiano e grana padano, oggi il cuore del business di Nuova Castelli che, dal 2014, è controllata da Charterhouse Capital Partners. Questo fondo di private equity ha portato Nuova Castelli in tre anni, e sulle ali di quattro acquisizioni, sul livello non proprio basso dei 500 milioni di euro di fatturato. Oggi Nuova Castelli è fra più importanti produttori e distributori di formaggi Dop come parmigiano reggiano, grana padano, gorgonzola, taleggio, mozzarella di bufala campana, pecorino toscano, e Stg (specialità tradizionali garantite).
Esporta circa il 70% della produzione. Fra i principali mercati internazionali spiccano
Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia, Russia, Scandinavia e Usa: lavora con propri
impianti di produzione e centri di stagionatura e confezionamento in Italia, Ungheria -per
la produzione di formaggio a pasta dura- e Polonia, cui si aggiungono diverse piattaforme
distributive fra cui le maggiori in Francia, Gran Bretagna e Polonia.
Che cosa cercano i consumatori esteri nel  prodotto italiano?
I consumatori stranieri, ovunque, apprezzano tantissimo l’italianità: essere italiano è
sinonimo di vivere e mangiare bene. L’italiano è portatore di un corretto stile alimentare, quindi non è questione solo di mero prodotto, ma di una cultura che sta intorno a questi cibi. Inoltre, il prodotto alimentare italiano è molto legato al territorio: questo radicamento regionale è il suo atout. Non è un caso che i prodotti più esportati siano le Dop, oltre alla mozzarella vaccina e di bufala.
La mozzarella di bufala è uno dei vostri prodotti di punta.
Esatto, è una specialità molto richiesta all’estero. I prodotti che vendiamo di più sono parmigiano reggiano, grana padano e, appunto, mozzarella di bufala. Seguono a discreta distanza la mozzarella vaccina e i gorgonzola. Tutti insieme rappresentano circa il 65% del nostro fatturato.
In quale area geografica italiana viene prodotta la vostra mozzarella di bufala?
La nostra è una Dop realizzata con latte proveniente da allevamenti accuratamente selezionati: il marchio è Mandara. I nostri top client della distribuzione europea -inglesi e francesi in primis- prevedono per capitolato l’ispezione degli stabilimenti prima dell’acquisto, richiedono le certificazioni, e stabiliscono precise graduatorie di qualità e affidabilità. La serietà dell’approccio è dunque fondamentale.
Il concetto d’italianità può inglobare anche la materia prima?
La territorialità è insita nel concetto di prodotto Dop, che dev’essere realizzato con latte italiano del territorio specifico: i disciplinari prevedono l’obbligo di produrre in una determinata area geografica. Certo, l’Italia non è autosufficiente dal punto di vista della produzione di materia prima: nel latte il nostro paese è un importatore netto. L’Italia consuma circa 16,2 milioni di tonnellate di prodotti lattiero-caseari equivalenti, produce 11,3 milioni di tonnellate, ne esporta 3,8 milioni: vuol dire che circa la metà dei consumi di prodotti lattieri in Italia è realizzata partendo da latte estero. E sappiamo che i principali esportatori europei di latte sono Germania e Francia.
La produzione di latte su grande scala prevede caratteristiche morfologico-territoriali -molta acqua, spazi aperti- che il nostro Paese possiede in misura minore di altri; le quote latte hanno poi limitato la produzione e lo sviluppo quantitativo dell’industria italiana: dall’aprile 2015 non ci sono più, ma questo ha creato aumenti indiscriminati.
Quali sono per voi i mercati di sbocco dei prossimi anni?
Abbiamo una presenza consolidata in Francia, Germania e Gran Bretagna, una piccola società negli Usa, e stiamo pensando di svilupparci nei paesi asiatici dove riscontriamo un forte interesse per il prodotto italiano: la Cina ha di recente incluso fra le Dop italiane il
grana padano, il parmigiano e anche la mozzarella di bufala, come parte di un accordo in base al quale Unione Europea e Cina riconosceranno una lista di 200 indicazioni geografiche. In questo elenco ci sono 26 Dop italiane -fra le quali 7 formaggi come taleggio, pecorino romano, gorgonzola- 25 francesi e 12 spagnole: siamo quindi il primo paese per Dop. Il consumo cinese di prodotti lattiero-caseari è ancora bassissimo: la sfida sarà studiare nuove occasioni di consumo per sviluppare il mercato.
Anche gli Usa sono molto importanti per la vostra attività.
Certo, e in prospettiva lo saranno sempre di più. Abbiamo acquisito uno stabilimento nell’Upper State di New York, per produrre mozzarella e ricotta.
E i dazi di Trump?
Noi abbiamo uno stabilimento di proprietà, quindi i dazi ci riguardano in misura minore. Non credo che Trump metta i dazi ai prodotti fatti e commercializzati dagli Usa negli Usa.
Comunque, dazi o non dazi, il mercato Usa è molto competitivo, perché è già presidiato da operatori attivi da moltissimi anni: negli Usa il canale importantissimo è il food service, e la maggior parte dei formaggi viene utilizzata come ingrediente della pizza. Le abitudini alimentari americane non prevedono il consumo del formaggio come da noi in Europa.
L’Italian Sounding è un fenomeno solo negativo, o con risvolti positivi per la diffusione del prodotto italiano all’estero?
Un prodotto alimentare con un nome italiano ha sicuramente maggiori opportunità di successo ovunque nel mondo e quindi i “falsi italiani” sono sicuramente un problema per i prodotti originali: vendere un prodotto che ricorda solo in apparenza quello italiano, ma senza le caratteristiche autentiche e genuine di quello originale, distorce il mercato. È un fenomeno difficile da combattere: ed è una battaglia che doveva cominciare tanti anni fa. Le aziende da sole possono fare ben poco: ci vuole un sistema paese che promuova e valorizzi l’italian food. Negli Usa e nel Canada la maggior parte del mercato lattiero-caseario è in mano a famiglie italo-americane: i formaggi  Saputo non sono solo un marchio, ma il nome di una famiglia dalle origini italianissime. La soluzione è uscire dal
mercato della commodity e puntare su prodotti di fascia alta, sull’origine e sul marketing, per far capire la differenza, per esempio, tra un parmigiano reggiano stagionato 24 mesi e una banale copia.

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