Occorre capire il nuovo consumatore seguendolo per segmenti e rifugi

PREVISIONI 2011 – Boston Consulting Group: indicazioni destinate a perdurare anche in presenza di ripresa. (Da MARK UP 195)

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Marco Airoldi*

1. Colpisce l'attenzione un ritorno a semplicità, origine e ambiente domestico
2. Non vanno trascurati i target group di nuova intensità commerciale

Durante i primi quattro mesi del 2010 il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al rialzo la stima sul Gdp portandola da +1,9% a +4,2%. Questo dato, insieme alla diminuzione della disoccupazione registrata in molti paesi, fa presagire un lento miglioramento delle condizioni dell'economia mondiale. I risultati della nostra ricerca “Bcg Consumer Barometer” effettuata a marzo 2010 sui consumi in 14 paesi, mostrano un ritorno all'ottimismo e una convinzione che la ripresa, seppur debole, sia finalmente arrivata, con un conseguente abbassamento dei livelli d'ansia riguardo al futuro rispetto ai picchi del 2009, anche se le paure non sono del tutto scomparse. Quello che è successo negli ultimi 18 mesi è difficile da dimenticare e alcuni trend di consumo nati durante la crisi non spariranno del tutto.
Non in tutti i paesi analizzati però le cose stanno procedendo allo stesso modo. Da un lato troviamo Cina, India e Brasile, che guidano la ripresa con tassi di crescita importanti e quote minime della popolazione in ansia per il futuro. Dall'altro Spagna e Messico, dove il livello di preoccupazione è sensibilmente più elevato e diffuso in più del 70% dei consumatori. Nel mezzo vi sono paesi positivamente avviati verso il recupero, come Canada, Regno Unito, Stati Uniti e Russia, e altri che, pur non registrando eccessive preoccupazioni tra i consumatori, sono ancora fermi a tassi di crescita ridotti, come Italia, Germania, Francia e Giappone.

Di lunga durata
Dalla ricerca sono emerse otto nuove tendenze che caratterizzano le scelte dei consumatori a livello mondiale e che riteniamo, seppur ciascuna con intensità diversa, destinate a perdurare anche in futuro. Primo fra tutti è il “ritorno alle origini”: l'ansia da recessione ha fatto rivalutare ai consumatori valori come casa, famiglia, risparmio e ambiente, rispetto ad acquisti di lusso o legati allo status. In Italia, per esempio, il 52% considera il risparmio più importante rispetto a due anni fa, mentre il 48% alla stessa domanda risponde la stabilità o l'ambiente.
Il secondo cambiamento comporta un ritorno alla semplicità, dove si spende di più solo se si riconosce il valore aggiunto del prodotto, la sua qualità o maggior durata (trading up), che va considerata insieme al cosiddetto trading down, cioè la tendenza a risparmiare nell'acquisto di alcune categorie di prodotti, quelli nei quali ci si accontenta della value proposition di base. Gli italiani sono propensi a fare trading down su servizi generici come contratti telefonici (64%), abbigliamento e attrezzatura sportiva (55%), lusso, gioielli e accessori (53%); non sono invece disposti a rinunciare alla qualità anche a costo di spendere qualcosa in più quando si parla di cibi freschi (30%), abitazione (29%) e articoli alimentari e non per i bambini (27%).

Vantaggi reali
Il quarto cambiamento riguarda la maggiore attenzione verso i prodotti “verdi” che continuerà, anche se le aziende per conquistare i clienti dovranno riuscire a comunicare il vero vantaggio economico e ambientale legato all'acquisto. Il diffuso ottimismo ha diminuito la volontà di continuare a tagliare i costi e di rimandare le spese maggiori, ma anche nella ripresa non sempre “comprare” verrà visto come la cosa giusta, a meno che non ci sia una buona giustificazione.
Il sesto cambiamento è legato alla fedeltà dei consumatori verso gli store brand o i nuovi canali d'acquisto scoperti durante la crisi e che difficilmente verranno abbandonati. Una fedeltà sentita poco in Italia, dove solo il 31% degli intervistati ha dichiarato che continuerà a comprare prodotti a marca del retail durante la ripresa. Il cocooning, cioè la riscoperta della casa come rifugio dallo stress e come luogo di felicità e sollievo per la famiglia, e la riluttanza all'utilizzo del credito per gli acquisti sono le ultime due tendenze che la crisi ha lasciato in eredità. Il cocooning si è diffuso anche in Italia: coltivare degli hobbies e trascorrere più tempo con i propri cari sono diventati gli antistress più diffusi quando si è sotto tensione, indicati rispettivamente dal 44% e dal 40% degli intervistati.

Guardare alle donne
Queste tendenze si manifestano però in maniera differente. Il 45% dei consumatori dei mercati sviluppati ha dichiarato di voler tagliare i costi, ma l'atteggiamento è diverso a seconda del prodotto che si prende in considerazione: sono più riluttanti a spendere meno quando si parla di prodotti per migliorare la propria casa e trascorrerci il tempo meglio, cibi freschi e articoli salutari, mentre quando si parla di cene fuori, articoli di lusso o accessori alla moda si taglia più facilmente. Il settore delle automobili e quello dei viaggi hanno sofferto negli ultimi anni, anche se sembra che i consumatori stiano di nuovo prendendo in considerazione l'idea di acquistare una macchina.
Inoltre, va ricordato che non tutti i segmenti di clientela sono uguali; le donne per esempio controllano il 64% delle spese totali e le aziende devono tenere in considerazione le loro peculiarità per catturarne l'interesse. La ricerca inoltre ha individuato tre gruppi sociali più disponibili a spendere: i giovani single, le coppie senza figli e con un doppio stipendio e le persone in età matura dal reddito certo.

Best practice
Per catturare quest'accenno di ripresa dei consumi, è proprio su queste tendenze che ci si deve concentrare. Innanzitutto puntando sull'innovazione: è importante capire quali sono i settori o le nicchie di mercato in cui i consumatori si sentono insoddisfatti, introducendo delle soluzioni in grado di colmare queste mancanze. Come seconda mossa bisogna sforzarsi di comprendere meglio il mercato con cui ci si rapporta, analizzando le diverse categorie di consumatori e le loro specificità nelle reazioni e nei comportamenti. Il terzo punto riguarda i modelli di business: bisogna essere in grado di adeguare la propria struttura ai possibili scenari futuri, che dipenderanno dalla velocità e dalle modalità con cui si uscirà definitivamente dalla crisi.
La quarta best practice riguarda la capacità di controllo dei prezzi, monitorando sempre le mosse dei competitor. Il quinto aspetto riguarda l'offerta, che deve investire diversi canali e il cui mix dev'essere attentamente valutato, e la capacità dell'azienda, soprattutto attraverso i venditori, di catturare il consumatore negli ultimi “tre passi” prima dell'acquisto. Infine, è necessaria una gestione oculata dei costi e dei flussi di cassa, per liberare le risorse da attività improduttive e destinarle agli investimenti necessari per soddisfare i consumatori.

*The Boston Consulting Group

The new low cost, la capacità di allargare il target di riferimento
Antonio Achille*

Quando ci si reca al supermercato, o si acquista un viaggio aereo o, ancora, ci si avvicina a un prodotto tecnologico, siamo abituati alla possibilità di poter scegliere tra gli altri anche la versione del prodotto, o del servizio, a basso costo. Si tratta di un comportamento considerato ormai usuale, scontato. Meno noto è però ciò che sta accadendo sulle piazze internazionali, dove un crescente numero di nuovi brand che basano proprio su modelli low cost la propria offerta commerciale sta conquistando, a discapito dei player tradizionali, fette sempre più ampie di mercato.
Una vera e propria ondata di prodotti e servizi low cost, che ha dapprima invaso i mercati dei paesi in via di sviluppo, dove sia le aziende locali che le multinazionali si sono viste costrette a reinventare i propri modelli di business per intercettare le esigenze di una larga fascia di nuovi consumatori con limitate capacità finanziarie, e che oggi ha cominciato a registrare interessanti ricadute e importanti implicazioni strategiche anche nelle economie più avanzate.
I player locali che dominano i mercati emergenti stanno facendo leva sui successi in patria per coltivare ambizioni globali. Al contempo, parecchie multinazionali stanno mettendo a dura prova i propri competitor introducendo con successo nelle economie mature offerte a basso costo di successo. Sebbene alcune aziende tradizionali stiano cercando di rincorrere quest'onda, molte - a nostro avviso - potrebbero essere quelle che non arriveranno in tempo all'appuntamento.
L'approccio a un modello di business ispirato alle logiche del low cost rappresenta non solo un'opportunità per il consumatore tradizionale di acquistare lo stesso prodotto a un prezzo più basso, ma diventa la principale leva per conquistare una nuova e più ampia fascia di consumatori che mai si era potuta permettere un costoso manoscritto. Fu così per i caratteri mobili, che permisero di avvicinare alla lettura la nuova classe della borghesia cittadina, ed è stato così per Ryanair che, con la sua politica incentrata sui prezzi, ha convinto centinaia di migliaia di persone che mai avevano volato prima di allora a scegliere l'aereo come mezzo di trasporto anche per le destinazioni a medio-corto raggio.

Scelta ristretta
È ormai diffusa l'idea che low cost non sia sinonimo di bassa qualità. L'offerta di un limitato assortimento di prodotti senza compromettere la qualità è una delle colonne portanti di questa strategia. La scelta di Ford di colorare le sue modello T di nero perché era la vernice che asciugava nel minor tempo risponde proprio a questa logica: low cost non vuol dire di poco valore, semmai di ristretta possibilità di scelta. Non è nemmeno sinonimo di bassi margini di guadagno, come dimostra l'andamento dei profitti di realtà come McDonald's o, ancora, Ryanair. Realtà, inoltre, portatrici di un marchio capace di creare commitment e legare emotivamente i clienti alle vicende e alle scelte aziendali. Già una decina di anni fa, alcune società multinazionali hanno cominciato a capire che, per raggiungere i propri obiettivi di crescita, avrebbero dovuto investire nei cosiddetti paesi Bric (Brasile, India e Cina). Un esempio seguito poi da molte altre aziende, le quali hanno semplicemente trasferito lì i modelli utilizzati per le economie mature, andando di conseguenza a inserirsi nei segmenti alti dei nuovi mercati. Una scelta che in molti casi ha portato i frutti sperati, ma che - crediamo - non possa essere considerata vincente sul medio-lungo periodo. Per allargare il mercato e raggiungere significativi margini è infatti necessario guardare oltre il vertice della piramide e offrire un prodotto (o un servizio) in grado di attrarre una più larga fascia di nuovi clienti. Ne è un esempio Nokia, che ha presentato in India una nuova linea di telefoni low cost tagliati sulle esigenze di un mercato in enorme espansione. Oppure l'indiana Tata che con il modello Nano a 2.500 dollari sta rivoluzionando il concetto di mobilità di una popolazione prima abituata a muoversi sulle due e tre ruote. Un'operazione di successo che ha indotto la casa automobilistica ad annunciare, per il 2012, il lancio sul mercato occidentale di una Nano dotata di tutti gli standard di sicurezza e comfort europei a meno di 10.000 dollari.

Una necessità
Si tratta di un cambiamento che impone alle aziende tradizionali una seria riflessione su come si possa reagire a un attacco di simili proporzioni. Innanzitutto non va sottostimata la possibilità che i brand low cost possano aggredire le proprie tradizionali nicchie di mercato e non sottovalutare la componente di ricerca e sviluppo che si cela dietro questo nuovo modello di business. Solo superata questa prima fase, le aziende tradizionali potranno scegliere se accettare la sfida, magari dando vita a un proprio marchio dedicato, il più possibile indipendente dalle logiche high cost della capogruppo (ne è un esempio il caso di Jetstar Airways, proposta low cost di Qantas Group).
Un dato, per ora, è certo. Una grande azienda non può più evitare di possedere una robusta strategia low cost. Al contrario, le sarà difficile competere sui mercati emergenti e combattere la pervasività del low cost in quelli maturi. Dovrà fermarsi e pensare: meglio fare come i monaci del Quattrocento, impegnati a miniare i propri manoscritti sempre più velocemente e con maggior precisione, oppure aprire all'immaginazione e fare come quel tipografo di Magonza che alla fine ha inventato la stampa a caratteri mobili?

*The Boston Consulting Group


Allegati

195-MKUP-BCG
di Marco Airoldi / dicembre 2010

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