Oltre i selfie il nuovo social media “Poparazzi”. Opportunità per i brand?

© Poparazzi
Perseguendo l’obiettivo di eliminare l’approccio egoriferito di molti social e affinando gli aspetti di privacy, Poparazzi potrebbe aprire possibilità di immagine ai brand

The Anti Selfie Selfie Club” così si definisce in un articolo su Medium lo stesso team a lavoro dietro quella che, dopo Clubhouse, si è presa il posto di app del momento. Il suo nome è Poparazzi ed è un nuovo social media che vuole ribaltare le logiche statiche dei social fin ora utilizzati, evocando l’effetto paparazzi. Di fatti, non sono gli utenti, a pubblicare e condividere le proprie foto (i selfie sono vietati!): il compito di fotografare e postare le immagini è demandato agli amici che, come paparazzi appunto, possono condividere gli scatti dell’amico/a o di un gruppo di questi, andando a popolare i feed di quest’ultimi. Sull'app, gli utenti possono, quindi, scattare foto veloci chiamate "pops" (da cui il nome Poparazzi) o toccare più volte l'icona della fotocamera per creare GIF in stop-motion, e sempre e rigorosamente non in modalità autoscatto.

Il singolo, quindi, non ha, a priori, un grande potere decisionale su quello che si ritroverà nel suo profilo, se chi pubblica è un amico (salvo la sua immagine profilo che può scegliere); o meglio riceverà una notifica di pubblicazione di una foto in cui è taggato e poi avrà la possibilità di eliminarla o meno. Questo meccanismo sarebbe giustificato dal fatto che si tratta, in primis, di amici accettati dal singolo utente, i quali forniscono numero di cellulare e email, per poterne verificare l’identità. Per i non amici che vogliano, invece, pubblicare foto di un altro utente, questa deve essere preventivamente accettata. Poparazzi tiene a specificare che l’utente ha comunque sempre il controllo completo per rimuovere qualsiasi foto dal profilo che non piace. Tuttavia, già a partire dalla procedura di iscrizione al social con soli email e cellulare, la proliferazione di profili falsi e i casi di invasione della privacy, comportamenti predatori, stalking, minacce, molestie, intimidazioni, e incitamento ad altri a commettere atti violenti sono già una realtà sul social. Pur essendo ancora assai giovane (la versione 1.0 data febbraio 2021, mentre la release con cui ha iniziato a diffondersi è del 24 maggio 2021, esplodendo dapprima negli USA e solo recentemente anche in Italia) e con limitazioni d’utilizzo – ad oggi – al solo sistema operativo iOS, Poparazzi deve ancora concentrare la maggior parte dei suoi sforzi sulla questione sicurezza, tanto che molti commentatori a livello internazionale l’hanno definita un “privacy nightmare”, un incubo per la gestione e tutela dei dati personali.

© Poparazzi, rielaborazione Business Insider

Vi è, però, da mettere in luce quella che è la filosofia del social, al di là del suo funzionamento. Infatti, Poparazzi elimina la possibilità d’utilizzo di filtri di sorta, di caption di testo e persino dei like, allontanando qualsiasi prospettiva di “vanity metrics” a cui aggrapparsi, giustificando così la scelta: “Quando pubblichiamo noi stessi, siamo naturalmente attratti dalla condivisione solo dei momenti più eccitanti della nostra vita. Modifichiamo le foto e scriviamo didascalie spiritose nel tentativo di ritrarre il meglio di noi stessi. Il risultato: una competizione per l'attenzione dove nessuno vince”, e in risposta a questa questione l’app si propone come luogo in grado di “togliere la pressione della perfezione”.

Poparazzi, quindi, essere l’anti-Instagram che vuole cercare di andare contro lo stereotipo della finzione e perfezione sui social, proponendo un’alternativa che vuole essere al massimo goliardica dei “many unperfect, perfect moments” (tanti momenti imperfetti, ma perfetti) che scandiscono la vita, con particolare attenzione ai più giovani, che sono il pubblico target dell’app, che sta proprio puntando su di loro anche con azioni di marketing e comunicazione su piattaforme dove quest’ultimi sono assai attivi, TikTok in primis.

Interessante notare come, dietro quest’app, ci siano due fratelli quasi trentenni Austen e Alex Ma, che già nel 2019 avevano provato con un’app vocale chiamata TTYL (acronimo inglese di “talk to you later”, “ci sentiamo dopo”), che oggi sembra un  precursore meno fortunato di Clubhouse. L’idea alla base di TTYL era quella di creare uno spazio digitale in cui gli utenti si potessero connettere e parlare tra loro, in due o anche in gruppi più numerosi, con altri amici o contatti a loro volta online. Poparazzi nasce, quindi, sul solco di questa esperienza, con alla base l’idea di trovare un nuovo approccio alle features del social, sia questo basato su voce, oppure privato di “aggiunte patinate” (filtri & co.) che interferiscano con una condivisione ed interazione autentica.

Per di più, sulla base di quanto fin ora descritto, non si fa fatica a prevedere anche un impatto per i brand che un’app dalle funzionalità sopradescritte può determinare. La presenza di prodotti, sia come product placement o in tandem con un ruolo degli influencer rivisitato ad hoc, potrebbe aprire a nuove prospettive di pubblicità e monetizzazione. Lo stesso potrebbe valere per la presentazioni di nuovi servizi, che potrebbero essere “comunicati” con la leggerezza e spontaneità di una “paparazzata” tra amici, magari ad eventi ed happening dedicati.

Premesso che il nodo privacy è senz’altro quello più scottante con cui misurarsi in prima istanza, le aziende potrebbero ragionare su quello che un social nato con l’obiettivo di scardinare la rigidità di perfezione finta e in certi casi irrealistica potrebbe portare loro in termini di valore e nuova immagine.

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