Omnichannel per Mediamarket

l'intervista – Le nuove strategie di Saturn e Media World raccontate da Maurizio Motta, il direttore generale, fresco di nomina, del gruppo tedesco (da MARKUP 218)

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Chi è Maurizio Motta
Grande sportivo gioca a calcio, pratica running e nutre una vera e propria passione per il nuoto, per gli sport acquatici e la vela. Motta è un viaggatore che non disdegna i weekend su due ruote e da vero motociclista adora la sua moto.
Laureato in Ingegneria, ha iniziato la sua carriera in Apple. Marketing manager in IBM per 6 anni di cui due negli Stati Uniti. Passa poi a Zenith Groupe Bull come direttore marketing
e vendite, dopo cinque anni arriva in Compaq Computer con la funzione di general manager della Divisione Consumer. Entra in Mediamarket nel 1997.

Mediamarket dopo più di un ventennio con Pierluigi Bernasconi passa il testimone a Maurizio Motta, altro nome storico del gruppo leader nell'elettronica di consumo e di proprietà della tedesca Metro AG. Motta è sempre stato un manager "avanti", ottimo braccio destro di Bernasconi che a lui ha affidato nel tempo lo sviluppo e l'ampliamento dei vari canali, in particolare il web e l'e-commerce. Un posizionamento da "fiore all'occhiello" quello sul web, da cui oggi però ci si aspettano risultati che vadano a ripianare le mancate vendite del tradizionale, confrontandosi non solo con la crisi e con gli altri competitor, ma anche con i pure player che competono sul prezzo, puntando ad un consumatore sempre più disincantato e pronto a fare raffronti tra on e off line. Tempi di grandi cambiamenti dunque e la sfida attende il nuovo DG.

■ Maurizio Motta e Pierluigi Bernasconi: quali differenze emergeranno?
Nessuna per certi versi, tante per altri. Le idee di espansione hanno respiro di lungo termine, per cui ci saranno realizzazioni condivise con Bernasconi. Sarà più mia l'accelerazione dell'integrazione fra internet e store fisico. Diversa, almeno in parte, è la posizione rispetto ai piccoli negozi: sono convinto che questo non sia il momento ideale per fare sperimentazioni, non ce lo possiamo permettere e dobbiamo concentrarci sull'efficientamento delle formule che funzionano.
Così come è più recente è il riposizionamento che stiamo avviando fra Media World e Saturn.
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■ Sentirete la mancanza del Bernasconi personaggio politico? Lei come si muoverà da questo punto di vista?
Lavorando in un gruppo come questo non si può sfuggire a impegni di quel tipo. Ma saranno certamente meno. Metteremo molto di più in mostra quello che fa l'azienda e ci sarà una minore personalizzazione. Manterremo il nostro ruolo di riferimento, ma in maniera diversa. Ovviamente speriamo che il mercato ci seguirà, perché è impensabile riuscire in un'azione solitaria.
Manca un tavolo di confronto fra chi fa il distributore, la produzione e chi fa servizi, per capire quale potrebbe essere la vera ipotesi di modello di business sostenibile. Non lo è solo internet, non lo sarà più a breve il solo negozio fisico; opportuno sarebbe sedersi e ragionarne insieme.

■ Ci sono nuovi eletti del Parlamento non tutti favorevoli alla grande distribuzione. Che posizione prenderete?
Saremo accanto a Federdistribuzione, soprattutto per quanto riguarda le aperture domenicali e la presenza di nuovi centri commerciali. Faremo di tutto affinché le posizioni acquisite non vengano rimesse in discussione.

■ Due parole sul nuovo contratto del marketing operativo?
Potrei ripeterle il no-comment già espresso in altra occasione. Quello che posso dire è che come gruppo faremo di tutto, in questo momento, per non aumentare, in alcun modo il disagio sociale. Abbiamo ancora delle aree di saving che metteremo in campo. Ovviamente, se il perdurare delle difficoltà di mercato dovesse proseguire per altri cinque anni o più, anche l'attuale posizione potrebbe diventare per noi insostenibile.

■ Evolvere sembra imprescindibile ...
Sì. Ci sono cambiamenti in atto e riguardano soprattutto il modello di business: sempre di più passeremo da quello classico basato sui negozi piuttosto statico, e - come avviene in questi mesi - in fase di leggera contrazione, all'e-commerce in espansione, ma senza numeri sbalorditivi. Per noi, l'e-commerce vale un'ottantina di milioni su 2,5 miliardi di giro d'affari complessivo, ed è cresciuto del 20% nell'ultimo esercizio e ci aspettiamo un incremento del 25% per il 2013. Di fatto, l'e-commerce segue le dinamiche del mercato generale, così a grandi linee: se il negozio è al -10 l'e-commerce cresce di 10 punti; se il negozio è intorno allo zero incrementa del 20%. Lo spread tra fisico e digitale c'è, ma resta costante rispetto alle oscillazioni di mercato. Attualmente, internet vale in Italia attorno al 6% sul versante delle vendite al consumo, il che tecnicamente ci fa supporre che, a questo ritmo di crescita, impiegherà circa 5 anni per arrivare al 16%: ovviamente la realtà potrebbe essere anche differente perché le dinamiche potrebbero cambiare nel corso del tempo. Su alcuni settori specifici,lo share di internet è molto elevato: pensiamo alla fotografia o alla tecnologia. Cosa dobbiamo fare, allora? La soluzione vincente è saper integrare online e offline. In sintesi, il mio obiettivo è che il consumatore pensi a Media World come a un negozio cui può accedere visitando il punto di vendita o attraverso il sito internet come se fosse la stessa cosa. Oggi, non è ancora così.

■ Come pensate di realizzare questa integrazione?
Investiremo con forza in questa espansione a tutto tondo; non si tratta più di aprire solo nuovi negozi, ma dobbiamo investire sul mondo internet, con nuove piattaforme, cambi di tecnologia, in questo Saturn è più avanti, Media World ci arriverà quest'anno. La sfida è riuscire a far vivere i due luoghi costantemente l'uno accanto all'altro. Come? In un caso, è molto semplice: ordino su internet e faccio consegnare in negozio, appoggiandomi al punto di vendita per il post-vendita. La cosa più interessante, però, secondo me, è l'altra integrazione, perché nasconde in sé il concetto dello scaffale infinito: il vantaggio che mi deriva da internet è la possibilità di avere a disposizione ogni prodotto. Il cliente deve però abituarsi a questa disponibilità: una immediata (in negozio) e una che prevede che il prodotto sia altrove, ma pur tuttavia recuperabile in tempi veloci e di servizio.

■ Per ampliare lo scaffale pensate di utilizzare, come fatto da altri retailer (famoso il caso Tesco in Corea) i QR Code?
No, puntiamo a qualcosa di più complesso. In questo senso, abbiamo coniato il termine di reverse e-commerce. Si tratta di trasformare gli addetti del negozio in veri consulenti a disposizione della clientela per quello che concerne la grande offerta su internet; per arrivare a poter ordinare sulla piattaforma e-commerce qualsiasi prodotto e renderlo disponibile (nel punto di vendita o a casa). Non si tratta di pensare a chissà quali tecnologie: tale proposta secondo noi risulta interessante laddove pensiamo, per esempio, alla gestione di diverse varianti colore; ma anche per quelle scoperte che il cliente può fare (altrove) e che insieme possiamo rintracciare su internet.

■ Mi faccia capire, se io vedo il televisore XY sul sito di un competitor e vengo da voi con questa segnalazione, voi che cosa fate? Lo comprate dal competitor?
No. Ma logica non è molto lontana. Il primo punto riguarda la reperibilità del prodotto che si cerca, al di là della convenienza o della competitività di prezzo. Media World si fa da tramite per individuarlo e renderlo disponibile: possiamo fare riferimento ai grossisti oppure ai produttori stessi. Ovviamente, sono escluse le altre insegne.

■ Sempre più consumatori già oggi consultano simultaneamente intenet alla ricerca di offerte e i negozi fisici per vedere i prodotti. Come gestire il prezzo in un mondo 2.0?
L'autonomia del cliente rispetto ai suoi collegamenti con internet potrebbe portare a pensare che automaticamente il prezzo di un prodotto su internet si rifletta in analogo prezzo di quel prodotto nel negozio. Oggi, se applicassimo nei negozi i prezzi che ci sono su internet dovremmo chiuderli: noi come chiunque altro. È semplicemente assurdo pensare che, se internet ha una quota di mercato del 6%, l'allineamento dei prezzi avvenga su questo 6% a danno del restante 94% di mercato realizzato altrove. L'e-commerce deve ancora evolvere sotto l'aspetto dei conti economici e, in questa evoluzione, è coinvolto anche il mondo produttivo: perché in un sistema in cui la distribuzione non guadagna, non guadagna neppure il produttore. Ciò mi porta a dire che ci sarà un momento e una situazione in cui ci saranno prezzi diversi da oggi. In definitiva, sono convinto che il prezzo nel negozio debba essere diverso da quello riscontrabile su internet, perché il luogo fisico dà qualche vantaggio quale, per esempio, la disponibilità immediata, la consulenza mirata. Il negozio fisico mi dà dunque un servizio: quanto deve essere il livello tariffario di questo servizio? Probabilmente il 30% di surplus è troppo. Bisognerà trovare nuove forme di equilibrio.

■ Questa è dunque la nuova rotta di Mediamarket?
Sì, sono convinto che si possa e si debba andare in questa direzione perché a breve ci sarà un riequilibrio dei prezzi, per mille ragioni. E nell'equilibrio troverà spazio anche quello della marginalità fra industria e distribuzione.

■ In tale prospettiva, hanno ancora senso le dimensioni dei vostri negozi?
Le grandi dimensioni non hanno più senso per due motivi. In passato, la grande superficie si proponeva l'obbiettivo di mostrare un'analoga ricchezza assortimentale. Oggi, un assortimento più grande di quello di internet è impossibile da presentare, questo resta vero anche al netto di quella parte della popolazione che non ha accesso a internet. Non solo sta cambiando il punto di vendita, ma stanno cambiando anche le politiche di assortimento. Noi stessi abbiamo avviato il progetto core assortment: il che non vuol dire che avremo meno prodotti in pdv. Però, se oggi in 100 negozi posso esporre mediamente 200 televisori, il totale per unità mi richiama a un valore globale 4 volte superiore. Quindi, nella mia rete, ho in circolo circa 800 modelli di televisori e questa è un'inefficienza. La riduzione di modelli in esposizione, però, è un risultato che Mediamarket non può perseguire da solo, anche l'industria deve esser coinvolta. In ogni caso, una delle motivazioni che ci hanno portato a questa situazione è da far risalire alla grande decentralizzazione che ha caratterizzato Mediamarket, oggi, obsoleta.

■ Nello store di Milano-Centrale è evidente una collaborazione positiva con un fornitore: continuerete su questa strada di shop in shop nei negozi?
Sono convinto che il negozio debba cambiare. Abbiamo iniziato con il grande accordo con Apple, del quale sono soddisfatto perché dà pienamente l'idea di cosa sia il negozio del futuro, uscendo dall'immagine che sia un semplice contenitore di scaffali, per proporre anche soluzioni inedite introvabili su internet. C'è un limite alle marche e agli spazi che possiamo concedere, è importante dare una percezione chiara di proprietà del negozio, che questo è il nostro mestiere. Gli shop in shop servono, ma non troppi. Potrebbero essere di più, non lo sono anche in virtù del fatto che non tutti i fornitori hanno idee precise di come sfruttare queste opportunità. Laddove il lavoro di collaborazione e il rispetto delle rispettive esigenze è ben interpretato, allora ne escono casi eclatanti come quello di Samsung. L'ascolto è paritetico e i risultati sono evidenti.

■ Negli ultimi anni avete lanciato alcune linee di marca privata, quale ruolo avrenno nel prossimo futuro?
Ha una funzione di efficientazione. La marca privata serve per sostituire eventuali B-Brand nelle fasce d'ingresso. Pensare a marche proprie che si posizionano su altri segmenti di mercato, di fascia medio-alta o premium, credo sia follia.

■ In sintesi, quale sarà il vostro store ideale?
La nostra media è di 2.600 mq e il nuovo contesto prevede 2.500-3.000 mq. Apriremo anche negozi di dimensione superiore, ma si tratta di progetti avviati da tempo. A livello di nuove progettualità soluzioni più ampie non sono più all'ordine del giorno.

■ In un recente passato, si era parlato di concept piccoli, di città?
Se ne era parlato, ma non succederà. Non ci saranno Media World o Saturn da 1.500 mq. Se necessario, su dimensioni ridotte penseremo a soluzioni di estrema specializzazione.

■ Avete progetti particolari per i vostri punti di vendita al Sud?
Sull'assortimento abbiamo notato negli anni che non esiste una grande differenziazione. Non c'è mai stata. In alcune aree del Sud c'è una lieve tendenza ad acquistare prodotti di primo prezzo, ma non è un fenomeno significativo. Nell'area del grande elettrodomestico si è vista negli anni una diversa affermazione di singoli marchi nelle varie zone geografiche: ma è solo una questione di abitudine. Per quanto concerne i negozi della nostra rete, gli sviluppi di fatturato sono simili in tutte le aree geografiche. Palermo, Catania e Bari fanno parte dei nostri punti di vendita migliori. Apriremo nella seconda metà dell'anno un ulteriore store a Palermo, a marchio Media World. Una scelta strategica che vuole puntare sull'insegna più nota.

■ Una scelta che vale solo per il Sud?
In parte, l'obiettivo è, come le dicevo, investire su Media World come marchio nazionale, da Roma in giù pensiamo già di utilizzarlo esclusivamente. Per Saturn, continueremo l'espansione (apriremo a Roma quest'anno) e l'idea è quella di concentrare questa insegna sulle piazze metropolitane. Ovviamente, tale scelta determinerà anche innovazioni nelle iniziative di marketing: Media World resterà la catena regina, sulla quale continueremo a spingere anche in termini di pubblicità televisisva, mentre su Saturn rafforzeremo, da subito, quell'integrazione fra e-commerce e superficie di vendita fisica. Questa integrazione sarà proposta in maniera incisiva alla clientela urbana.

■ Infine, farete acquisizioni?
No. Ci aspettiamo però di poter beneficiare in futuro di spazi di mercato lasciati liberi da concorrenti entrati in sofferenza prima di noi. Al momento, una catena che abbia i negozi come li vogliamo noi non c'è.■

Allegati

218_Intervista

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