Quella di Panino Giusto è una storia d’amore, innanzitutto tra i due protagonisti, Elena e Antonio, e poi con un progetto che sarebbe riduttivo chiamare business. ma lasciamo ai protagonisti il compito di raccontarla ... “chiamare business. Ma lasciamo ai protagonisti il compito di raccontarla ... “La nostra storia con Panino Giusto nasce da clienti, così affezionati e innamorati del brand che alla fine abbiamo voluto che si trasformasse nel nostro sogno imprenditoriale -racconta Elena-. Io vengo dalla Brianza, l’imprenditorialità è sempre stata nelle mie corde, entrambi i miei nonni erano imprenditori e così mio padre. Antonio è agli antipodi rispetto a me, la sua famiglia viene da Napoli, è vulcanico, pieno di idee, aveva la sua azienda su impianti e sistemi di sicurezza, mentre il mio primo lavoro è stato da analista finanziaria: lavoravo in Corso Vittorio Emanuele e in pausa pranzo, quando Antonio era a Milano, andavamo al Panino Giusto di Piazza Beccaria: c’era la coda fuori, cosa che esasperava Antonio, ma resistevamo perché era l’unico posto in centro dove si mangiava benissimo. Siamo diventati così clienti affezionati. Qualche tempo dopo, Antonio si era trasferito a Milano e vivevamo insieme, aprì davanti a casa nostra un Panino Giusto, allora ci siamo detti che era destino!
Il nostro primo locale, ancora attivo, fu ad Assago, nel complesso di Milano Fiori, lo aprimmo nel 2004, in quei giorni compiva un anno Luca, il nostro primo bambino!
Abbiamo affiliato molti altri locali, ma il franchising ci andava stretto, nel frattempo imparavamo sul campo, non eravamo del settore: io dopo l’esperienza in finanza avevo lavorato nel marketing editoriale e Antonio aveva un background completamente diverso. Nel 2010 il grande passo: abbiamo acquistato l’azienda con l’idea di trasformarla da prodotto-centrica e un po’ autoreferenziale, a impresa orientata verso il cliente, offrendo un’esperienza a 360° in cui tener conto anche del servizio e dell’ambiente. Così siamo partiti dalla formazione, dalle persone, scegliendole tra chi condividesse i nostri obiettivi e volesse fare con noi un pezzo di strada. Siamo certi di aver convinto tanti ragazzi che lavorare nella ristorazione è una professione seria, con la quale si possono realizzare sogni di affermazione personali e professionale. E infatti il primo progetto di formazione con cui siamo partiti si chiamava La Fabbrica dei Sogni, che tutt’ora esiste: un percorso di formazione che accompagna i ragazzi più talentuosi in percorsi differenziati in base anche alle loro aspirazioni. Per esempio, ci sono ragazzi che sognano di far parte della task force che apre i locali all’estero, allora noi li aiutiamo, devono superare una serie di corsi e di esami, tra cui l’inglese. Chi sogna di diventare store manager e comincia da cameriere, deve prima diventare direttore di sala, poi deve superare tutti i moduli formativi sulla cassa, deve conoscere tutte le incidenze del food cost, la parte di pianificazione del personale e poi, in un arco di tempo che può andare da 5 a 7 anni, può riuscire a realizzare il suo sogno.
A quanti locali siete arrivati?
Nel 2010, quando abbiamo acquistato il marchio abbiamo rilevato 5 locali nel centro città, a Milano, poi c’erano una serie di affiliazioni con risultati più o meno soddisfacenti. Gli unici locali all’estero erano quelli in Giappone, che abbiamo ereditato e poi trasformato, rilevandoli dal precedente franchisee. Abbiamo appena aperto il terzo locale a Tokyo, dove il Country Manager è un italiano (sposato con una donna giapponese) e ci apprestiamo ad aprire il primo locale a Parigi, questa diretta è la formula che per noi funziona meglio. Abbiamo aperto qualche anno fa a Londra, a Hong Kong (2 locali) e negli States a Cupertino. Soprattutto in Italia l’affiliazione non è di semplice gestione, spesso i titolari del franchising erano ex dipendenti, non era facile la gestione con la prospettiva che abbiamo noi, cioè di un’azienda non padronale ma manageriale.
... e diremmo che qui si parla di persone e non personale ... avete molti progetti in campo
Un esempio è Cucinare per Ricominciare, a favore dell’integrazione di rifugiati o richiedenti asilo presenti nella nostra città. Un progetto che nasce nel 2015 quando il tema dei migranti anche nella nostra città si fa sempre più evidente. Negli ultimi 4 anni Milano ha accolto quasi 100mila rifugiati; fino ad allora il nostro impegno era stato soprattutto a favore di alcuni centri in paesi del terzo mondo con progetti legati alla malnutrizione, ma avevamo ... voglia di fare di più, implicarci personalmente. Abbiamo pensato che tutto il know how che avevamo accumulato nell’ambito della ristorazione potevamo utilizzarlo per fare qualcosa di positivo, e insieme a Avsi, fondazione umanitaria con la quale collaboriamo da anni, abbiamo avviato il progetto, con la collaborazione della cooperativa Farsi Prossimo che si occupa della prima accoglienza. Alle due organizzazioni abbiamo chiesto di selezionare 15 candidati ospiti delle loro strutture, che partecipassero al nostro corso di formazione per la ristorazione, che si conclude con un tirocinio formativo di 6 mesi presso i locali di Panino Giusto, al termine del quale, se i ragazzi avessero dimostrato di aver acquisito le competenze necessarie sarebbero stati assunti. Abbiamo fatto la formazione a 15 ragazzi, 4 di questi hanno seguito il tirocinio e sono stati assunti al termine dei 6 mesi. L’anno dopo per dare opportunità a più ragazzi possibile, abbiamo chiesto ad altre aziende, concorrenti inclusi, se dopo la nostra formazione avrebbero potuto offrire tirocini finalizzati all’assunzione, così dopo i 4 mesi di formazione in aula avrebbero potuto trascorrere 6 mesi di formazione on the job, nei locali, e questo avrebbe comunque permesso loro di avere un buon cv per cercare un lavoro nell’ambito della ristorazione. Il progetto è andato benissimo perché su 15 candidati dell’anno scorso 13 sono stati assunti con un contratto regolare, e per noi è stata la soddisfazione più bella. Panino Giusto ne ha assunti 4, e a seguire Ca’Puccino, Rosso Pomodoro, Gruppo Percassi, California Bakery, Panini Durini, .... Una percentuale così alta dimostra come l’ostacolo a integrarsi, per chi non ha competenze linguistiche, tecniche né conoscenze, sia solo avere la possibilità di un impiego. Nel gruppo del primo anno abbiamo conosciuto Reza che oggi lavora con noi nell’ufficio controllo qualità, un ingegnere iraniano che si è trovato a ricostruire la sua vita da zero; averlo con noi è stata una soddisfazione enorme. Quest’anno, alla terza edizione del progetto, diverse aziende ci hanno dato la disponibilità per aiutarci anche nella parte formativa, ad esempio i ragazzi potranno seguire il modulo formativo sul caffè offerto dal Lavazza Center di Torino, poi seguiranno un modulo speciale sui social media con mezza giornata da Facebook, andranno da LinkedIn per imparare come si fa un curriculum, da Rosso Pomodoro per imparare a cucinare la pasta, Pescaria aderisce con un modulo sul pesce e sappiamo già che prenderanno un ragazzo per il tirocinio, Pasticceria Martesana sui dolci. Ma la novità di quest’anno è un modulo extra che abbiamo inserito grazie a un piccolo premio che ci ha riconosciuto la Fondazione Bracco lo scorso anno: sarà un modulo dedicato all’empowerment femminile dedicato a 5 ragazze, Sephora ci ospita per un giorno e insegnerà loro come truccarsi, Terranova offrirà loro un buono gratuito d’acquisto e insieme a un personal shopper verranno accompagnate per selezionare degli abiti adeguati per andare a lavorare, Odile Robotti ci propone un modulo sull’autostima, Aleph Consulting, farà un modulo per tutti sulla comunicazione non verbale, Multimethod Language un modulo rafforzativo sulla lingua italiana ...
Non potevano mancare le donne ...
Forse questa cosa mi ha sensibilizzato particolarmente, perché anch’io ho avuto le mie difficoltà da giovane imprenditrice, soprattutto a confrontarmi con un settore e un mondo professionale molto maschile. Ho una figlia femmina super esuberante, carismatica, ... quando era più piccola la correggevo spesso, perché io ero una bambina che stava sempre al suo posto e mi sembrava che lei fosse eccessiva, poi mi sono chiesta perché essere decisionista per una donna deve esser percepito come un tratto negativo, perché una bambina che sa dirigere è definita “comandina” mentre se è un maschio è un “leader”. A seguito di questo ho pensato che sarebbe stato bello incoraggiare anche le professioniste di Panino Giusto. Molte di loro sono store manager, però c’è ancora molta strada da fare: i country manager che abbiamo sono tutti uomini e nel cda sono l’unica donna, quindi mi piacerebbe creare un ambiente dove il talento possa essere valorizzato per tutti, al di là del genere. Ora vorremmo approfondire anche il tema della disabilità, quindi a breve incontreremo Jobmetoo per parlarne; ho un fratello audioleso, per me è sempre stato un esempio molto positivo, un ragazzo molto talentuoso. Penso che, aiutati da una figura professionale, anche noi potremo migliorare e integrare persone con disabilità all’interno della nostra azienda. Azienda in cui passiamo tantissimo tempo, 12 ore al giorno, e questo progetto, questi progetti, ci devono riflettere. Noi vogliamo stare bene e vogliamo che anche le persone accanto a noi stiano bene.