Per una digitalizzazione sostenibile: il ruolo della leadership aziendale

Chi dirige un'impresa è chiamato a integrare in modo equilibrato la prospettiva dell'innovazione tecnologica con la dimensione ambientale e sociale

Il Pnnr è lo strumento su cui si basa il perseguimento dell'obiettivo della ripresa economica e sociale dell'Italia dopo la pandemia, nell'ambito del piano Next Generation Eu. Si fonda su transizione digitale, transizione verde e inclusione sociale. Si punta cioè su un obiettivo di digitalizzazione sostenibile, attenta all’economia, al pianeta e alle persone. Tuttavia, contemperare armonicamente le tre dimensioni non è semplice, essendo caratterizzate da numerosi aspetti contraddittori, che richiedono soluzioni capaci di ottimizzare i trade off tra benefici e costi. Da un lato, infatti, la transizione digitale sta apportando vantaggi evidenti alle attività economiche e sociali, contribuendo a velocizzare e smaterializzare i processi produttivi e di consumo, con impatti positivi sulla creazione di valore per le imprese, i consumatori e l'ambiente. La digitalizzazione contribuisce a ridurre le esigenze di mobilità delle persone (acquisti online, smart working, riunioni in remoto, ecc.) e a efficientare l'uso dei mezzi di trasporto mediante soluzioni di car sharing, abbattendo così le emissioni di CO2. Le nuove tecnologie favoriscono riduzioni di sprechi e migliori utilizzi di materie prime, risorse energetiche ed idriche, come nel caso delle tecnologie blockchain, dell'internet delle cose e dell'energia ed all'affermarsi delle smart factory. L'avvento del digitale ha inoltre innovato i processi di mobilitazione delle risorse finanziare, grazie alla nascita delle piattaforme di crowfunding, capaci di innescare nuove modalità di raccolta del risparmio e di finanziamento di imprese e di progetti.

In definitiva, il digitale consente l'affermarsi di nuovi modelli di business, di nuovi mercati e di nuovi ecosistemi del valore, abilitando persone e organizzazioni ad ampliare e rafforzare le relazioni, democratizzandone gli approcci e favorendo l’attivazione di intelligenze collettive e processi d’innovazione open.
Dall'altro lato, non possono ignorarsi gli effetti negativi che la transizione digitale sta generando sulla società. Effetti che, se non adeguatamente neutralizzati, rischiano di rendere insostenibili molti processi di digitalizzazione. In primo luogo, in numerosi settori l'avvento del digitale sta progressivamente sostituendo forza lavoro con macchine e con gli automatismi dell'intelligenza artificiale, generando fenomeni di disoccupazione. Sebbene molti tecno-ottimisti sostengano che le nuove tecnologie consentiranno non tanto una riduzione degli occupati, quanto una semplice modifica delle tipologie di lavoro e delle competenze necessarie per lavorare con il digitale, è innegabile che al momento prevalga un saldo occupazionale negativo, anche se in alcuni settori, come quelli creativi, potranno verificarsi effetti di segno opposto.

Un secondo aspetto di insostenibilità sociale riguarda le conseguenze della diffusione del commercio elettronico e delle piattaforme online. Queste stanno provocando fallimenti a catena di numerose imprese commerciali tradizionali; inoltre offrono condizioni di lavoro caratterizzate da precarietà, elevato stress e bassa remunerazione ai lavoratori della catena logistica, generando la cosiddetta economia dei lavoretti (gig economy). Come nel caso di Airbnb, si assiste inoltre al progressivo cambio di destinazione del patrimonio immobiliare urbano, destinato dai proprietari non più a funzioni residenziali, ma a finalità prevalentemente turistiche, provocando la desertificazione e la turisticizzazione dei centri storici. La transizione digitale rischia anche di creare differenziali territoriali, culturali e generazionali tra coloro che sono in grado di accedere e di gestire al meglio i processi digitali e coloro che ne restano esclusi (digital divide), provocando fenomeni di crescente diseguaglianza sociale.

La digitalizzazione inoltre, se da un lato favorisce e velocizza le relazioni tra le persone, dall'altro le svuota della ricchezza del contatto fisico e della dimensione empatica ed emotiva, impoverendole e riducendole a mere transazioni telematiche. L'essere costantemente connessi ad apparati tecnologici, oltre alla scomparsa dell'autenticità dei contatti personali, determina un aumento di stress, di disturbi dell'attenzione e di difficoltà di concentrarsi.
Ulteriori possibili implicazioni negative sulla società riguardano la qualità dei processi democratici. Questi sono messi a rischio dall'ingerenza del cosiddetto capitalismo della sorveglianza (Zuboff, 2019), basato sulla raccolta e sull'uso dei dati rivelatori dei pensieri e dei comportamenti delle persone e quindi in grado non solo di profilarne meglio le esigenze profonde, ma anche di indirizzarne le scelte sia a livello di consumi sia di orientamento politico, minando gli equilibri di potere politico e le stesse democrazie. Non vanno infine sottovalutate le problematiche connesse alla sicurezza e alla protezione dei dati, che potrebbero essere sottratti e utilizzati da soggetti non autorizzati per finalità improprie.

Per rendere autenticamente 'sostenibile' la transizione digitale, qualificandosi come il paradigma cui deve ispirarsi il capitalismo contemporaneo per la crescita del benessere collettivo, occorre trovare il giusto equilibrio tra i costi e i benefici della digitalizzazione a livello economico, sociale, politico ed ambientale. Le imprese e i consumatori sono i principali attori cui spetta un ruolo fondamentale per assicurare questo profondo mutamento nei processi di produzione e di consumo. Sul fronte del consumo si rende necessaria una maggiore consapevolezza della popolazione della dimensione politica del consumare, che può contribuire ad orientare i processi produttivi verso proposte di valore in cui le tecnologie rappresentano abilitatori di produzioni rispettose degli equilibri ecosistemici e vettori di creazione di ricchezza in grado di mitigare o neutralizzare gli effetti della disoccupazione tecnologica.

Dal lato della produzione emerge la necessità da parte delle imprese di orientare le strategie verso il paradigma della creazione di valore condiviso, superando il tradizionale finalismo aziendale rivolto alla massimizzazione del valore per azionisti e proprietari. Per conseguire questo scopo serve una leadership responsabile, ispirata alla teoria degli stakeholder, che sappia riconoscere il protagonismo di tutti gli attori sociali nella creazione della ricchezza. Secondo questa prospettiva, le finalità dell'impresa e i compiti dei leader si ampliano, incorporando, oltre alle esigenze di profitto della proprietà, anche le attese degli altri portatori di interesse. Servono imprese fondate sui principi della responsabilità sociale che scelgono un modo nuovo di operare in contesti di economia di mercato, neutralizzandone gli effetti negativi, come quelli connessi con la rivoluzione digitale.

Anche i leader politici sono chiamati a delineare regole nuove, per neutralizzare le conseguenze negative di una digitalizzazione irresponsabile e fuori controllo, lasciata alle dinamiche del libero mercato e sotto il dominio dei monopolisti della rete. Per perseguire una digitalizzazione sostenibile occorre pertanto che i leader adottino una visione che integri in modo equilibrato la prospettiva dell’innovazione tecnologica e digitale con la dimensione ambientale e sociale. Sebbene nelle organizzazioni la leadership rappresenti una funzione diffusa, spetta primariamente agi azionisti ed ai proprietari di maggioranza cambiare il paradigma valoriale verso cui orientare le strategie aziendali e le azioni di governo dei manager, indirizzandoli verso i traguardi della responsabilità sociale d’impresa e della sostenibilità, in modo da conciliare la transizione digitale ed ecologica con il benessere sociale.

Tonino Pencarelli* Ordinario di Economia e gestione delle imprese nell'Università di Urbino e vice Presidente della Sima

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