Perché le aziende (anche in Italia) stanno diventando editori

Le aziende di tutti i settori non solo producono in misura crescente informazioni, ma stanno iniziando anche ad essere editori dei propri contenuti.

Se è vero che gli analisti accreditano il Content Marketing come una delle tendenze più forti nel settore della comunicazione, a ben guardare non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo. Le aziende, non solo quelle editoriali, hanno sempre prodotto contenuti. E su di essi hanno costruito molto del valore dei propri prodotti. Penso ai cataloghi, alle schede tecniche, alle foto e ai video di prodotto. Ma anche a un libretto di istruzioni. E perché no a tutta la documentazione tecnica.

La grande novità del digitale è che, adesso, le aziende hanno anche i canali per distribuire questi contenuti direttamente al pubblico. Non solo ai clienti. Non solo a chi ha già manifestato un interesse nei confronti di qualche specifico prodotto. Ma potenzialmente a tutti (o, almeno, tutti coloro che abbiano a disposizione un collegamento internet).

Oggi assistiamo ai primi effetti di questa rivoluzione cominciata oltre un decennio fa (come dimostra questo studio dell’Osservatorio Business TV dell’Università Bocconi http://www.viasarfatti25.unibocconi.it/notizia.php?idArt=4900): in molti preferiscono comunicare attraverso i media di cui sono proprietari piuttosto che attraverso i tradizionali canali editoriali. Questo, ovviamente, ha spinto diverse aziende a investire molto nella produzione di contenuti diversi rispetto a quelli strettamente collegati al prodotto.

Faccio un esempio: la casa farmaceutica GlaxoSmithKline ha deciso di produrre un portale dedicato al mondo della genitorialità. Si chiama Leggere per Crescere (http://www.leggerepercrescere.it/) ed è un sito focalizzato sulle fasi della crescita del bambino, in particolare sull'educazione e sul piacere della lettura.

Tra le migliaia di contenuti del sito non ne troverete neanche uno dedicato a qualche prodotto GlaxoSmithKline perché Leggere per Crescere è pensato in una logica squisitamente editoriale, come poteva essere una rivista dedicata alle mamme di 20 anni fa. A farla da padrone, qui, sono i contenuti: fiabe di Paesi lontani, concorsi per baby scrittori, appuntamenti ed eventi legati alla narrativa per bambini, ecc. Grazie a questi contenuti il brand riesce a raggiungere un numero enorme di persone. Un processo di engagement che, fino a pochi anni fa, avrebbe richiesto uno sforzo economico molto superiore, senza peraltro offrire le potenzialità di una relazione diretta e immediata.

Iniziative di questo tipo cominciano a essere numerose e significative, mi viene in mente Che futuro!, voluto da Che Banca!, ma anche Centodieci, il corporate magazine di Banca Mediolanum.

Per assistere le imprese in questa evoluzione, alcuni fornitori di servizi hanno realizzato degli strumenti di supporto, come la piattaforma cloud THRON, in grado di centralizzare qualsiasi asset digitale prodotto all’interno dell’azienda, favorendo il controllo e la valorizzazione dei contenuti, fattore che sarà sempre più strategico nella comunicazione del futuro.

Per fare sintesi e tentare di dare una chiave di lettura a questo scenario, soprattutto in prospettiva futura, faccio miei un paio di dati forniti da Giuliano Noci, professore di Marketing al Politecnico di Milano, durante un convegno di Assocom, l’Associazione Aziende di Comunicazione. Il 44% delle imprese, attualmente, dichiara di investire la maggior parte del budget nei cosiddetti Owned Media (che, tra l’altro, comprendono anche concept store ed eventi e aprono un interessantissimo scenario sulla comunicazione omnichannel).

Giuliano Noci ritiene che “per quanto riguarda gli analytics, la troppa informazione genera entropia e quindi è necessario mettere ordine e passare dai Big Data agli Smart Data”. Bingo! Nel consumo dei contenuti, che può avvenire in un numero sempre crescente di terminali e modalità, c’è un patrimonio di informazioni relative ai gusti, agli interessi, alle preferenze delle persone, che ha un valore inestimabile per qualsiasi azienda. E senz’altro è una delle principali motivazioni che ha spinto molti brand a diventare media company. La capacità di decifrare questo patrimonio e utilizzarlo in tempo reale per dire sempre la cosa giusta alla persona giusta nel momento giusto, ciò che oggi viene chiamato Content Intelligence, diventa pertanto una capacità di straordinario valore strategico.

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