Pericoli per l’Italia dal riassetto degli equilibri europei

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 260)

Mentre da noi si fa a gara a chi è meno europeista, la vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi testimonia che l’idea di più Europa, magari un po’ diversa dall’attuale, non è affatto tramontata. Così i francesi hanno dato una bella mano al progetto europeo, ma forse non all’Italia. Il rafforzamento dell’asse franco-tedesco, la tenuta degli europeisti in Olanda, il sostegno al progetto da parte di Austria, Belgio e Lussemburgo, cui si aggiungono Portogallo e Spagna, sono segni di una segmentazione molto pericolosa per l’Italia. Se al suddetto gruppo si contrappongono i nuovi entrati dell’est Europa, più Cipro, Grecia e Regno Unito, il resto si muove senza ideali e senza progetto. Unico tra i paesi fondatori, l’Italia rischia di auto-escludersi dal gruppo degli europeisti, eventualmente riformatori, senza trovare sponde in nazioni di peso che costituiscano un nucleo di rifondatori del progetto comunitario. Aggregando i 28 paesi presenti fino alla Brexit in tre categorie (europeisti, antieuropeisti e altri, tra i quali l’Italia), le variazioni di Pil e debito pubblico dei tre raggruppamenti tra 2007 e 2016 sono rispettivamente 6,3% e 70,1%, 8,5% e 97%, -0,6% e 45,2%. Gli europeisti hanno creato buona crescita e debito in media, gli antieuropeisti alta crescita e alto debito, gli altri zero crescita e (relativamente) poco debito. La correlazione tra più debito e più crescita è apparente: già prima della crisi l’est europeo cresceva il doppio rispetto al Vecchio Continente. L’effetto euro/non euro non è significativo. L’antieuropeismo è un atteggiamento un po’ vile per nascondere incapacità nazionali. Che il sovranismo acuirebbe.

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