Più proteine vegetali per gli italiani: un trend che il food deve comprendere

Plant-based
La maggiore attenzione a sostenibilità e benessere animale spinge l’aumento dei consumi di alimenti plant-based. E il mondo food non può ignorarlo

La crescente attenzione all’ambiente, alla salute e al benessere degli animali spinge l'aumento delle proteine vegetali nel carrello e dunque nella dieta degli italiani, che arrivano a rappresentare quasi un quarto del totale proteico (22%). Vediamo i dati salienti sul tema e, a seguire, perché il trend non può essere osteggiato o ignorato da quella parte di mondo food che ha il proprio business altrove.

I numeri

L’aumento dei consumi di alimenti plant-based registrato dal Rapporto Coop nel primo semestre 2021 è del +3,1% a valore rispetto al 2020 e, in generale, si spendono per l’acquisto di proteine vegetali oltre 800 milioni di euro, come riferisce il Gruppo Prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food.

Nel 2020 questi prodotti sono stati consumati da quasi 10 milioni di famiglie (il 37,9% del totale), pari a circa 22 milioni di persone. Anche la pandemia ha giocato un ruolo nel cambiamento delle abitudini a tavola: quasi 1 italiano su 2 (il 42%) afferma di mangiare oggi in modo più sano ed equilibrato e il 26% di aver conseguentemente ridotto il consumo di proteine animali.

I prodotti di maggiore successo nel primo semestre 2021, ovvero che hanno registrato gli aumenti maggiori, sono stati le bevande a base vegetale (+47% sul primo semestre 2020), seguite da piatti pronti (burger, panati, polpette), che segnano un +44%, besciamelle (+37%), surgelati (+35%), salse e condimenti (+34%).

Da notare, poi, che i prodotti con proteine vegetali sono ormai alimenti trasversali, scelti non solo dagli 1,5 milioni di italiani che dichiarano di seguire una dieta vegana, ma anche dai circa 30 milioni di italiani che, per ragioni di salute e/o ambientali, hanno deciso di ridurre il consumo di proteine animali nella propria dieta.

Un trend da comprendere

Mentre, da un lato, c'è un cluster di sportivi/amanti della palestra che ha nel pollo e nella bresaola la propria dieta principale, in cosiddetto stile "occidentalizzato", vi è tutta un'altra parte di popolazione alla quale è ormai chiaro il ruolo che gli allevamenti intensivi giocano nell'inquinamento globale e che è altresì più sensibile al benessere animale.

Non parliamo, come rilevano i dati sopra, solo di vegani e vegetariani, ma dei così rinominati "flexitariani" che altro non fanno che ripartire da quella dieta mediterranea (patrimonio intangibile Unesco) che prevede un maggiore consumo di alimenti proteici quali legumi e frutta secca anziché, ad esempio, bistecche e insaccati.

La letteratura scientifica che sta alla base sia dell'insostenibilità degli allevamenti intensivi odierni, sia degli effetti negativi che un eccessivo consumo di carne, soprattutto rossa, provoca sulla salute, è copiosa e ricca di buone revisioni peer to peer che ne validano la veridicità.

Non si tratta dunque di un trend che, come altri, poggia su basi infondate e al quale si può rispondere con oscurantismi di categoria e cercando di fare contro-cultura. Le stime per il futuro ci dicono che la tendenza è destinata ad aumentare, avendo nelle nuove generazioni i principali sostenitori. Ne deriva che la soluzione più efficace sia quella di agire oggi per trasformare (non convertire) il proprio modello di business in modo da inglobarla domani, considerati investimenti e tempi che l'innovazione richiede.

Si potrebbe, ad esempio, fare come Fileni e investire in innovazione e controllo su tutta la filiera del pollo in ottica di crescente qualità, che laddove rilevata dal consumatore consente di andare a scaffale con un prezzo diverso e migliorare così la marginalità (non si vive di soli volumi!).

Non è certo un caso che un retailer come Aldi abbia annunciato, in Germania, che entro il 2030 non venderà più carne da allevamenti intensivi e a basso costo, oppure che una start-up come Pascol, che invia a casa la carne di animali a pascolo libero direttamente dai piccoli allevatori, abbia raccolto a ottobre 2021 800.000 euro su Mamacrowd (equity crowdfunding).

Se, come diciamo sempre durante convegni e presentazioni, l'ascolto del consumatore è imprescindibile per il successo, allora ascoltiamolo e non cerchiamo di convertirlo.

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