Plastica monouso, l’industria chiede chiarezza al governo

Investimenti frenati dalle incertezze su come verrà recepita la direttiva Ue. E da retailer, Comuni, Regioni c’è fuga in avanti con il proliferare di progetti plastic free

Volenti o nolenti, per la plastica monouso siamo all’inizio di un’era nuova. Ma sarebbe un errore inseguire la sostenibilità ambientale ignorando quella economica e sociale. L’industria italiana della plastica monouso è in fermento e preoccupata del “colpo di spugna” dell’Ue che con la direttiva Sup rischia di spazzare via un’industria che in Europa gioca un ruolo da protagonista. E dal governo attende maggiore chiarezza.

L’Italia ricicla il 43% della plastica, ma la Germania è lontana. La decisione dell’Ue ha accelerato nella direzione del cambiamento. E ha spinto a fughe in avanti di Comuni e Regioni (dalla Puglia alla Sicilia) intervenuti con ordinanze e provvedimenti plastic free che vanno oltre la normativa Ue. I retailer intanto portano avanti progetti su centinaia di prodotti, che vengono  venduti sfusi o ricaricabili, con solo pack biodegradabili o compostabili.

Il risultato della gran cassa di risonanza è che il 94,6% degli italiani si dice preoccupato dall’inquinamento da plastica

L’Ue punta decisamente sul’economia circolare come volano. Sul piano legislativo è intervenuta con una doppia azione. Da una parte le quattro direttive del “pacchetto economia circolare” entrate in vigore nel luglio 2018 e che gli Stati membri dovranno recepire entro il luglio 2020. Sugli obiettivi di smaltimento al momento l’Italia ricicla il 43% della plastica: deve arrivare al 50% nel 2025 e al 55% nel 2030 (Laboratorio Ref Ricerche su dati Ispra).  Ma c’è forte sbilanciamento tra il Nord, che è al 57%, e Sud  e Centro, rispettivamente al 27% e 16%. Complessivamente i rifiuti urbani che finiscono in discarica sono il 23%: cifra ben lontana dall’1% della Germania, che ha già centrato l’obiettivo (10% entro il 2035).

Marco Versari, presidente di Assobioplastiche
Le controversie sulla direttiva Sup

Ma è sulla direttiva 2019/904, conosciuta come direttiva Sup (pubblicata nel giugno 2019, dovrà essere recepita entro il luglio 2021) che si concentrano le attenzioni. Per i prodotti in plastica  monouso usa mette in atto misure di restrizione di mercato, riduzione del consumo, prescrizioni sulla progettazione dei prodotti, obiettivi di raccolta differenziata. Ed estende le responsabilità del produttore (chi inquina paga). A pagare le conseguenze sarà, però, in primis l’industria italiana. Le 30 aziende che producono plastica monouso, per un fatturato di un miliardo di euro, sono in fibrillazione. La parte che produce stoviglie è, tra l’altro, leader in Europa. “La direttiva dà un colpo di spugna  all’industria europea delle stoviglie -ha incalzato  Alberto Conti, italian sales & marketing manager di Goldplast-. Un duro colpo per le aziende che stanno perdendo fatturato. E Le campagne plastic free hanno modificato i comportamenti d’acquisto”.  Difficile pensare a soluzioni nel breve periodo perché occorrerebbe un revamping degli impianti. Serve allora trovare soluzioni sostenibili tra i vincoli legislativi e le ricadute. “Non c’è solo la sostenibilità ambientale ma anche sociale ed economica” ha fatto notare  Paolo Massarini, vicepresidente Atia-Iswa Italia.  Altra anomalia, la direttiva include piatti e posate ma esclude i bicchieri che in Italia si consumano da 16 a 20 milioni al giorno. “Perché?” Si è chiesta Beatrice Del Balzo, consigliere della onlus Marevivo che chiede al governo di inserirli nel recepimento.

Paolo Massarini
Il compostabile

Rimane poi  l’incertezza, fondamentale, su quale plastica sia oggetto di restrizioni e limitazioni.  “Nessuno fa investimenti se non è chiaro lo scenario competitivo. L’industria chiede all’Italia come verrà recepita e se c’è spazio per il compostabile -ha dichiarato Marco Versari, presidente di Assobioplastiche-.  Per noi biodegradabile e compostabile sono fuori dalla direttiva. Leggendo e interpretando il testo si possono trovare spazi per un recepimento più elastico. L’Italia si deve fare promotrice di questo messaggio. Tutti gli operatori hanno bisogno chiarezza -ha proseguito-. I supermercati stanno già facendo delle scelte al di là della direttiva. E fanno aperture sui compostabili di ogni genere. Chiediamo quali prodotti potranno rimanere nel tempo e con quale tecnologia”. La discussione sulla direttiva monouso, avvenuta a fine legislatura europea e influenzata dalla tornata elettorale successiva, ha lasciato qualche malumore. “Si poteva fare in maniera più approfondita. Mi chiedo se il problema siano i bastoncini dei palloncini. Tagliare e basta potrebbe creare un grosso problema a un comparto che non può fare una conversione in tempi rapidi”.

Salvatore Iannace, direttore del Cnr

A quanto filtra, però, l’Ue è su una linea diversa e intende includere anche la plastica biodegradabile e compostabile anche se biobased. E dovrebbe ribadirlo in linee guide che presenterà entro la metà del 2020 “L’obiettivo della direttiva nata per contrastare il fenomeno del marine littering – sottolinea Paolo Massarini – è la drastica riduzione, quando non l’abbandono per alcune categorie, di prodotti monouso a favore di prodotti durevoli e riutilizzabili e non la sostituzione del materiale con cui sono realizzati i prodotti monouso”.

Microplastiche nel mirino

Ma attenzione: l’azione dell’Ue non finisce qui. La Commissione, ha fatto sapere Eisabetta Perrotta, segretario Fise-Assombiente, sta anche intervenendo sul controllo delle microplastiche (meno di 5mm). Ha chiesto all’Echa (Agenzia europea delle sostanze chimiche) un dossier sulla restrizione degli usi nei prodotti per utilizzo professionale e di consumo. Entro il 2020 è attesa la decisione finale e potrebbe portare a una riduzione di 400 mila tonnellate in 20 anni.

L’Ue spinge sul cambiamento. Per il bilancio 2021-2027 un quarto delle risorse dovrebbe essere dedicato a clima e sostenibilità impiegate attraverso quattro programmi, Pac, Life, Horizon Europe e il nuovo InvestEu. E “grande attenzione è riservata all’economia circolare” ha fatto notare Marta Bonucci, giornalista Fasi.biz.

Mari e spiagge

Che il packaging assorba la maggior parte della produzione di plastica è fuori discussione. La domanda di plastica nell’Ue (fonte Plastic Europe) è per il 39,9% costituita dagli imballaggi. Gli stessi generano poi il 59% dei rifiuti in plastica. Ma solo il 30% finisce come riciclaggio mentre il resto viene smaltito in discariche e inceneritori. Che la motivazione del legislatore parta da una tutela dell’ambiente è pacifico. Ogni anno finiscono negli oceani da 5 a 13 milioni di tonnellate di plastica. Ma di queste l’Ue contribuisce per il 3%. Sono soprattutto Asia e Africa a essere responsabili. L’eccesso di zelo rischia di non avere impatto, dunque, a livello globale.

Bottigliette d’acqua

C’è un altro punto, nodale. La domanda di plastica riciclata è solo il 6% di quella totale. Piace meno perché ha migliore performance. Senza dimenticare che la plastica recuperata non ha una vita infinita (in genere il massimo è tre cicli). Il legislatore ha allora forzato la mano, spinto anche dallo scenario internazionale (chiusura dei porti di India e Cina a diverse tipologie di rifiuti Ue, tra cui quelli in plastica industriale). Per le bottiglie di plastica la direttiva impone che ci sia l’obbligo di contenere il 25% di materiale riciclato entro il 2025 e il 30% entro il 2030. La misura tocca il comparto italiano, 246 marche per 3 miliardi di fatturato. È pronto a reperire la materia prima necessaria? Da una parte serve migliore qualità della raccolta, altrimenti potrebbe subire la concorrenza del materiale di riciclo dall’estero. Ma c’è anche l’altro aspetto, più preoccupante: che il gioco al ribasso dei prezzi spinga a cercare materiale di scarsa qualità con rischio di importazioni clandestine come ha fatto notare Andrea Fluttero presidente Fise-Unicircular. “La vera svolta sarebbe che ogni manufatto avesse una parte di riciclato” ha ammonito Roberto Sancinelli presidente di Montello Spa, il cui stabilimento in provincia di Bergamo ricicla 200 mila tonnellate all’anno di imballaggi in plastica post-consumo.

Pack biodegradabile?

Utilizzare plastiche monouso biodegradabili e compostabili da fonti rinnovabili non è sempre operazione possibile: c’è un problema di prestazioni (resistenza, proprietà termiche, meccaniche), di tecnologie di trasformazione e anche costi più elevati. “Non tutte poi hanno proprietà costanti – spiega Salvatore Iannace, direttore del Cnr –: dipende dall’origine vegetale e/o animale da cui  si estraggono polisaccaridi o proteine che possono essere utilizzati come componenti di una bioplastica”. Alcune sono note e disponibili su larga scala come il pla e l’amido;  altre sono in fase di ricerca e sviluppo o su scale pilota. Ma su alcune, già in uso, ci sono anche dubbi. “Sulla cellulosa – mette in guardia – c’è ancora bisogno di un approfondimento a tutti i livelli. Arriva principalmente dalla Cina: l’Italia non è tra i produttori. La carta da sola non è idonea al contatto con i liquidi presenti negli alimenti. Per rendere utilizzabili piatti e bicchieri si usano rivestimenti superficiali e spesso anche film non biodegradabili. Ma ci sono anche altri trattamenti per renderli idrorepellenti. E tra i più usati ci sono materiali sui cui andrebbero fatti maggiori studi: c’è il rischio di rilascio di composti chimici come agenti sbiancanti, colle, cere usate per il rivestimento e sostanze perfluoroalchiliche (PFAS). Il mercato si sta sempre più orientando verso prodotti monouso  compostabili sia basati su bioplastiche che su cellulosa. Ma bisogna porre particolare attenzione ai rischi potenziali derivanti dal rilascio di sostanze potenzialmente tossiche per la salute umana”.

 

 

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