Primi segnali di ripresa ma pesa l’incognita politica

Lentamente, molto lentamente, ma forse qualcosa inizia a muoversi nel panorama dell’economia italiana: lo hanno certificato quasi in contemporanea nei giorni scorsi sia il Centro studi Confindustria, sia l’Istat (da Mark Up 216).

Per il Csc, che sottolinea come siamo comunque in presenza di un calo del 24,7% rispetto al picco di attività registrato nell'aprile del 2008, il dato positivo riguarda la produzione industria- le, salita dello 0,3% a gennaio dopo lo 0,5% dello scorso dicembre.
E anche il calo su base annua, calcolato al netto del numero delle giornate lavorative, pur restando pesante (-3,5%) testimonia di una frenata positiva rispetto al -6,1% calcolato a dicembre 2012.
L'Istat, invece, ha registrato un buon recupero (inatteso in queste proporzioni) dell'indice di fiducia delle imprese italiane: il dato numerico parla di 79,9 contro 75,6 dello scorso di- cembre. Non tutti i comparti partecipano al- la crescita dell'indice (industria manifatturiera e commercio al dettaglio sono ancora in lieve calo) ma occorre guardare con attenzione all'ottimismo espresso da imprese di servizi e costruzioni.
Quest'ultimo, in particolare, merita attenzione perché è anche abbinato a un miglioramento delle attese sull'occupazione: e si tratta di un settore capace di avere un forte effetto moltiplicatore sull'intera economia del Paese. Bastano questi dati per dire che stiamo uscendo dalla crisi? Ovviamente no, ma dopo an- ni passati con un clima non solo reale, ma an- che psicologico di puro terrore per il futuro, meritano molta attenzione perché segnalano
un possibile o addirittura probabile arrivo del punto di svolta. Che poi la ripresa sia più o meno vigorosa, è inutile nasconderlo, dipende non da una, ma da due tornate elettorali: la prima in Italia, fortunatamente vicina, con la necessità inderogabile per il Paese di avere un governo stabile e in grado di abbinare rigore a investimenti per una crescita che manca da troppo tempo. La seconda tornata elettorale, più lontana nel tempo (a settembre) è quella tedesca, che ha impatti non solo nazionali interni ma di asso- luto rilievo anche a livello europeo: una Germania più morbida sulle politiche di rigore e più disponibile su quelle della crescita potrebbe davvero fare la differenza rilanciando una situazione asfittica dell'intero Vecchio Continente.
Cogliamo dunque i primi segnali positivi, che negli ultimi tempi iniziano ad arrivare in ordine sparso (anche se ancora sovrapposti ad al- tri ancora negativi) e iniziamo a immaginare un futuro migliore.
Con la paura a fare da bussola non si cresce, non si investe, non si costruisce: e in Italia, ne- gli ultimi anni, il taglio dei consumi ha superato di gran lunga l'impatto reale della crisi e dell'aumento dell'imposizione fiscale. Ricreare un clima di fiducia e di attese positive è compito primario del prossimo governo: per reperire le risorse necessarie la via è unica e obbligata, quella del taglio della spesa pubblica improduttiva. Che finora, usando come alternativa l'incremento delle tasse sui cittadini onesti, è stata colpita solo con qualche timido buffetto.

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