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La frutta in guscio si candida come categoria emergente sui lineari. Le
noci guidano la carica. La produzione non basta
Nel corso degli ultimi anni dal mercato del fresco sono arrivati segnali di
sempre maggiore attenzione per la frutta in guscio. L’interesse commerciale
nei confronti di questa categoria di prodotti è andato progressivamente
aumentando, anche se con modalità e intensità diverse per i singoli componenti
del paniere: mandorle, nocciole, castagne, pistacchi.
In particolare, tra i prodotti che fanno registrare un trend costante di crescita
sui lineari di ipermercati e supermercati si segnalano le noci da frutto. All’interno
della categoria della frutta in guscio le noci possono pesare fino al 15% sulle
vendite di reparto. L’aspetto più interessante non è la loro incidenza
sull’assortimento quanto le nuove prospettive di una valorizzazione sul
mercato del fresco legata a un’offerta articolata e rinnovata nelle sue
caratteristiche di base. In effetti, quello delle noci è sempre stato
un modello di un consumo concentrato nei mesi invernali.
Continuità
In una logica di crescita il primo obiettivo è dunque quello
di imprimere una svolta decisa alle vendite, puntando su una presenza più continuativa
del prodotto sui lineari. In tal senso, si può ricorrere alle importazioni,
stimabili intorno alle 15.000 tonnellate, per i 4/5 di origine statunitense.
In secondo luogo è comunque necessario proporre modalità di consumo delle
noci di origine italiana più in linea con le esigenze del consumatore moderno,
puntando sullo sgusciato, cioè su confezioni in atmosfera modificata
che contengano il solo gheriglio, cioè la parte commestibile. In tal
senso, quale prodotto di pregio del paniere della frutta in guscio, la noce
si presta per svariati utilizzi alimentari. Una volta sgusciata è un
ingrediente speciale per particolari formaggi, oppure entra nella composizione
di insalate miste.
Per ultimo, sull’esempio di quanto già avviene in Francia, valutare la
possibilità di proporre anche noci in guscio non essiccate. Dal punto di vista
nutrizionale, la noce è infatti un frutto ricco di lipidi, ferro e altri
sali minerali che ne fanno un alimento con elevato valore nutritivo, motivo
di ulteriore appeal per chi lo acquista.
L’approvvigionamento
Tuttavia, se i segnali del mercato invitano all’ottimismo, il sistema
produttivo nazionale corre il rischio di essere impreparato a cogliere l’occasione:
l’Italia da paese autosufficiente è oggi importatore netto di noci.
Le zone di più antica produzione non si sono rinnovate e l’Italia ha perso
in competitività. In particolare, il livello qualitativo dei frutti richiede
la produzione in impianti specializzati per la noce da frutto mentre sul territorio
nazionale prevalgono ancora quelli a duplice attitudine. Inoltre, la produzione
è per il 70% concentrata in una sola regione, la Campania.
La catena del valore
D’altra parte, l’analisi della catena del valore mette in luce che
esistono spazi per il settore primario di incorporare quote significative del
valore aggiunto finale del prodotto.
Nell’immediato si punta a evitare una concorrenza basata sulla rincorsa
dei prezzi, puntando invece sulla tipicità. In tal senso, è stato
costituito un comitato promotore per la registrazione della Igp della noce di
Sorrento.
Al termine dell’iter burocratico, anche l’Italia potrà fare
conto sulla tutela da parte dell’Unione europea della sua varietà di noce
più nota e di pregio. In questo caso, l’Italia diventerebbe il secondo
paese a poter vantare nel suo paniere di prodotti tipici una varietà di noce,
insieme alla Francia che ha ricevuto la Dop per la Noix du Périgord.
Tuttavia, la filiera produttiva delle altre regioni segue con interesse l’evoluzione,
come dimostra la Noce biologica di Romagna, un’iniziativa sperimentale
che scommette su specializzazione, tracciabilità e tecniche biologiche quali
cardini di un polo produttivo locale.