Marco Bordoli: tempo di dire la nostra. Il ruolo della gdo nell’economia del Paese

Incontriamo Marco Bordoli, amministratore delegato di Crai Secom. Un’intervista che di Crai non racconta nulla, ma è un invito a tutti gli attori della filiera di individuare un’unica direzione per difendere il settore retail che, da indispensabili durante la pandemia, adesso attende di giocare, anche a livello istituzionale, il ruolo primario che già svolge nella vita di tutti i cittadini

È emergenza, lo sottolinea in questa intervista Marco Bordoli, amministratore delegato di Crai Secom, gruppo che, come recita il claim dell’insegna è “Nel cuore dell’Italia”; presenti in tutta la penisola, i supermercati Crai sono dislocati ovunque, anche nei piccolissimi centri, a contatto con comunità di cui spesso rappresentano anche l’hub sociale. L’esigenza, espressa da Bordoli nella nostra lunga chiacchierata, è quella di affrontare inflazione, rincaro dei prezzi, aumento del costo della vita aprendo un tavolo con il Governo in cui l’intera filiera sia rappresentata, per trovare insieme soluzioni oggi quanto mai necessarie per il benessere dei cittadini.

Inflazione e rialzi materie prime, cosa può fare la distribuzione insieme al Governo?
La domanda è semplice, la risposta un po’ meno. Il tema dell’inflazione è nazionale e mondiale, purtroppo, ne parliamo sempre più spesso in tutte le circostanze economiche e sociali. Credo che, per quanto riguarda i beni di prima necessità, questo fatto stia diventando veramente critico, i loro aumenti si potrebbero ribaltare nelle tasche, non pingui, dei lavoratori e non so per quanto tempo la distribuzione potrà fare da cuscinetto. Inoltre, al tema dell’inflazione, si vanno ad aggiungere gli aumenti delle fonti di energia, gas, benzina: tutti ne siamo colpiti e tutti siamo alla ricerca di una risposta. Un ribaltamento tout court dei costi lungo la filiera: dall’industria ai distributori, e dai distributori ai consumatori, non è una soluzione percorribile. Un tema, quindi, che riguarda tutta la filiera e il Governo: credo che sia molto urgente aprire un tavolo tra industria, distribuzione e Governo per capire quali sono le azioni utili per contenere questo fenomeno.
Una riduzione temporanea dell’Iva, su alcune categorie merceologiche, per i prossimi 3-6 mesi, potrebbe essere una risposta, perché questo genererebbe un contenimento dei prezzi finali immediato. La distribuzione si sta muovendo, puntando molto sulle nostre marche proprie, come risposta di qualità e convenienza verso i clienti. Però indubbiamente un sostegno anche dalla parte pubblica sarebbe necessario.

Come distribuzione avete parlato dell’Iva a più riprese, ma non è così facile farsi ascoltare, qual è il problema?
Abbiamo da sempre una grande difficoltà ad avere una rappresentatività univoca nei confronti delle istituzioni, è un nostro limite e credo che questa possa essere l’occasione per fare sistema. Lo leggiamo sui giornali... il Governo riceve la filiera dell’automotive, anche l’industria delle piastrelle si è presentata al Ministero, mentre il mondo della distribuzione fa molta fatica ad avere quel tipo di attenzione. Coop ha le sue istanze, Crai esprime la sua opinione, altri le loro, sarebbe opportuno, oggi più che mai, che si trovasse la rappresentatività univoca per far sentire la voce di una filiera economica estremamente importante, che è anche il terminale di diverse filiere industriali. L’Iva è un’imposta che ha le sue logiche e le sue dinamiche: l’incasso dello Stato all’aumentare dell’inflazione, aumenta, quindi per lo meno, si potrebbe congelare quello... Se no ci perdono solo i clienti, o i distributori, a seconda di quanto sono disposti ad assorbire i rincari. E gli spazi sono molto limitati. I conti economici delle nostre imprese, da quelle più virtuose a quelle un po’ meno, sono di pubblico dominio; sappiamo benissimo che non possiamo permetterci di assorbire 4-5 punti di inflazione come riduzione di margine. I motivi sono evidenti: da un lato, la mancata sostenibilità economica di un’operazione del genere oppure, laddove fosse possibile, generebbe una riduzione o, addirittura, un annullamento dei piani di investimento, dei piani di apertura o di ristrutturazione dei negozi, che non è una buona cosa per la salute del settore e nemmeno per quella del Paese.

Il tavolo mi sembra un’idea interessante. Federdistribuzione, Confcommercio, Adm, Confimprese... ma chi dovrebbe sedere a questo tavolo?
Forse il tema è proprio questo; troppe associazioni, ce ne vorrebbe una che abbia la rappresentatività più ampia possibile, visto che le problematiche sono comuni. Adm era nata con l’idea di essere, ed è ancora, il tavolo comune dove ci sono tutti, anche il non food, i retailer nel senso più ampio del termine, ma è stato deciso che si occupi solo di alcuni temi e non di altri; non voglio entrare nel merito se sia giusto o sbagliato ma è così. La mia opinione personale è che una identità forte all’interno di Confcommercio potrebbe essere la soluzione. Sono comunque convinto che, in una situazione così emergenziale, anche se le associazioni sono tre o quattro, ci si possa sedere attorno a un tavolo e convenire che abbiamo tutti lo stesso problema: Federdistribuzione, Confcommercio, Ancc, Ancd, tutte e forse troppe, ma quando la casa brucia... Anche l’industria dovrebbe esser coinvolta: in questo momento stiamo discutendo la gestione degli incrementi di listino: non vogliamo sviluppare un rapporto conflittuale, perché gli aumenti su molte filiere sono evidenti, magari ne discutiamo l’entità. Infine, con il Governo è necessario valutare i passaggi necessari per tornare alla normalità. Potrebbe funzionare una riduzione dell’Iva per sei mesi: poi, quando gli impatti inflattivi su alcune filiere, come grano duro, caffè e riso, saranno tornati a livelli meno critici, torneremo a dinamiche “normali” di Iva, ammesso che oggi le aliquote siano tutte distribuite nel modo giusto (questo però è un tema più strutturale), e trovare un accordo anche con l’industria. Gli 8-10-15 punti di aumento, vanno bene, perché i numeri lo giustificano, però, quando le materie prime tornano giù, torniamo giù anche con i listini. In verità, sono tanti anni che lavoro in questo mondo e di listini tornati indietro non ne ho mai visti, ma questa è una occasione per stabilire nuovi accordi. In Adm, abbiamo deciso di usare uno strumento comune di monitoraggio dei mercati e delle materie prime a livello mondiale, per avere tutti gli stessi dati; ci piacerebbe condividerlo anche con l’industria. Però, al momento, non abbiamo avuto riscontri.

Ad aumentare non sono solo le materie prime...
Certo c’è anche il tema dell’energia: la filiera del retail food è la seconda più energivora del sistema economico dopo l’acciaio. Al di là dell’intervento sulle bollette, che bene e presto ci auguriamo faccia il Governo, dovremmo anche muoverci sul filone del Pnrr per strutturare una nuova sostenibilità che preveda la riduzione del consumo energetico: perché non fare un 110% anche per la sostituzione dei frigoriferi obsoleti, per migliorare i centri distributivi che gestiscono il surgelato e ormai hanno tecnologie datate? Incentiviamo anche interventi che portino a soluzioni strutturali, con benefici fiscali per chi li mette in atto.

La pandemia cosa ha cambiato?
Penso che uno degli elementi che la pandemia ha fatto emergere è che l’industria del retail è centrale e rappresenta un sostegno sociale alle persone. Forse ce n’eravamo dimenticati, pensavamo la nostra vita fosse fatta solo di smartphone, ma quando è successa questa tragedia ci siamo accorti quanto fosse importante il presidio della distribuzione retail in tutti i territori, anche quelli micro. Oggi abbiamo un’altra emergenza: il numero di persone che vivono al di sotto del livello di povertà è impressionante, milioni. Sono totalmente contrario ad una economia assistenzialista, però ci sono 280 miliardi di Pnrr: pensiamo al valore sociale delle filiere economiche, che non è uguale per tutti e la pandemia ce lo ha dimostrato, e usiamoli anche per sostenere i consumi.
Abbiamo fatto uno sforzo enorme fino ad oggi per non aumentare i prezzi o aumentarli poco, ma se qualcuno legge l’indice Istat, prezzi al consumo +2%. Cosa non va? Che un altro +3% lo stiamo scontando noi. Allora per farci ascoltare, dobbiamo aumentare il prezzo del 10%?

L’inflazione fino agli Anni 90 metteva il vento in poppa al retail. Oggi non è così, ad aumenti del 10-15% non corrispondono aumenti salariali analoghi e il cliente non ci sta più

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