#alfemminile: Svicom, la proptech raccontata da Letizia Cantini

Intervista con Letizia Cantini, amministratrice delegata di Svicom, una delle società italiane più dinamiche nel property e asset management

Ci sono persone che pur ricoprendo ruoli di responsabilità importanti (e ansiogeni) emanano pace e tranquillità, di quelli che vorresti accanto in aereo, quando vieni ballonzolato dai venti e stringi i braccioli (e i denti) nella speranza che passi... ecco Letizia Cantini, amministratrice delegata di Svicom, è una di quelle persone, calma, posata, sorridente e preparatissima con l’innovazione nel sangue. Incuriosita ho voluto intervistarla ed ecco la sua storia ...

Come sei arrivata a coprire questo ruolo in Svicom?
Svicom è stato per molti anni un fornitore di servizi per la realtà in cui lavoravo e quindi ho avuto modo, nel tempo, di apprezzare il dna e la grande passione e determinazione con cui la società affrontava il suo lavoro. Si era già creata, allora, una sintonia professionale, una visione comune sul prodotto immobiliare e la sua gestione, in particolare con Fabio Porreca, il fondatore e tutt’oggi azionista di maggioranza e presidente di Svicom, quindi, direi che sono arrivata a Svicom attraverso una sintonia e una visione condivisa con Fabio.

Svicom non è stata la tua prima esperienza ...
No, ci sono arrivata per step, ho fatto un percorso di studi poco comune per questo mondo. Infatti, dopo il liceo classico, mi sono laureata in filosofia, ho conseguito successivamente un dottorato di ricerca e poi, nel tempo, un master alla Bocconi e, in ultimo, un master executive di secondo livello al Politecnico in ingegneria gestionale. Di fatto, ho sempre studiato molto e sicuramente chi, come me, viene dalla filosofia teoretica ha un approccio alla conoscenza e allo studio molto, molto forti.
Teoria sì ma anche molta pratica. Vengo da una famiglia con una grande cultura del lavoro e del pragmatismo del fare. Compio tra poco 42 anni e sono vent’anni che lavoro, perché ho iniziato a lavorare alle casse di un ipermercato quando stavo vincendo il dottorato di ricerca e, per un po’ di anni, ho mantenuto sia l’attività nel fine settimana alle casse sia quella del dottorato di ricerca. Sono entrata ufficialmente nel mondo del lavoro attraverso quello che allora si chiamava concorso interno in cooperativa e ho fatto i primi anni della mia esperienza in Unicoop Firenze. Facevo l’assistente, portaborse dell’allora amministratore delegato, che aveva anche una delega allo sviluppo per una società allora controllata, Obi, e quindi le mie prime attività sono state soprattutto nella produzione, scrittura, di documenti. Ho avuto la fortuna di lavorare a fianco di personalità uniche nella grande distribuzione italiana e sono stata scelta da Turiddo Campaini per il ruolo di direttore del patrimonio e direttore tecnico di Unicoop Firenze, quando avevo 32 anni e aspettavo la mia bambina, che oggi ha nove anni. Di fatto è stata una carriera veloce, fatta però con l’umiltà di chi ha conosciuto la gavetta e la fatica di certi ruoli.

Se dovessi indicare il tuo valore “guida” quale sarebbe?
La gratitudine, perché è importante ricordare e dare valore a tutte le esperienze, grandi e piccole che siano, agli incontri che hai fatto, a quelle parole che hai ascoltato, ai tavoli cui hai partecipato. Ecco, a tutto questo va sempre riconosciuta gratitudine. Perché da soli -e non vale solo per il successo delle aziende ma anche per il lavoro di ogni giorno- non si va da nessuna parte ed è sempre dentro di noi un pezzo di chi c’è stato con noi e per noi e ci ha dato qualcosa.

Se tu fossi stato un uomo tutto questo studio sarebbe stato altrettanto necessario?
Credo di sì, penso che non ci sia nulla di più inclusivo della conoscenza. Certo nella tua domanda riconosco un ambito di verità: spesso gli uomini fanno meno fatica delle donne ad affermarsi in certi ruoli e magari studiano meno perché non gli è richiesto. Però alle persone più giovani vorrei dire che la conoscenza è un valore; certo è anche una fatica, un impegno, però, a conti fatti, fa la differenza. Per una donna giovane mettere insieme genere e generazione sono due salti mortali insieme ma essere persone preparate, approfondire, non dare niente per scontato, studiare, dimostrare sempre con i fatti che si è appropriati nel ruolo e nel progetto, nell’attività in cui si è chiamati, questo è un dovere di ogni professionista. Con il braccio sinistro non si dovrebbe fare nulla. Io col braccio sinistro ho sempre fatto poche cose anche se sono ambidestra.

Come vivono oggi i giovani il mondo dei centri commerciali?
Per i ragazzi delle medie e dei primi anni delle superiori e per i loro genitori, il centro commerciale rappresenta un contesto garantito; da un punto di vista sociale, rappresenta una garanzia. Quella governance di presidio, dalle 9 della mattina alle 21 di sera, con degli standard di servizio opportuni e tarati per ogni contesto, consentono a quel primo cluster di giovani di ritrovarsi in un luogo in autonomia, fare le proprie esperienze, incontrare i propri amici, andare al cinema e di utilizzare anche la ristorazione e i negozi adeguati alle loro esigenze. Nella generazione successiva, parlo di quei cluster di giovani che dal liceo arriva all’università, il centro commerciale può essere un luogo in cui si va a studiare, penso al Bicocca Village, che gestisco direttamente, dove si studia tra una lezione e l’altra, lì abbiamo l’università vicina, ma vale anche per i centri commerciali cittadini funzionali sì ma anche luoghi di socialità, dove passare una serata. Passando poi alle giovani famiglie, torna il ruolo sociale del centro in cui, con poca spesa, soprattutto nei weekend, si riesce a passare del tempo, utilizzando anche il palinsesto eventi per i bambini. In sintesi, credo che ci sia un utilizzo diverso a seconda delle generazioni dove però contano molto le utilities di servizi.

Allora parliamo di servizi ...
Prima una premessa: nel retail e anche nei centri commerciali siamo passati da una logica one-to-many a una logica one-to-one. La tecnologia ci è venuta in aiuto e così in Svicom abbiamo implementato una nuova funzionalità “The place to do”, un eCommerce di servizi che offre servizi al consumatore sia personali sia per la propria famiglia, dalla lezione di inglese per il figlio piuttosto che il corso di giardinaggio, la lezione di yoga o quant’altro ma anche l’offerta di un accesso vip o prioritario per l’apertura di un punto di vendita, o per l’inaugurazione di una nuova area della galleria e così via. Così il centro commerciale perde quell’elemento generalista che lo ha contraddistinto nel passato, diventando di volta in volta un servizio dedicato a quel particolare cliente, portando così valore a tutto il suo insieme.

Quale futuro prevedi per Svicom?
Svicom oggi gestisce oltre 130 immobili, di cui i centri commerciali sono una settantina. Negli ultimi anni abbiamo intrapreso un percorso di diversificazione degli asset in gestione, inserendo centri direzionali, hotel e logistica. Siamo presenti in tutta Italia in particolare nel Centro Nord. Nell’ultimo bilancio, ci siamo attestati sui 14 milioni e mezzo di fatturato. Siamo oggi una proptech company, quindi, ci avvaliamo di una serie di tool gestionali che ci stanno permettendo di fare il nostro lavoro in maniera sempre più efficiente. Introdurremo anche delle attività di recupero del credito predittivo, attraverso la Iot l’intelligenza artificiale. L’obiettivo è di essere un’azienda sempre più smart ... l’energia, la passione, le competenze non ci mancano.

Siamo un’impresa sempre più digitale con una visione smart del real estate. Vogliamo essere l’impresa più innovativa del mercato: questa è la nostra mission

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