Public procurement e nuova cultura manageriale nella P.A.

In Italia si può ridurre il deficit non solo con la spending review, ma anche riducendo l'incompetenza dei manager che si occupano di acquisti nella PA.

Il tema della programmazione e management degli acquisti di beni e servizi a livello nazionale, com’è noto all’opinione pubblica grazie al biasimato processo di spending review, è nell’agenda dei Governi succedutisi negli ultimi anni in Italia, essendo legato a pressanti esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica. In tal senso va interpretata l’estensione dell’obbligo di ricorrere alle convenzioni Consip (la “centrale d’acquisto” del MEF) per l’acquisto di beni e servizi alle amministrazioni locali.

Tale tendenza si inserisce nei più generali obiettivi di risparmio contenuti nelle leggi finanziarie degli ultimi anni che impongono alle amministrazioni locali il rispetto del patto di stabilità interno. L’innovazione nel processo di approvvigionamento coinvolge diversi ambiti all’interno delle amministrazioni. Da una parte richiede sensibili interventi di natura organizzativa e regolamentare e d’altra parte prefigura azioni specifiche della politica di sviluppo dell’e-government (e dell’e-procurement in particolare) che consentono di utilizzare le opportunità dell’informatica anche grazie agli incentivi delle innovazioni normative.

A livello di singola amministrazione, gli approvvigionamenti possono condizionare in modo significativo le prestazioni e la capacità di offrire servizi adeguati. Il tema, pertanto, interessa sia i responsabili della funzione acquisti sia i dirigenti di “linea”, i quali, all’interno di un processo di progressiva responsabilizzazione, sono sempre più chiamati a rispondere dell’efficienza, dell’efficacia e della qualità dei servizi erogati, ad utilizzare al meglio risorse scarse, a far valere una logica di “cliente interno” verso i loro colleghi titolari della funzione acquisti.

L’incremento delle funzioni svolte dalla PA locale nel rispetto del principio di sussidiarietà ed il processo di progressiva responsabilizzazione finanziaria delle amministrazioni regionali e locali sono tutti elementi portatori di ulteriori esigenze di innovazione ma anche di nuove complessità che il sistema dovrà affrontare. Tutto ciò si riflette, ovviamente, anche sulla funzione acquisti e pone importanti quesiti in merito alla qualificazione professionale – cioè alla competenza – di chi si occupa di acquisti nella PA.

In uno studio pubblicato nel 2009 sulla prestigiosa American Economic Review, tre economisti italiani (Bandiera, Pratt e Valletti) quantificano gli sprechi che avvengono nell’acquisizione di beni e servizi per la Pubblica Amministrazione italiana. Come avviene di frequente anche in altri Paesi, lo stesso bene o servizio nello stesso momento viene acquistato da più amministrazioni, ma a prezzi ampiamente differenti. Se soltanto - argomentano questi studiosi - portassimo i “peggiori” a comprare ad un prezzo inferiore e ragionevolmente disponibile sul mercato, il risparmio che se ne otterrebbe per il cittadino ammonterebbe al 21% della spesa attuale, ovvero l’1,6% del PIL. Tale cifra potrebbe essere utilizzata per aumentare spese sociali ritenute utili o per diminuire la tassazione, ossia riducendo il vincolo allo sviluppo che ci pone la stabilizzazione del debito pubblico.

Oltre a questo importante risultato i tre ricercatori riescono a differenziare quanta parte di questi sprechi è dovuta a mera incompetenza e quanta a sospetta o acclarata corruzione. Il risultato è quanto mai inatteso, visto che, argomentano i tre studiosi, l’83% è dovuto ad incompetenza. Il procurement pubblico presenta un profilo di complessità che non si esaurisce con il ricorso alle tecnologie informatiche poiché richiede la capacità di organizzare la catena del valore per la P.A., la conoscenza dei mercati di riferimento, l’utilizzo di strumenti contrattuali innovativi al fine di stimolare concorrenza ed innovazione tra i fornitori.

Tutto ciò richiede professionalità e competenze sempre aggiornate.
E’ un risultato che deve far ben sperare e mobilitare l’azione delle forze politiche dal momento che, mentre la corruzione è qualcosa di lento e difficile da sradicare e richiede sforzi e riforme da cui aspettarsi ritorni solo nel medio-lungo periodo, l’incompetenza può essere affrontata radicalmente con un progetto mirato alla professionalizzazione del public procurer, in tempi ragionevolmente brevi e con la speranza di ottenere risultati più rapidamente. In questo processo assume rilevanza, a mio avviso, il ruolo culturale di associazioni di studiosi e docenti di management come la SIMA nel promuovere anche in ambito pubblico i buoni principi di governo dei processi di acquisto e di diffusione di positivi valori etici.

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