Quello che non si dice nel franchising

Nell’editoriale del n. 8 di Gdoweek, Cristina Lazzati parla di cambio pelle del franchising. Pur condividendo l’analisi, non posso esimermi dall’entrare nei meandri oscuri di questo aspetto. Il franchising in gdo non nasce come vero e proprio progetto, ma come ripiego e alternativa alla proprietà, la così detta “affiliazione” e come processo di mantenimento di posizioni. Perché? Perché spesso i conti economici dei punti di vendita diretti non tornano soprattutto nelle piccole e medie superfici e laddove i fatturati non brillano di luce propria, le soluzioni sono due: chiudere o trovare una famiglia che gestisca quel negozio. La voce di costo che ha l’impatto più significativo sul conto economico è quella relativa al personale. Se l’azienda è seria, rispetta i turni, paga gli straordinari, fa godere ferie e permessi ma non ha un fatturato a mq equilibrato e margini sufficienti in un determinato pdv, quest’ultimo diventa per la catena un peso e così nasce l’idea vincente: diamolo in franchising. Si sposta il problema a qualcun altro. E quel qualcuno, che si butterà a capofitto nell’avventura, dedicherà tutto il suo tempo, sacrificherà molto della sua vita personale a quello store per farlo funzionare e per vederlo crescere. Ma il vero franchising è un progetto, non un ripiego e per essere un vero progetto deve avere dei contenuti, non dei duplicati. In questo le grosse organizzazioni della distribuzione moderna possono fare tanto. Di fatto qualcuno lo sta già facendo. L’imprenditore, soprattutto se alla prima esperienza, deve essere aiutato, sostenuto, monitorato: con questo atteggiamento e questo approccio si crea valore e si danno concretamente nuove opportunità di lavoro. You only live once, but never alone.

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