Secondo la maggioranza degli esperti, l’Italia raggiungerà i livelli pre Covid solo nel 2023 (lo afferma il 43% degli executive). Nel 2022 il 28% degli italiani prevede un livello di spesa ancora inferiore rispetto al 2019

Prima di far suonare le (dantesche) "dolenti note" (Inf. V), apriamo con l'ottimismo. È il "momento" Italia. Titolo anche di una delle slide più belle del Rapporto Coop 2021 (Rapporto Coop 2021 – Economia, Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani), presentato in anteprima digitale e redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione nazionale cooperative di consumatori) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto di analisi di Nielsen e i contributi originali di  Gfk, Gs1-Osservatorio Immagino, Iri Information Resources, Mediobanca Ufficio StudiNpdCrif, Tetra Pak Italia.

Ma a cosa dobbiamo il momento magico dell'Italia? Prevalentemente ai successi sportivi: gli azzurri campioni europei di calcio, e non accadeva dal 1968, e poi tutti gli ori presi a Tokyo (40 medaglie in tutto: siamo nel G10) alle Olimpiadi, con le prestazioni eye-goggling dei velocisti nostrani nei 100 metri e nella staffetta. Poi, saltando quasi con l'asta (per alludere a un altro oro alle Olimpiadi: quello del salto in alto) il boom dell'export agroalimentare che nel 2021 arriverà a 50 miliardi di euro. E a livello politico? L'unica novità, che è anche fattore di successo, è Mario Draghi, "un presidente del consiglio che per la prima volta, credo, negli ultimi vent'anni, non usa il linguaggio solito dei politici -ha detto Marco Pedroni, presidente di Coop Italia e direttore generale Ancc-Coop- e con uno stile chiaro, parco, diretto, riesce ad essere sobrio e autorevole internamente e nei confronti delle relazioni politiche internazionali".

"La seconda giovinezza dell'Italia"

L’edizione 2021 del Rapporto è tutta orientata a descrivere la situazione della nuova realtà post Covid e per fare questo, oltre alle fonti di solito utilizzate, si è avvalsa di due diverse ricerche intitolate Reshaping the future  e condotte entrambe nello scorso mese di agosto. La prima ha coinvolto un campione di 1.500 italiani rappresentativo della popolazione over 18 (18-75 anni). La seconda si è rivolta a un panel della community del sito di italiani.coop e ha coinvolto 1.000 opinion leader e market maker fruitori delle passate edizioni del Rapporto. Tra questi sono stati selezionati 470 ruoli apicali  (imprenditori, amministratori delegati e direttori, liberi professionisti) in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese.

Dicevamo, in Europa e nel mondo, l’Italia vive una seconda giovinezza, cresce più in fretta delle aspettative (l'incremento del Pil potrebbe sfiorare il 6%). Durante gli Europei di calcio le ricerche on line associate alla parola Italia sono cresciute di un +211% e l’Italia resta in testa alle wish destination mondiali. Soprattutto, il 60% della business community internazionale si dichiara convinto di una maggiore attrattività del Paese nei prossimi 3 anni e il 48% lo ritiene una possibile destinazione dei propri investimenti futuri. Anche per questi nuovi riconoscimenti, l’86% degli intervistati si dichiara orgoglioso di essere italiano. E cresce anche la fiducia degli italiani nell’Europa e nell’Ue (oggi al 44%  tra i valori più bassi nell’Ue ma il più alto fra gli italiani da marzo 2011, quindi negli ultimi 10 anni).

Maura Latini, amministratrice delegata Coop Italia

Marco Pedroni è ottimista, sì, ma invita -giustamente- alla cautela perché -non sono sue parole, ma penso vi si riconosca abbastanza- "l'ottimismo quando è eccessivo è peggio di una mega sbronza alcolica". E in Italia dobbiamo rimanere sobri. Almeno fino al 2023. Non prima, infatti, come ha detto Maura Latini, amministratrice delegata di Coop, vedremo il ritorno a una vera crescita dei consumi. Restano, infatti, profonde le ferite fisiche e mentali della pandemia, l’inquietudine da long Covid ha generato ansia, insonnia, depressione e disturbi alimentari: si stima in 10 miliardi il costo totale solo per il trattamento delle sindromi depressive generate dalla pandemia. L'Italia era già un paese che tirava avanti a psicofarmaci, figuriamoci oggi. Pedroni ha ricordato l'aumento della povertà: sono 27 milioni gli italiani che ancora nel 2021 hanno vissuto rinunce e disagi quotidiani, 18 milioni coloro che ne prevedono il perdurare nel tempo e 5 milioni coloro che temono il protrarsi di sacrifici, anche in ambito alimentare.

Anche per questo, al crescente ottimismo degli italiani e alla nuova fascinazione estera per il nostro Paese, non corrisponderà nell’immediato una altrettanto rapida ripresa dei consumi. Come ha ricordato Maura Latini, secondo la maggioranza degli esperti, l’Italia raggiungerà i livelli pre Covid solo nel 2023 (lo afferma il 43% degli executive). Nel 2022 il 28% degli italiani prevede un livello di spesa ancora inferiore rispetto al 2019: sono soprattutto cassaintegrati, giovani e donne. Nell’auspicato rimbalzo in avanti del nostro Paese, a rimanere al palo è proprio l’occupazione (è troppo lenta la sua crescita, nel primo semestre 2021 fa segnare un +1,8%) e anche se le previsioni sono migliorative bisognerà vedere che lavoro sarà: secondo il campione il rischio è che a crescere saranno soprattutto la sottoccupazione (59%), il lavoro in nero (50%), i gap generazionali (51%).

Nella speranza di affrancarsi presto dalle restrizioni del Covid, l’Italia e gli italiani escono dalla bolla che li ha imprigionati dall’inizio dello scorso anno e danno finalmente nuova forma al loro futuro, accelerando i cambiamenti e scegliendo nuove priorità. Dopo l’home working praticato durante la pandemia, il 69% degli smart worker (9 milioni di persone) vuole sperimentare i nuovi equilibri tra lavoro e vita privata permessi dall’hybrid work; è ibrida anche la mobilità: 157.000 le e-bike vendute nel primo semestre dell’anno e continuano a crescere le immatricolazioni per auto ibride e elettriche.

L'home nesting rimane come tendenza del futuro

La digitalizzazione è diventata un'abitudine e mette a proprio agio il 65% degli italiani a cominciare dall’eCommerce che pur rallentando continua la sua crescita (+18% nel 2021 rispetto al +45% di un anno fa). Anche dopo la pandemia, resta l’home nesting degli italiani. La casa non è più uno spazio di servizio, ma la nuova comfort area della vita quotidiana. Sono 1,2 milioni gli italiani che vogliono comprare casa e molti di più quelli che approfittando dei nuovi incentivi la vogliono ristrutturare (8 milioni) nel prossimo anno, 6 su 10 le famiglie che pensano di cambiare arredamento nei prossimi 3/5 anni. Contemporaneamente, si riduce anche la forza attrattiva delle grandi metropoli e le città di piccole dimensioni/i borghi diventano i luoghi ideali di residenza per 1 italiano su 3 (sorprende più di tutti quel 67% di giovani che intende rimanere a vivere nei comuni delle aree interne dove attualmente risiede).

Albino Russo, direttore generale Ancc Coop

L’ambiente e la salute siedono a tavola

Specchio e metafora dei cambiamenti degli italiani, il cibo esce profondamente trasformato dalla pandemia e si colora di verde. Un italiano su 2 ha cambiato le proprie consuetudini alimentari, chi indulgendo nel conforto alimentare (sono il 23% coloro che hanno preso peso, in media 5,8 kg) e chi approfittandone per una dieta più equilibrata e salutare (15% quelli che hanno perso peso in media 7,1 kg). Se solo il 18% non si riconosce in alcuna cultura alimentare e il 24% fa riferimento solo alla dieta mediterranea, oltre la metà degli italiani si riconosce anche o esclusivamente in altre identità alimentari (bio, veg&veg, gourmet, iperproteici e low carbs), ma la vera novità del 2021 è la comparsa della nuova tribù dei climatariani, ovvero di coloro (1 italiano su 6) che dichiarano di adeguare il proprio regime alimentare per ridurre l’impatto ambientale. E comunque l’ambiente diventa riferimento di molti italiani; l’88% associa al cibo il concetto di sostenibilità che significa per il 33% avere un metodo di produzione rispettoso, per un altro 33% attenzione agli imballaggi, per il 21% è sinonimo di origine e filiera e per il 9% di responsabilità etica. Così, il 13% sta riducendo il consumo di carne (i cosiddetti reducetariani), si preferiscono prodotti locali e di stagione, i veg sono consumati anche da chi cerca solo una alternativa proteica alla carne e raddoppiano le vendite di proposte vegane di nuova generazione (le bevande, le besciamelle, i piatti pronti). E non è un caso che gli italiani riconoscano nel riscaldamento climatico il principale fattore di cambiamento del cibo del futuro, sia prevedendone una maggiore scarsità a causa del climate change (26%), sia immaginando che per salvare il clima occorrerà cambiare la nostra alimentazione (32%). Per gli italiani un aiuto verrà dalla scienza e dalla tecnologia (26%) e in questo senso tra le new entry sulle tavole degli italiani da qui a 10 anni ci sono cibi vegetali con il sapore di carne, a base di alghe, farina di insetti e anche la carne coltivata in vitro. In realtà la food revolution è già in corso. Gli investimenti nel solo 2020 in cibi e bevande di prossima generazione ammontano a 6,2 miliardi.

Un altro grande driver di scelta, anch’esso potenziato dall’effetto pandemia, è sicuramente la ricerca attraverso il cibo di un maggior benessere e  l’83% dei nostri connazionali si dichiara disposto a spendere di più pur di acquistare prodotti con qualità certificata (dopo di noi l’80% dei cinesi e solo dopo europei e statunitensi). Non cessa d’altronde il successo di segmenti di mercato come il free-from, il rich-in, gli stessi dove è spesso il prodotto a marchio a rispondere meglio e con maggiore rapidità dei brand leader. Il crescente benessere spiega anche la maggiore attenzione che gli italiani prestano all’etichetta; così le indicazioni sull'origine e la provenienza del cibo sono determinanti per l’acquisto per il 39% degli italiani, per il 28% lo sono i valori nutrizionali e a seguire il metodo di produzione (per il 26%).

Il declino delle marche

In sostanza, gli italiani sembrano prestare attenzione crescente ai contenuti intrinseci dei prodotti e sempre meno delegano le loro scelte ad una incondizionata fiducia verso il brand e sono sempre meno disposti a pagare per i contenuti  di pura immagine. Un fenomeno questo del progressivo declino della marca che continua da tempo, reso evidente non solo dall’avvento dei discount (oggi il 20% delle vendite Gdo) ma anche dalla crisi negli altri canali della distribuzione moderna (dal 2013 ad oggi la perdita di quota delle grandi marche è pari a un -9%) controbilanciato dalla Mdd (un +9% nello stesso lasso di tempo) e anche dai piccoli produttori (+3%), evidentemente più rapidi nell’intercettare le nuove mutevoli esigenze dei consumatori.

Le misure politiche necessarie per rilanciare la domanda interna

"Ci lasciamo alle spalle un 2020 impegnativo che è stato affrontato da Coop con determinazione e comunque un anno che ha generato  un miglioramento importante nella gestione caratteristica delle grandi e medie Cooperative, con un ritorno all’utile in quasi tutte – sottolinea Marco Pedroni–.  Continueremo a percorrere questa strada di miglioramento economico delle nostre cooperative in un 2021 che inevitabilmente con la riapertura dei consumi fuori casa rallenterà le vendite. Prevediamo di chiudere l’anno con un fatturato retail in linea con quello del 2020. Confermiamo la nostra volontà di essere un presidio e un punto di riferimento per tutti gli italiani qualunque sia la loro condizione sociale. Il nostro obiettivo è fornire un cibo buono, sicuro e sostenibile per tutti, accessibile a tutte le fasce di reddito. Abbiamo preso impegni importanti con le istituzioni europee; impegni non di facciata e tutti volontari come l’adesione alla Pledging Campaign volta a promuovere l’utilizzo della plastica riciclata e al Codice di Condotta Responsabile che ci spinge verso obiettivi sfidanti e da rendicontare in materia di cibo salutare e sostenibile. E poi c’è il Pnrr e la grande occasione che un buon indirizzo di queste risorse può generare, a partire dal sostegno della domanda dei redditi più bassi. Si profila infatti una situazione in cui la domanda interna resta bassa, mentre si rischia di far pagare al consumatore i forti aumenti delle materie prime e dell’energia. L’inflazione da costi esterni può avere effetti depressivi importanti sulla congiuntura economica. C’è bisogno, come anche il Rapporto Coop mostra, di dirottare risorse e politiche più incisive a favore dei consumi agendo per esempio sulla defiscalizzazione di prodotti sostenibili e c’è bisogno di una legislazione di scopo per la riconversione dei centri commerciali. Stiamo parlando di superfici estese da riqualificare e da recuperare anche in funzioni diverse da quelle commerciali, per ruoli multifunzionali e di servizio (pubblico e privato) per la comunità; interventi di questo tipo sono anche utili a frenare l’espansione edilizia e il consumo di suolo che in Italia continuano a crescere, a dispetto delle direttive dell’Unione Europea".

 

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