Restano forti le tensioni sul prezzo pur in presenza di export brillante

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1. Una capacità produttiva troppo elevata

2. Sopravvive chi è riuscito a generare risorse da investire in competitività di costo o in politiche di marketing

Nel 1997 le analisi e le previsioni
avanzate sullo
scenario competitivo in divenire
erano sostanzialmente
corrette. Le prospettive
evidenziavano che il big
event avrebbe radicalmente
modificato le regole e il mercato
nonché l'ordine d'importanza
dei key factor. La
parola d'ordine era competitività
di costo e lo sviluppo
dei mercati esteri sarebbe
stato il polmone che avrebbe
permesso la sopravvivenza
di molte imprese in difficoltà
sul mercato interno. Le
analisi prevedevano una diminuzione
dei margini per i
produttori e per i distributori;
un mercato sostanzialmente
maturo e segmentato
per generare contribuzione
aggiuntiva (sia per i produttori
sia per i distributori) e
concentrazione dell'offerta.
Tutto ciò, però, non è stato
sufficiente. A distanza di
poco meno di 15 anni c'è voluto un altro scossone. Questa
volta il big event non è
stato imposto da un'impresa
ma dal mercato. In particolare
dall'andamento della
domanda e offerta di materie
prime. Il fatto che in questo
caso i prezzi siano aumentati,
mentre ai tempi
erano diminuiti, non è una
differenza sostanziale. La
somiglianza della situazione
sta nel fatto che in tempi
brevissimi, senza quindi la
possibilità di avviare misure
appropriate, ci si ritrova a
fare i conti con forti tensioni
di prezzo, concorrenza verticale
con la Gda e soprattutto
rilevanti riduzioni di
margini. In quegli anni Barilla
ha difficoltà a sostenere
la propria market share.
Gli investimenti in attività
di marketing (collection,
advertising ecc.) per sostenere,
con fatica, il posizionamento
di prezzo sono diventati
superiori al gap del
margine. Da un giorno
all'altro, un pragmatico amministratore
delegato americano
decide di riposizionare
la marca. Il posizionamento
di Barilla - formati
normali, confezione da 500
grammi - nel novembre del
1995 è a lire 1.169. Dodici
mesi dopo il posizionamento
del leader scende a 943 lire:
-19,3%. Le marche commerciali
passano da una fascia
che va tra le 940 lire e le
1.040 lire a una compresa
tra le 835 lire e le 890 lire:
una riduzione media di 13
-15 punti percentuali. I primi
prezzi calano del 9%. Un
terremoto. Certe marche
cercano di resistere e inevitabilmente
perdono quote di
mercato; a eccezione di De
Cecco molti premium price
non si riprendono più, altri
si riposizionano, ma in assenza di buone competitività
di costo, alcuni escono
dal mercato. Inizia la concentrazione
e soprattutto
molte imprese si lanciano
sui mercati esteri dove è
molto più facile competere.
Oggi è accaduta la stessa cosa.
Il mercato soffre da tempo
di una capacità produttiva
troppo elevata rispetto
alla domanda anche in presenza
di mercati esteri che
continuano a svilupparsi. I
livelli concorrenziali diventano
altissimi, ma in un
modo o nell'altro le imprese
reggono. È necessario quindi
che arrivi una qualche
sollecitazione che dia un giro di vite in tema di concentrazione.
Probabilmente
se non fosse arrivata
l'oscillazione di prezzo delle
materie prime ci sarebbe
stata qualche altra turbativa.
Oggi diversi pastifici rischiano
di chiudere. Solo
chi è riuscito a generare risorse
da investire in competitività
di costo o nel finanziamento
delle politiche di
marketing sarà in grado di
affrontare i prossimi anni.
Se da un lato c'è il polmone
delle esportazioni (oltre il
50% della produzione),
dall'altro c'è un concorrente
in più: lo store brand.
Quindici anni fa si era appena
agli albori del fenomeno,
oggi la situazione è
radicalmente cambiata.
Anche se la quota (15% a valore,
20% a volume) è inferiore
a quella raggiunta in
molti altri mercati, il trend
è certamente positivo e andrà
a conquistare ampi spazi
dell'area della convenienza.
Non solo. Ai tempi
lo store brand da prezzo era
pressoché assente. Oggi è
presente in molte insegne e
andrà, quindi, a competere
con tutte quelle imprese
che avevano trovato in
quest'area l'unico spazio
possibile. È prevedibile,
dunque, che a medio termine
si assisterà a una nuova
crescita della concentrazione.
Una cosa è certa.
Quando si indebolisce la
redditività del mercato il
leader ristabilisce le distanze dai competitor. È,
infatti, l'unica impresa
strutturata, tra competitività
di costo e posizionamento
al pubblico, per generare
importanti risorse
da investire sulla marca e
sul prodotto. È, inoltre,
l'unica impresa pastaria
che ha portato veramente
in porto importanti processi
di diversificazione e
quindi non è costretta a
reggere finanziariamente
l'azienda unicamente sul
business della pasta.

Contenuti dell'articolo

  • Pasta fresca
  • Pasta secca
  • Pasta fresca non ripiena
  • Pasta fresca ripiena
  • Pasta non di semola
  • Pasta all'uovo
  • Pasta di semola
  • Pasta integrale
  • Pasta ripiena
  • Il problema del settore
  • Le quote di mercato nei diversi segmenti: 2009
  • Barilla, Leader in posizione dominante
  • L'evoluzione del posizionamento* delle marche: 1995-2009
  • De Cecco, Il leader del top di gamma
  • Divella, Il leader del rapporto prezzo/qualità
  • Garofalo, Il caso da raccontare
  • I prezzi e il contenuto di proteine
  • La penetrazione* delle marche. Lo scenario 1995-2009
  • Colussi Il gruppo alimentare emergente
  • Prezzi * medi del segmento da 500 g per piazza e anno
  • Mastromauro Granoro, La tradizione pugliese
  • Antonio Amato Il competitor nel mezzogiorno
  • Del Verde, La marca verde
  • L'evoluzione del posizionamento** delle marche: Italia, 1995-2009
  • Pastificio Tomasello Il protagonista siciliano
  • Pastifici o Jolly Sgambaro La doppia marca
  • Colavita In every day low price
  • La Molisana Un brand alla prova del rilancio
  • L'industria italiana delle paste alimentari

Allegati

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