Rischio reputazionale: un pericolo che si può gestire

Gli opinionisti di Mark Up: Lamberto Biscarini, senior partner & managing director Boston Consulting Group (da Mark Up n. 269)

Scriveva Henry Ford: “Le due cose più importanti non compaiono nel bilancio di un’impresa: la sua reputazione e le sue persone”. Un aforisma ancora più valido nella società di oggi, dove il rischio reputazionale è esasperato dalla diffusione virale delle informazioni e dall’influenza dei social media. Un tweet indesiderato può generare effetti anche molto rilevanti. Venendo al nostro mondo, anche le aziende del fast moving e del retail sono fisiologicamente esposte a questa tipologia di rischi, perché benessere e salute sono temi su cui si concentra naturalmente l’attenzione del pubblico. Ed essendo i nostri settori vulnerabili, in casi di shock negativi con danni reputazionali i tempi di recupero sono piuttosto lunghi: per le aziende quotate, ad esempio, circa un anno e mezzo, rispetto a poco meno di un anno per quelle di beni industriali. Per questo alcuni attori sono già molto attivi nella gestione anticipata di tali rischi, concentrando gli sforzi in tre aree: benchmarking quantitativo, programmi strutturati di risk management e gestione proattiva della comunicazione. Il benchmarking quantitativo consente di confrontare la vulnerabilità intrinseca del proprio business e l’efficacia attesa delle proprie azioni di mitigazione rispetto a quelle dei concorrenti. Programmi di risk management sostenuti nel tempo, permettono di superare le tradizionali certificazioni, giudicate poco incisive e spesso criticate da Ong e consumatori. La comunicazione proattiva significa comunicare, prima che lo facciano altri, le azioni e i risultati che si stanno ottenendo, per esempio nell’ambito della sostenibilità o della sicurezza sul lavoro.

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