Sentirsi osservati

Ramazzotti Beatrice

“Quella dei piatti di plastica”. Sono passati tanti anni, eppure ancora oggi molti colleghi mi ricordano così. Correvano i primi anni 2000, eravamo a una convention aziendale -che fu anche l’occasione per salutare un direttore che andava in pensione- e io ero la dipendente più giovane e l’ultima arrivata. Ascoltai tutti gli interventi con attenzione, nessuno all’epoca spippolava sul cellulare, c’era un timore reverenziale e un’austerità di altri tempi. Quando l’allora amministratore delegato invitò i presenti a intervenire e io alzai la mano scese il gelo. Con un nodo in gola e il microfono che mi tremava in mano, chiesi com’è che portavamo avanti tante campagne ambientali, però a mensa usavamo i piatti di plastica. Ricordo un silenzio tremendo poi qualcuno, più temerario di me, accennò un battito di mani e gli altri si unirono in un applauso scrosciante, come nei film americani. L’ambiente è sempre stata una mia fissa personale, in più ero stata inserita nel gruppo di lavoro Rsi, Responsabilità Sociale di Impresa. Un tema difficile da spiegare venti anni fa, erano tante cose assieme che oggi siamo abituati a masticare: rispetto per la diversità, inclusione, pari opportunità, etica e, appunto, tutela ambientale. Un progetto lungimirante e trasversale che andava a toccare tutti i settori aziendali e che si concretizzò in corsi di formazione, progetti reali, revisione di pensieri e attività. Termini oggi ben conosciuti -e spesso abusati- come sostenibilità, green, gender equality, inclusione, muovevamo i primi passi in un’organizzazione complessa, dove ai dati economici si affiancava un ritorno di immagine legato all’etica dell’agire, anche in ambito commerciale. Ricordo colleghi che sbuffavano all’idea di aver a che fare con i dettami della Rsi, qualcuno ci prendeva in giro o banalizzava il nostro lavoro, solo oggi, a distanza di 22 anni, realizzo quanto fossimo avanti.

Quel progetto ci consentì di coinvolgere associazioni di disabili, ambientalisti, centri antiviolenza, scuole, università, giornalisti. Faticoso all’inizio, ma via via sempre più vitale, utile, coinvolgente e necessario per evolversi socialmente. In pochi anni nacque il primo supermercato dell’accoglienza d’Italia, parcheggi per disabili e donne incinte, impianti solari, attività di riuso e anti-spreco, seminari sul linguaggio e la parità tra uomo e donna, la raccolta differenziata, parametri etici nella scelta dei fornitori.

C’era un testo base che per descrivere la Rsi faceva un esempio simpatico: diceva che la maggior parte delle persone che esce da un bagno pubblico si lava le mani se ci sono altre persone intorno. Come dire che i comportamenti virtuosi ci vengono meglio se c’è un pubblico che ci osserva, sia per fare bella figura che per atteggiarsi a essere brave persone. Questo esempio dei bagni l’ho usato tante volte, anche se purtroppo non ricordo il nome dell’autore di quel testo. Sentirsi osservati, ok, ma da chi? Dagli stakeholder, un brutto inglesismo difficile da pronunciare, per definire la platea di clienti, dipendenti, fornitori, associazioni con cui entriamo in contatto ogni giorno svolgendo il nostro lavoro. A me piace sentirmi osservata dai miei stakeholder personali, Greta Thunberg, da Paola Egonu e Bebe Vio, da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, da Folco Quilici e Adriano Olivetti, da Gino Strada. È impegnativo e sfidante.

E i piatti di plastica? Dopo un po’ sparirono, sostituiti da piatti di ceramica, posate di metallo e bicchieri di vetro. Il direttore, che quel giorno andava in pensione (e che oggi riposa in pace), concluse la convention dicendo che nei piatti veri ci stava anche più cibo, e fu così che una risata seppellì sia la tensione sia una montagna di plastica.

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