Settimana lavorativa di 4 giorni: cresce l’interesse delle parti

In un mondo globalizzato le ripercussioni di una riduzione di lavoro del 20% è tutta da valutare. Nessuna pregiudiziale del Governo

La settimana lavorativa di 4 giorni è in fase di sperimentazione in Uk dove 3.300 lavoratori distribuiti in circa 70 aziende sono prossime al completamente di un ciclo di prova di sei mesi. I primi risultati sono positivi per l'88% delle imprese che hanno preso parte alla sperimentazione secondo uno studio emerso da ricerca indipendente delle università di Oxford, Cambridge e Boston College. Le imprese che hanno partecipato al programma hanno aderito volontariamente: su 70 iscritte, 6 si sono ritirate prima dell'inizio. Altri dati riportati dall'Economist relativi alla produttività fanno emergere che il 46% delle imprese ha mantenuto i livelli precedenti, mentre il 49% ha addirittura migliorato la produttività nel regime dei 4 giorni lavorativi.

In Italia il tema è sotto la lente da parte di tutti i portatori di interesse. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, come riportato da Il Sole 24 Ore, ha dichiarato in merito: "Sono disposto a riflettere partendo dalla realtà, tutto va messo in sintonia con una saggia politica industriale. Nessun pregiudizio dipende dalle condizioni del Paese: se oggi dovessimo fare una misura di questo tipo, dobbiamo stare attenti che non diventi un incentivo all'emigrazione interna visto che le grandi fabbriche possono fare di più". Favorevole il più grande sindacato italiano, la Cgil che per voce del segretario Landini ha annunciato che la settimana lavorativa di 4 giorni sarà una proposta congressuale di metà marzo. Anche la Cisl chiede una sperimentazione per verificarne gli effetti.

Il percorso di riduzione dell'orario lavorativo viene da lontano ed è stato progressivo. I milestone in Italia sono quelli del 1925 quando venne esteso a tutte le categorie lavorative un precedente accordo settoriale del 1919 per la settimana lavorativa di 8 ore al giorno per 6 giorni. La settimana di 6 giorni lavorativi fu ridotta all'attuale di 5 giorni alla fine degli anni 60, partendo dalle grandi fabbriche industriali per poi essere estesa a tutti i contesti lavorativi.

Da quegli anni ad oggi il lavoro è cambiato radicalmente. Le economie avanzate sono entrate nel quaternario economico in cui l'economia dei servizi è diventata preminente. La dimensione agricola prima e quella industriale poi hanno progressivamente perso forza lavoro grazie all'evoluzione tecnologica e a causa della globalizzazione con fenomeni anche selvaggi di dumping salariale dovuto alla pressione esercitata da domanda di lavoro a basso costo.

L'economia dei servizi ha delle caratteristiche molto differenti da quella industriale e prevede per forza di cosa che gli orari di lavoro siano spalmati lungo la giornata e la settimana. È sufficiente pensare alla ristorazione o al retail ma anche altri servizi che spesso chiedono la copertura h24 o comunque ben oltre lo slot 9-18. Se la settimana di 4 giorni lavorativi è salutata con favore perché permette un bilanciamento migliore tra tempo lavorativo e personale, occorre nel concreto verificare caso per caso la sincronizzazione dei tempi. L'ordine temporale delle grandi fabbriche degli anno 70 che imponevano un ritmo disciplinato per tutti (si lavorava tutti insieme, si riposava sempre tutti insieme), aveva il grande vantaggio di lasciare tempo di riposo comune ai componenti dei nuclei famigliari. Oggi non è più così perché l'economia dei servizi, come detto, ha logiche differenti e chiede l'incontro continuativo tra domanda e offerta spesso in modalità sincrona e non può avvenire nella concomitanza dei tempi di lavoro come in era industriale. L'introduzione della settimana di 4 giorni rischia in molti casi di esasperare la situazione perché i 4 giorni non è detto che siano i primi 4 della settimana, ma potrebbero essere articolati con turnazioni non sincrone tra loro rispetto al privato dei lavoratori.

Le settimana di 4 giorni presenta anche un altro elemento da valutare con attenzione. I processi economici sono tutti agganciati e abbattere del 20% il flusso di lavoratori nelle città comporterebbe un down economico potente. Lo smart working degli anni di pandemia ha dimostrato questo fenomeno e il suo protrarsi sta mettendo in ginocchio anche realtà impensabili. Un esempio? A causa dello smart working entrato in vigore con il Covid e mai revocato, la città di New York perde 12 miliardi di dollari l'anno con un danno per le entrate pubbliche e per i servizi enorme.

Last, but not last, vi è poi la situazione italiana. Il peso dei costi in tutti i settori correlato al macigno del debito pubblico, ha negli anni impoverito numericamente la forza lavoro. Le situazioni di sotto staff nelle imprese non sono così rare, spesso appesantiti da casse integrazioni e contratti di solidarietà senza fine. Per non parlare della pubblica amministrazione che, solo nell’ultimo decennio, ha perso oltre 150.000 addetti a causa del blocco del turn over. Portare la settimana a 4 giorni lavorativi nei pronto soccorso o nei tribunali è operazione tutt’altro che semplice.

La settimana di 4 giorni lavorativi può essere una grande opportunità di ridistribuzione della ricchezza e funzionale per ridurre il debito pubblico ma occorre sia interpretata con notevole capacità politica, altrimenti la "cura" rischia di essere peggio della "malattia".

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