Si apre la stagione turistica. O forse no

Perché è difficile destagionalizzare le attività nel turismo? Una riflessione sulle imprese e non solo sulle imprese.

Primavera, tempo di viaggi, riaperture, pulizie.

Mi trovo sul lago di Garda e osservo con gli occhi curiosi del ricercatore i molti alberghi, ristoranti ed esercizi pubblici ancora sprangati, nonostante la Pasqua ormai trascorsa. Qualcuno presenta tracce di manutenzioni straordinarie da terminare, parecchi altri sono semplicemente “chiusi per ferie”.

È uno spettacolo incongruo, perché la natura e la temperatura indicano che la stagione è ormai propizia per l’arrivo di visitatori. Anzi, gruppetti di persone si aggirano a piedi per il borgo, cercando un posto dove prendere un caffè o consumare qualcosa. Ma la località, al di là del paesaggio, non ha altro da offrire. “Tornate in estate!” sembrano dire le sedie accatastate sul lungolago.

È vero, il turismo è un’attività stagionale e pertanto i ritmi di lavoro delle imprese tendono a modellarsi sui flussi in arrivo. Ma che accade quanto tutti gli esercizi di una località chiudono contemporaneamente i battenti, lasciando un vero e proprio vuoto di offerta e magari rovinando il paesaggio e il decoro urbano? Quali effetti in termini di esperienza del turista, soddisfazione, fedeltà, propensione al passaparola?

La destagionalizzazione del settore turistico in Italia, soluzione spesso invocata nei documenti programmatici, pare difficile perché:

  • gli operatori consolidati che lavorano stagionalmente non hanno quella motivazione a “fare di più”, quando con il loro lavoro traggano già risultati soddisfacenti per sé e per la propria famiglia;
  • esiste, soprattutto nella ristorazione e nel commercio un’imprenditorialità occasionale, poco strutturata, che non investe perché non dotata di risorse, essendo anzi orientata al profitto immediato;
  • a livello di località turistica, non vi sono efficaci meccanismi di coordinamento che assicurino una apertura minima di servizi turistici fuori stagione; la decisione se aprire o tenere chiuso è lasciata alla discrezionalità aziendale;
  • le presenze turistiche tendono tuttora a concentrarsi nei mesi estivi, in particolare in luglio e agosto (la percentuale di utilizzo dei posti letto in tali mesi si colloca intorno al 60 %, ben 30 punti percentuali sopra la media annua).

In effetti, si verifica una marcata stagionalità laddove le località e le imprese godono di una rendita di posizione e si limitano ad attendere l’arrivo dei visitatori. D’altra parte, l’esperienza di nuove località di successo, come il Salento, ci insegna che è per l’appunto l’offerta a creare la propria domanda: la presenza di un prodotto turistico globale in cui confluiscono fattori di attrattiva, servizi e facilities, elementi di accesso, immagine e informazione, se ben orchestrata e comunicata on line, è in grado di attrarre flussi consistenti.

La destagionalizzazione del turismo in Italia potrebbe più facilmente provenire da attività e progetti innovativi, volti a creare prodotti turistici nuovi o ad aprirsi a nuovi mercati, in quanto:

  • le imprese di nuova istituzione hanno bisogno di rientrare degli investimenti e gli imprenditori sembrano essere più propensi a sacrificarsi in vista di risultati economici futuri;
  • le località emergenti si affidano a prodotti turistici non a consumo prettamente estivo: ad esempio il wellness, l’ enogastronomico, il cicloturismo, gli eventi indoor;
  • i turisti internazionali viaggiano volentieri in Italia in tutte le stagioni, inverno compreso, e quelle imprese o località che si indirizzano esplicitamente a tali mercati possono contare su un flusso maggiormente distribuito nel corso dell’anno. Si pensi alle ferie scaglionate dei nordeuropei o alle possibilità di incoming di viaggiatori dell’emisfero boreale durante l’inverno mediterraneo.

Forse per sviluppare il turismo “tutto l’anno” occorrerebbe ripartire dalle imprese turistiche: sembrano avere buone potenzialità quelle iniziative born global e gestite in modo imprenditoriale, con una propensione generosa verso il territorio da cui deriva la propria capacità attrattiva.

Ma anche chi non è imprenditore può contribuire alla destagionalizzazione:

  • un amministratore locale, rimuovendo gli attuali incentivi burocratici alle attività stagionali;
  • un’associazione di categoria, facendo pressione sulle imprese turistiche tradizionali affinché aperture e chiusure siano decise con senso di responsabilità verso la località;
  • un politico, considerando con occhio critico i progetti di destagionalizzazione estemporanea finanziati con fondi pubblici, come gli innumerevoli mercatini di Natale con cui si riesce solo a creare traffico in località turistiche dormienti.

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