Slow – Performance

Editoriale – Due concezioni dello slow che andrebbero prese in considerazione in questi nostri tempi travagliati. Dai quali potrebbero scaturire nuovi scenari e significati. (Da MARK UP 178)

“Questo nostro secolo, nato e cresciuto sotto il segno della civiltà industriale, ha prima inventato la macchina e poi ne ha fatto il proprio modello di vita. La velocità è diventata la nostra catena, tutti siamo in preda allo stesso virus: la vita veloce, che sconvolge le nostre abitudini, ci assale fin nelle nostre case, ci rinchiude a nutrirci nei fast food. Ma l'uomo sapiens deve recuperare la sua saggezza e liberarsi dalla velocità che può ridurlo a una specie in via d'estinzione. Perciò, contro la follia universale della 'fast life', bisogna scegliere la difesa del tranquillo piacere materiale. Contro coloro, e sono i più, che confondono l'efficienza con la frenesia, proponiamo il vaccino di un'adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati, da praticarsi in lento e prolungato godimento”.
9 novembre 1989, Parigi. Manifesto dello Slow Food.

1. Slow del futuro

Carlin Petrini, il fondatore di Slow Food e dei presìdi, può essere giudicato come un visionario lontano dalla realtà o il potenziale salvatore dei nostri stili di vita (ormai diventati sobri, più spirituali, ecosostenibili?). Oppure uno degli uomini più influenti del pianeta o un eroe del nostro tempo. Rimane il dato di quel che ha fatto e fa. Prendiamo il film “Terra Madre” che ha affidato alla regia di Ermanno Olmi, tutt'altro che un do you remember. Anzi: un do you forecast, una previsione sul futuro. Se non lo avete visto siete sempre in tempo a farlo perché un Petrini che si permette di parlare (con Olmi che assente in modo non formale) di nuovo Rinascimento che già si vede, o è matto da legare oppure coglie segni premonitori nell'indicare che “dalla caduta dell'Impero romano sono nate le pievi e poi i comuni”. Il film è girato slow, contrapposto al fast del film americano, e indica nella nuova agricoltura quell'elemento dirompente che suggerisce ai giovani di restare o tornare a lavorare i campi. La seconda parte del film, soprattutto, quella filmata dal sempreverde Olmi, non può essere scambiata per un elogio della sussistenza ma deve essere riconosciuta come un inno alla memoria, all'oggi e, soprattutto, al nostro futuro. Contrariamente a “Il mondo dei vinti” di Nuto Revelli che indicava una generazione vilipesa, ormai pronta a scomparire, questo film indica nei contadini il mondo dei nuovi vincitori, del network, nemmeno tanto virtuale, delle esperienze che vengono illustrate e scambiate in Terra Madre, un evento di Slow Food, del Salone ma anche dei simboli, di un'immagine semiologica alla quale si è inchinato addirittura Carlo d'Inghilterra. Con questo film Carlin Petrini rivaluta la filiera, il campo (ma anche l'orto domestico), chi lo lavora, le materie prime (lontane dalla borsa di Chicago), le comunità locali, l'ecosistema, la bio-diversità delle specie alimentari. Insomma: è un film che tutta la business community dovrebbe vedere e replicare nelle aziende e, perché no, nei pdv, per un posizionamento diverso. Altro che biologico!

2. Slow performance

Ci sono anche altri che parlano di Rinascimento (vedere MARK UP di aprile, alle pagg. 22-23) che nasce certamente dalla crisi, elaborando un trauma, ma anche una nuova visione, che si baserà su nuovi scenari, nuovi significati, nuovi simboli. Al centro ci saranno le persone, dice il sociologo Francesco Morace, che diventeranno imprese creative. La sua elaborazione di fast e slow approfondisce il concetto di ciclo di vita del prodotto. Lo slow, non è un momento di relax, spiega Morace, ma è lentezza performante, progettata e pensata in modo strutturale. Morace non la contrappone a fast perché parlando di abbigliamento bisogna fare i conti con Zara, H&M, Oviesse e qui il fast vince, eccome, perché nel fast vale l'intensità dell'esperienza. È necessario ristabilire un fondamentale equilibrio tra immagine e sostanza, partendo da un reale saper fare, recuperando, in linea con il nuovo Rinascimento, il concetto di “fatto ad arte”, che va oltre il valore intrinseco del prodotto, partendo dai processi costruttivi. È necessario, dice Morace, restituire dignità ai singoli materiali attraverso il talento creativo e la motivazione profonda, dando una nuova dignità al ciclo di vita del prodotto attraverso il pensiero della durata, tramite un ciclo di vita che molti target vogliono più lungo grazie a una nuova manifattura: il cappotto che dura nel tempo (certamente più costoso) o la lampada definitiva. Insomma: lentezza e performance si fondono (come un tempo?) dando vita a nuovi linguaggi espressivi, fino ad arrivare a una “performance lenta” che si arricchisce, gradualmente, nel tempo. Il ciclo di vita del prodotto, allora, si modifica come il ciclo comportamentale del consumatore. Si restringe la dimensione del tempo (vedere il web 2.0) e la relazione del prodotto e dello shopping esperienziale che non è più un rapporto negozio/prodotto vs consumatore ma negozio/prodotto vs comunità di consumatori.

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