Caso spot Parmigiano Reggiano: un problema di linguaggio e valori

La nuova pubblicità della Dop ha creato un polverone e fa da caso studio per comunicazione disallineata in quanto a codici espressivi e valori del target

Aggiornamento al 13 dicembre 2021

Com'è possibile che uno spot intenda trasmettere un messaggio e finisca per essere percepito dal consumatore esattamente all'opposto? È successo a Parmigiano Reggiano con la nuova pubblicità girata nientemeno che dal regista Paolo Genovese, che eppure (o forse anche per questo) è risultata un disastro in termini di riscontri, con polverone sui social e non solo (perfino Crozza ne ha fatto un caso di satira).
Analizziamo a seguire quello che è un caso emblematico di disallineamento in comunicazione, nonché di tipico problema di "ascolto a posteriori" come di recente accade, peraltro, a molti.

Nel video (successivamente rimosso dai social) compare la figura di Renatino, lavoratore casaro che, citazione testuale, "da quando aveva 18 anni fa questo tutte le mattine, 365 giorni l’anno" e che non ha mai visto né il mare né Parigi. Un'immagine che vorrebbe trasmettere, come ci conferma Carlo Mangini, direttore marketing di Consorzio Parmigiano Reggiano, il valore di un "prodotto senza additivi, che richiede il lavoro quotidiano, 365 giorni l’anno, tipico di un ciclo naturale di produzione magistralmente regolato da una comunità di artigiani, fieri del loro impegno".

Sullo spot Parmigiano Reggiano non solo risposte polemiche ma anche meme, come quello dell'agenzia funebre Taffo

Chi conosce Parmigiano Reggiano ed è stato in un caseificio sa bene che le caratteristiche del prodotto sono effettivamente queste e che ne fanno una Dop unica per qualità. Il problema è che la forma espressiva scelta per raccontarle risulta una sorta di inno all'insostenibilità sociale, per rimandare a uno dei temi caldi di oggi insieme alla sostenibilità ambientale. L'impressione non è quella di una persona che racconta la passione smodata per il proprio lavoro, ma di una vittima sacrificale costretta a mostrare felicità nella coercizione.

Proprio la scelta del linguaggio cinematografico firmato Genovese, in questo, non sembra aiutare, perché utilizza i codici un po' prosaici e dell'ironia legati alla finzione di quel mondo, applicati però a quello che ci si aspetta invece essere un ritratto veritiero della realtà (non è il primo brand a fare questo errore). Lo stesso attore Stefano Fresi, protagonista dello spot in veste di guida al caseificio, ha risposto alle polemiche dicendo che "non è un documentario, è una finzione", ma così la gaffe rischia di essere doppia, perché si ammette di non star raccontando ai consumatori la tanto richiesta realtà dietro al prodotto, ma una favoletta in stile Fantozzi che però, proprio non essendo trasmessa sugli schermi del cinema, non fa ridere. L'eventuale ironica iperbole, insomma, non è riuscita.

Altro tema: il disallineamento di visioni e valori tra generazioni. La generazione dei millennial e degli zeta, a differenza di quella dei boomer, non sposa più l'idea del lavoro come assoluto e indice imprescindibile di successo e realizzazione. O meglio: lo status symbol cui aspirare non è più quello del "workhaolic" con posizione di rilievo ma super-impegnato, ovvero l'alcolista del lavoro che non ha tempo per vacanze e famiglia. Oggi il vincente è quello che lavora comodo da casa con orario flessibile e tempo libero a disposizione, che ha la propria start-up svincolata dalla mentalità da ufficio, che lavora dalla spiaggia. Oggi siamo nella Yolo (you only live once) economy, la società di chi è conscio di vivere una volta sola: tant'è che, per mestieri faticosi come il pescatore o appunto il casaro, si fatica a trovare giovani bendisposti a ricoprire il ruolo. Potremmo scrivere pagine intere su come i ragazzi d'oggi non siano più quelli a cui far vedere e insegnare "L'attimo fuggente".

Dato il contesto e dato che, come spiega Mangini, "il target di riferimento andava dalle responsabili d'acquisto alle generazioni più giovani" (tra le responsabili d'acquisto, comunque, ci siamo anche noi mamme millennial), non si può non considerare che un certo tipo di prospettiva, per parlare a questa audience, non funziona più. Quel gruppo di ragazzi che nello spot dice a Renatino "sei un grande" in risposta al suo duro lavoro, nella realtà avrebbe probabilmente detto: "Ma chi te lo fa fare? Ma ti pagano abbastanza per questo?". Attenzione, quindi, a codici e immaginari di riferimento scelti e a quell'ascolto empatico di cui tanto si parla nel marketing e che è bene attuare ad anteriori oltre che a posteriori.

Come dichiara Mangini: "Ci dispiace se la volontà di sottolineare la passione dei nostri casari è stata letta con un messaggio differente, che non abbiamo avuto la sensibilità di rilevare e che, grazie al dibattito accesosi in rete, raccogliamo con grande rispetto. Questa la ragione che ci conduce a modificare lievemente la pianificazione della campagna, potendo intervenire sul quarto spot (sei i soggetti totali previsti ndr) apportando alcune modifiche che accoglieranno quanto emerso Con il rispetto dovuto, l’ascolto insegna sempre qualcosa".

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