Storytelling di marca: l’evoluzione da brand prodotto a brand persona

Storytelling di marca
Il nuovo storytelling di marca deve raccontare perché un brand esiste e non più solo che cosa fa e come lo fa, narrazione sociale e pratica vanno a braccetto

Cambiamento dei consumi, potere dei nuovi media, specializzazione dell’offerta, unitamente a globalizzazione e trasformazione dei punti di riferimento socio-culturali: questi elementi hanno modificato profondamente l’approccio allo storytelling di marca. Se osserviamo le etichette dei prodotti sugli scaffali di un supermercato la cosa appare evidente. Tra le istituzioni che si occupano di monitorare i fenomeni del largo consumo c’è l’Osservatorio Immagino GS1 Italy. Giunto alla decima edizione, lo studio semestrale incrocia le informazioni riportate sulle etichette delle migliaia di prodotti digitalizzati da Immagino con i dati relativi al volume delle vendite nella grande distribuzione rilevati da Nielsen. Grazie all’analisi dei principali messaggi on pack, emergono con chiarezza tre macro-ere di evoluzione lato consumi.

Era della disponibilità

Per la generazione delle nostre nonne, il principale driver d’acquisto era rappresentato dalla semplice reperibilità dei prodotti: si acquistava ciò che era disponibile. I primi consumatori badavano al sodo e non avevano grandi pretese, se non il buon rapporto prezzo-qualità. Un processo di selezione così lineare da risultare pressoché inconcepibile agli occhi del consumatore moderno, abituato alla sovrabbondanza d’offerta.

Era della fedeltà

La generazione delle nostre mamme concedeva a uno strumento potentissimo -la marca- di guidare e di influenzare le sue abitudini di consumo. Una stagione caratterizzata dalla consacrazione dei brand, celebrati come contenitori di valori dalle personalità ben definite, capaci di attrarre i consumatori e di ottenerne la fiducia a lungo termine. La scelta di un brand di pasta o di detersivo era (quasi) per la vita, un fatto identitario che rispecchiava anche un’appartenenza sociale e l’ambizione ad essere riconosciuti come parte di un gruppo dalle caratteristiche omogenee.

Era dell'informazione

Oggi, invece, viviamo nell’epoca dell’informazione: le etichette sono gradualmente diventate libretti di istruzioni a cui è affidato lo sfidante compito di guidare un consumatore sempre più infedele, esigente e selettivo. Un interlocutore sfuggente, mutevole e difficile da conquistare, mai così attento all’entità e alla natura dei messaggi veicolati dai pack. La sfida per i brand diventa complessa, richiede specializzazione, capacità di data mining e una forte vocazione all’autenticità, che riguarda tutto lo storytelling della marca e del prodotto.

Coinvolgimento sensoriale: la texture

Come rileva l’Osservatorio Immagino, ad esempio, il coinvolgimento dei sensi è tra gli aspetti che risultano più trasversali alla narrazione di prodotto. Mai come oggi al consumatore è suggerito cosa aspettarsi dall’assaggio di un prodotto, anticipando l’esperienza con claim quali “croccante”, “ruvido” o “extra fine”. La texture del prodotto, la sua consistenza, diventa protagonista della comunicazione on pack. Questo vale per il food, ma anche per molti prodotti del beauty, venduti grazie alle loro promesse di coinvolgimento “fondenti”, “impalpabili”, “liquide” e così via.

Italianità e regionalità

Delle 125.431 referenze monitorate, un quarto dichiara con orgoglio la propria italianità. L’origine si riconferma tra gli elementi più utilizzati dai brand per avvicinare il prodotto ai consumatori e rassicurarli, ma non solo. Se dichiararsi “italiano” costituisce un vantaggio, poter indicare anche la regione di origine rafforza il messaggio ed estende il portato dal racconto di marca. Tra le regioni più citate il Trentino, la Sicilia e il Piemonte. Al di là dell’indubbia rilevanza di queste tre regioni in termini di bontà dei loro prodotti, va sottolineato il valore dell’intelligente lavoro che hanno saputo svolgere per arricchire la propria offerta di una garanzia extra come la regionalità. La carica emotiva delle tradizioni, specie se ben raccontate e testimoniate, resta un vantaggio competitivo che altri dovrebbero fare proprio.

Tracciabilità e filiera

Il terzo messaggio più ricorrente sui pack che troviamo nei supermercati riguarda la tracciabilità dei prodotti e il ricorso a filiere controllate e certificate. Questo terzo elemento non è più un vezzo di alcuni brand, ma un impegno concreto che ha importanti ricadute sulla sostenibilità dei prodotti e sulla loro capacità di generare valore per tutti. Etica, ambiente, responsabilità sociale sono temi che vanno ben oltre la salubrità di un prodotto e che hanno un forte impatto sui consumatori più giovani e attenti.
Texture, italianità e tracciabilità sono messaggi concentrici, espressione di un desiderio, quello del consumatore, focalizzato sulla ricerca di equilibrio e appagamento su cui non si ammettono compromessi. Ad essere rincorso è il bilanciamento tra dimensioni che potrebbero apparire incompatibili tra loro: appagante e genuina, innovativa e locale, classica e inaspettata, sofisticata e accessibile e che sono, invece, espressione della nuova complessità di aspettative.

In questo scenario, l’attenzione pare concentrarsi sulle caratteristiche di prodotto, una sfida a colpi di innovazioni, filiere controllate ed esperienze palatali.
Il ruolo delle marche pare venire meno, ma non è così. Il loro obiettivo è riuscire a dare un valore superiore all’offerta. Questo si può realizzare combinando innovazione di prodotto, con un ruolo più alto, teso a creare un’empatia profonda con il consumatore. Devono essere coniugati due livelli di narrazione: uno sociale, in cui la marca prende una posizione, e uno più pratico, in cui sono argomentate e spiegate le caratteristiche della gamma.
Se la competizione è lasciata solo a livello dello scaffale, il tradizionale impianto di marca rischia di disperdere il potenziale costruito in anni di investimenti in grp (gross rating point, unità di misura utilizzata in ambito pubblicitario per indicare il livello della pressione esercitata da una campagna sul pubblico di riferimento, ndr).
A una scelta razionale va affiancata dunque una scelta emotiva, guidata dal cuore, dall’affinità verso un brand che ha avuto il coraggio di impegnarsi. La vicinanza non è più un messaggio iper-reale fine a sé stesso, ma deve tradursi in qualcosa di pratico, intimo e concreto.

Il nuovo storytelling di marca

Nel marketing contemporaneo fa capolino il concetto di soft power in contrapposizione con un più classico hard power, fatto dalle performance di prodotto, ormai divenute una commodity. Gli aspetti psicologici e sociali diventano così un mezzo per ingaggiare e creare un legame sempre più forte con il pubblico, in particolare con quello più giovane. Il nuovo storytelling di marca deve perciò raccontare il perché un brand esiste e non più solo che cosa fa e come lo fa. Si tratta di un approccio che tocca corde diverse e che ha a che fare con le motivazioni più profonde e personali, appunto, di ogni singolo individuo. Per entrare in contatto con consumatori che vivono la propria individualità come un diritto inalienabile, è necessario andare più a fondo e dimostrare comprensione ed empatia.
L’evoluzione dei consumi è influenzata ed influenza a sua volta il contesto socio-culturale in cui vive il consumatore. Dalla disponibilità all’informazione, da messaggi sensoriali ad attributi valoriali, da ambizioni sostenibili e raccomandazioni ecologiste, i brand definiscono la propria comunicazione per immergersi nelle sensibilità della propria audience, adattandosi ai suoi costumi, sposandone le tensioni e lo stile di vita.
Il nuovo storytelling di marca deve raccontare perché un brand esiste e non più solo che cosa fa e come lo fa. Un approccio che tocca le motivazioni più profonde e personali di ogni singolo individuo. Narrazione sociale e pratica vanno a braccetto

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