Tendenze & Scenari – La birra: una bevanda che ha bisogno di un display che parla

Articolo pubblicato su MARK UP 127 aprile 2005 – Gestione Category

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La birra in Italia, al di là dal livello dei consumi, è ancora in fase d’introduzione. Infatti gran parte dei consumatori è assolutamente ignorante per quanto concerne la conoscenza del prodotto: la birra continua a essere una bevanda e, in molti casi, una bevanda dissetante. Pochissimi consumatori possono definirsi intenditori e ancora meno sono quelli che accostano il prodotto in un’ottica gourmet. Almeno per quanto riguarda i consumi domestici e quindi il canale alimentare. Il discorso è molto diverso, se dovessimo discutere in merito allo scenario horeca.
I criteri che costruiscono il processo d’acquisto sono pochi e semplici: packaging (lattina, vetro), colore (chiara, rosa, scura), marca, formato. In una logica così semplice e in assenza pressoché totale di cultura, può sembrare strano che la marca assuma un ruolo ancora più importante che in altri mercati. La marca definisce gli attributi della merceologia. Per il consumatore la sua marca rappresenta il giusto colore, sapore, gradazione alcolica ecc. È per questo che la politica di marca è probabilmente il key factor più importante del mercato. Solo con una politica di marca molto articolata e con un branding molto forte si riesce a “spiegare” la birra al consumatore italiano.
Non sempre il trade segue l’industria su questa strada. Alcune insegne fanno della categoria un elemento distintivo dell’architettura assortimentale e quindi del posizionamento dell’insegna. Altre costruiscono assortimenti del tutto confusi con logiche di display e layout poco coerenti.
La categoria presenta funzioni d’uso molto differenti che vanno dal consumarla come bevanda dissetante fino a un ruolo importante nell’ambito del bere gourmet. È un vero e proprio mondo, completamente autonomo, che non deve diventare parte e neppure confondersi con altre aree di consumo. Uno degli errori più frequenti è quello di allocare la categoria all’interno o, in ogni caso, molto vicino alle bevande analcoliche. Ciò equivale a banalizzarne il consumo in un paese che deve ancora capire l’importanza e la complessità merceologica e culturale del prodotto.
Non esiste un’architettura assortimentale giusta. La categoria, molto più di altre, deve essere trattata in modo coerente con la strategia di positioning dell’insegna e con il format del negozio. Individuata l’area del layout che mette la birra al riparo dalle inevitabili contaminazioni (bibite), è necessario costruire una logica assortimentale che salvaguardi e dia forza al posizionamento dell’insegna.

Le due strategie
Se la strategia di quest’ultima è quella di rivolgersi a target evoluti cercando di differenziarsi rispetto ai competitor, la categoria diventa, a tutti gli effetti, un pilastro dell’assortimento. Questo perché ha le caratteristiche per poter comunicare, attraverso le logiche assortimentali, i tratti di distintività dell’insegna. In questo caso la struttura assortimentale è molto profonda, soprattutto nell’area delle birre estere, delle specialità e dei packaging. Una vera e propria “cantinetta” che propone le logiche del mondo dei pub e delle birrerie. Se invece il posizionamento dell’insegna è molto tradizionale e soprattutto rivolto a un target tradizionale, l’ampiezza può essere tranquillamente ridotta e la profondità può svilupparsi unicamente in funzione dei formati e dei pack.
Una cosa è certa. È assurdo cercare di dare profondità e ampiezza in assenza degli spazi adeguati a permettere la distintività delle singole referenze e delle aree differenzianti del display. Soprattutto quando lo scaffale non comunica. In assenza di consumatori acculturati sulla materia, lo scaffale deve comunicare: spiegare le merceologie, l’origine, gli abbinamenti gastronomici e la cultura del prodotto. Se non si è capaci, meglio affidarsi ai produttori, ovviamente con le necessarie verifiche delle performance.

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