Terzo settore e business, collaborazione all’insegna della sostenibilità

Promuovere partenariati pubblico-privato può assume un ruolo trainante e strategico nella transizione verso un’economia verde. Con induzione nella crescita del Pil.

Con "sindrome della capanna" gli esperti hanno definito quel tipo di “ansia sociale” a cui in molti sono particolarmente soggetti in questo periodo, magari per via della perdita del proprio posto di lavoro a causa della pandemia, o della sovraesposizione alla tecnologia, che oltre ad “Elettrosmog” e a forme di “inquinamento domestico”, sta impattando fortemente a livello psicologico, con conseguenze per il prossimo futuro assai nefaste.

Ecco perché vi è l’urgenza di mettere a punto contromisure concrete a questa situazione, tutt’altro che limitata all’ambito sanitario, gestendo cum grano salis l’iniezione di risorse pubbliche che arriverà dall’Europa attraverso Next Generation EU, che ha il compito di frenare l’emorragia di posti di lavoro, di attività economiche, di opportunità di sviluppo, ponendo le premesse per una vera ripartenza.

Tra i molteplici aspetti su cui ci si potrebbe soffermare, è interessante andare a toccare un ambito tradizionalmente tacciato di marginalismo e supplenza, ma che al contrario ha rivelato (ben prima della pandemia!) come non mai la sua estrema importanza per il futuro, e chiama a gran voce una rideterminazione di percezione. L’ambito è quello del terzo settore, dell’economia sociale, di per sé un cantiere in continua evoluzione con obiettivi economici, sociali, politici e culturali.

A livello globale, il concetto generale di ESS - “Economia Sociale e Solidale” è stato ribadito dall’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro,  in diverse occasioni importanti. In particolare, nel 2019, anno del proprio centenario, l’organizzazione ha adottato all’unanimità la Dichiarazione per il futuro del lavoro, affermando la necessità di “sostenere il ruolo del settore privato quale fonte primaria di crescita economica e creazione di lavoro, promuovendo un ambiente favorevole all’imprenditorialità e alle imprese sostenibili, con particolare riferimento a micro, piccole e medie imprese, come pure alle cooperative e all’economia sociale e solidale, al fine di generare lavoro dignitoso, occupazione produttiva e livelli di vita migliori per tutti”.

A livello europeo, la stessa presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, di concerto con Green Deal e digitalizzazione, ha fatto rientrare l’economia sociale nella triade delle priorità della sua presidenza. Ha, di fatti, commissionato un ambizioso Piano d'azione per l’economia sociale (2021-2026), che sarà approvato entro la fine del 2021 (Pilastro europeo dei diritti sociali). Questo piano è stato presentato dal commissario europeo per il lavoro, Nicolas Schmit, come un elemento cardine nella strategia di ripresa a lungo termine dell’UE, con l’obiettivo di integrare l’economia sociale nelle politiche socio-economiche dell’Unione, e come fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi in tema di sviluppo sostenibile. Ciò è particolarmente importante perché il piano d’azione europeo potrebbe essere l’esempio concreto di una strategia che si propone di uscire dalla crisi mettendo l’occupazione e l’economia a misura d’uomo nel cuore di un programma di ripresa a lungo termine. Il tutto adattando il piano su base locale e rendendo operativa l’agenda di cambiamenti verso uno sviluppo più inclusivo e sostenibile.

Il potenziale per fare bene c’è: in Europa, secondo le stime del Comitato economico e sociale europeo, oltre 2,8 milioni di imprese e organizzazioni rientrano nell’economia sociale, con una forza lavoro di oltre 19,1 milioni di persone occupate in imprese sociali.

Le diverse tipologie di imprese sociali, inoltre, mostrano, una notevole capacità nella produzione di servizi di interesse generale sia attraverso forme più flessibili di contrattazione sia abbassando i costi di produzione tramite il coinvolgimento di stakeholder e volontari.

Venendo al contesto italiano, i dati Eurostat in materia (Eurostat, Labour force surveys e Demographic statistics), fanno emergere come, nel 2019, prima della pandemia, per ogni mille abitanti vi erano 79 lavoratori impegnati nei settori dell’istruzione, della sanità, dell’assistenza sociale e del welfare in generale, risultando al penultimo posto in Europa, ultima dopo la Romania. Ambendo ad adeguarsi alla media europea servirebbero 2 milioni di lavoratori in più, ed un fattuale superamento dello spontaneismo per al cui il terzo settore erano lasciati gli interstizi dal settore privato e pubblico.

Non lo strumento congiunturale per interventi di soccorso alla marginalità o la stampella del welfare pubblico, ma una scelta strutturale di trasformazione, con una visione di lungo periodo, l’economia sociale è stata protagonista anche del webinar dello scorso 8 aprile 2021 “Verso un Action Plan per l’economia sociale”, a cura di Fondazione Italia Sociale e organizzato con Comin & Partners, a cui ha partecipato pure il Ministro per il Lavoro e le Politiche Sociali del Governo Draghi, Andrea Orlando.

L’idea di fondo è quella dell’adozione di un approccio che non operi in via compensativa con interventi di giustizia sociale, ma miri ad incentivare lavoro e mobilità sociale attraverso attività economiche sostenibili. Bisogna, quindi, riconoscere che l’economia sociale deve giocare un ruolo di rilievo nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), contrastando la violenta polarizzazione sociale in atto. L’urgenza di co-progettazione e inclusione del terzo settore per l’Italia è fondamentale in quanto accoglie l’indirizzo che, come sopra precisato, viene anche dall’Europa, ma soprattutto perché rappresenta l’anello di congiunzione tra settori che può abilitare nella concretezza alla sostenibilità socio-ambientale.

Una componente di investimento nella cultura civica è altresì attesa, dato che ancorarsi alle vecchie abitudini, alle vecchie mentalità, ai vecchi sistemi, porta solo a vecchi ed insostenibili risultati. Qualcosa di inconcepibile in un mondo provato da una molteplicità di shock non sanati, e per cui l’economia deve essere per necessità sociale.

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