Tra la sharing e la shut-in economy chi vince? La shar-in economy

Cresceranno e si affermeranno le piattaforme in grado di condividere un accesso a servizi ad alta intangibilità e bassa condivisione fisica

In principio era la condivisione, e la condivisione sembrava un modello di business inossidabile. Adesso sembra che sia l’economia dell’isolamento ad aver preso il sopravvento e a presentare maggiori potenzialità di sviluppo. Tra le tante ripercussioni generate dall’emergenza del coronavirus, vi è quella di aver creato impatti molto differenti tra le imprese della sharing economy e di aver rialzato le prospettive delle imprese della cosiddetta shut-in economy.

Negli anni più recenti, molte ricerche hanno confermato il successo della sharing economy; si è calcolato che i vari settori di questa economia sono stati in grado di raccogliere oltre 23 miliardi di dollari dai venture capital negli ultimi dieci anni, e che le stime di crescita erano in molti casi a doppia cifra, come ad esempio nel car sharing (23%), nell’home sharing (31%) o nel labour sharing (37%). Soprattutto, la sharing si è affermata come un comportamento radicato nello stile di vita di milioni di persone che giornalmente condividono una macchina o una moto per andare al lavoro, si collegano ad un’app per ricevere un pasto all'ora di pranzo o che pernottano in una casa altrui per visitare una nuova città.

Con il regime #iorestoacasa è come se la condivisione fosse diventata di colpo una diseconomia e non fonte di valore. Molte di queste imprese, infatti, sono entrate profondamente in crisi e sono state costrette a sospendere o ridurre i propri servizi, anche per limitare i costi e i rischi legati ad una costante sanificazione dei propri beni. Colossi come Airbnb, Lyft e Uber hanno visto ridurre le proprie quotazioni; nell’ultimo mese (tra il 2/3 e l’1/4), le azioni di Uber sono calate di circa il 21% e quella di Lyft di circa il 31%, a fronte di un andamento negativo dell’indice Standard&Poor500 di meno 17%. Anche Airbnb ha dovuto rivedere, con un forte ribasso, le stime di fatturato dell’anno in corso.

Questi dati ci dicono che le piattaforme sharing che stanno soffrendo di più sono quelle che offrono proposte di valore ad elevata tangibilità ed in grado di soddisfare un beneficio prevalentemente di risparmio economico (secondo una nostra ricerca Lumsa, questa tipologia rappresenta oltre il 30% delle piattaforme presenti in Italia). Anche la tipologia delle “piattaforma di comunità e per fini sociali” (che valgono circa il 25% del totale), sta segnando il passo della crisi, proprio perché si è ridotto, se non addirittura annullato, il loro potenziale di condivisione fisica, anche se per fini sociali.

Se l’emergenza produrrà effetti duraturi nei comportamenti degli individui e se ad esempio l'andare in ufficio verrà sostituito dal lavorare da casa, se guidare fino al supermercato sarà sostituito da una consegna a domicilio o se ad esempio andare in palestra sarà sostituito da un fitness in streaming, allora per questi modelli di business sarà difficile garantire ritorni elevati ai propri investitori. Secondo alcuni, come Lichfield direttore del MIT Review, è proprio questo lo scenario più probabile: i comportamenti saranno diversi rispetto al passato, “non torneremo più alla normalità”. Allora, cresceranno e si affermeranno quelle piattaforme che sono in grado di condividere un accesso a servizi ad alta intangibilità e bassa condivisione fisica (circa il 20% del totale).

Il crowdfunding e la produzione collaborativa, piattaforme nate per la raccolta di fondi e la generazione di idee e soluzioni creative, sono esempi che recentemente hanno avuto un’impennata di utilizzo, anche per sostenere il mondo della sanità e offrire soluzioni ai numerosi problemi legati all’emergenza. Anche quelle di apprendimento collaborativo, che offrono corsi online o MOOC, sono state intensamente utilizzate, considerata la necessità di scuole ed università di garantire una didattica a distanza a tutti gli studenti, dislocati però singolarmente presso le loro case. Oggi sono i modelli spuri che vincono; quelli in grado di garantire una produzione e un consumo isolato ma, con un’elevata flessibilità strutturale ed adattamento alla volatilità del mercato, volumi di produzione dinamici e naturalmente bassi costi produttivi. In fondo, è come dire che si prende il meglio dai vari modelli: la sharing e la shut-in economy si uniscono in una nuova formula di successo. La shar-in appunto!

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