Tracciabilità alimentare: l’argine alla concorrenza selvaggia

Negli ultimi anni gli imprenditori italiani hanno levato un grido di dolore costante di fronte alla dirompente concorrenza asiatica, forte di un costo del lavoro abissalmente più basso e standard produttivi non in linea con quelli europei. Si tratta di argomenti solidi ma che in diverse occasioni sono utilizzati per mascherare una perdita di competitività che ha un'origine endogena. Le risposte date dalla politica hanno spesso evidenziato i limiti della stessa. Facciamo un riassunto delle posizioni espresse negli ultimi anni.

1. "È la globalizzazione, occorre puntare su prodotti ad elevato valore aggiunto e in qualche modo uscire dai mercati suscettibili a concorrenza selvaggia e globalizzata".

2. "Dobbiamo premere sui paesi emergenti in modo che adottino politiche che incentivino l’utilizzo di modalità produttive sostenibili".

3."Dobbiamo mettere dei dazi all’ingresso e proteggere i nostri mercati".

Si tratta di argomentazioni che vanno dall’impraticabile al demagogico anche perché mai accompagnate da una contestualizzazione.

Da non perdere
L’alimentare italiano è uno dei settori economici più importanti per l’economia nazionale. I cosiddetto primario più l’industria del largo consumo alimentare vale 220 miliardi di euro, circa il 9% del Pil nazionale (fonte: Nomisma). Un settore pesantemente “offeso” dalla contraffazione alimentare soprattutto delle materie prime. Un fenomeno che si può contrastare con la definizione di standard di qualità non aggirabili ed esigibili da qualunque produttore. In altre parole, o la materia prima dell’agroalimentare è prodotta con determinati standard oppure non entra in Italia. L’imposizione di standard qualitativi e di sostenibilità rappresenta il più micidiale dei dazi per un’economia globalizzata come la nostra. L’applicabilità di questa strategia dipende però dalla possibilità di tracciare e rintracciare un prodotto alimentare. Operazione che oggi, grazie alle moderne tecnologie, è possibile in modo efficace.

Il test di Gs1
GS1 Italy - Indicod-Ecr, nell’autunno del 2013 ha organizzato il primo test nazionale di tracciabilità finalizzato a verificare la capacità della filiera di tracciare e ritirare i prodotti utilizzando gli standard GS1. Il test è stato incentrato su un possibile ritiro di un prodotto alimentare dotato di standard Id Gs1. Sono state coinvolte aziende del largo consumo quali Fattorie Osella, LeSaffre Italia e Mondelez Italia e la distribuzione con Sisa. Le merci sono state identificate attraverso Gtin (Global Trade Item Number), lotto di produzione, data di scadenza (se presente) e stabilimento di produzione o Bollo). Quindi Gs1 Sscc (il numero sequenziale del collo), le quantità, luogo di spedizione e ricevimento e infine numero del documento di trasporto. Queste informazioni sono state inviate da produttori e distribuzione (che ha aggiunto il punto di vendita) per un confronto. L’analisi dei dati ha consentito di identificare correttamente il prodotto e tutti i flussi di movimentazione dei prodotti sotto test.

Europa e mondo
Il test di GS1 Italy - Indicod-Ecr è un esempio per l’intera Ue. Se venisse adottato da tutti i paesi dell’Unione e raffinato sui flussi in import, diverrebbe l’argine più efficace alla contraffazione e alla concorrenza selvaggia. Tecnologie e metodologie ci sono e funzionano. La parola alla politica...

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