La capacità di un Paese di creare ricchezza dipende anche dal suo andamento demografico: più cresce la popolazione più aumentano i consumi e si alimenta la forza lavoro. Per questo i recenti dati diffusi dall’Istat sul trend negativo dei residenti nel nostro Paese destano preoccupazione. I dati demografici aprono anche una nuova prospettiva per leggere le informazioni che abbiamo a disposizione. In sostanza si tratterebbe di arrivare a valutare la crescita in base a indicatori pro-capite. Applicando questo principio si ottengono risultati sorprendenti: la crescita del Pil 2016 dell’Italia è pari all’1,1% (anziché lo 0,9% complessivo), superiore a quello della Francia (0,8%), dell’Inghilterra (1,0%) e della Germania (0,7%). Messo quindi in relazione con la sua “capacità di produrre Pil” il nostro Paese mostra una velocità di uscita dalla crisi superiore a quella delle altre grandi realtà europee. Sarebbe quindi auspicabile agire per fare dell’elemento demografico, nella sua dinamica e nella sua struttura sociale, un fattore di sviluppo: sostenendo la natalità con misure che vadano oltre ai bonus per abbracciare un indirizzo di lungo periodo capace di produrre risultati strutturali; superando le diseguaglianze che, acuite dalla crisi, stanno caratterizzando la nostra società; sostenendo le fasce più deboli della popolazione; disegnando una società inclusiva, capace di trarre valore dagli imponenti flussi migratori in atto. Affrontare il tema demografico significa imprime un impulso alla crescita fondamentale, gettando le condizioni per un aumento dei consumi, l’unico fattore in grado di portare il Paese fuori dalle secche di una crescita dello “zero virgola”.
Un nuovo modo per valutare la crescita
Gli opinionisti di Mark Up