Valdobbiadene, il prosecco diventa patrimonio dell’Unesco

Focus vino News –

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Il Consorzio per la Tutela
del vino Prosecco di Conegliano
Valdobbiadene si prepara
a grandi novità sul versante
riserva del nome e modifica del
disciplinare.

Per questo ha deciso di avviare
una strategia capace di consolidare
il territorio come elemento
qualitativo differenziale. Per
raggiungere l’obiettivo, è stata
anzitutto voluta la modifica del
disciplinare, in funzione dell’ottenimento
della Docg e che
porterà in primo piano il nome
di territorio, accompagnato dall’aggettivo
Superiore.

La seconda novità si presenta
come una sfida non certo meno
complessa. L’area di riferimento
per il prosecco intende intraprendere
l’iter per il riconoscimento
a patrimonio Unesco.

A oggi non esiste in Italia un
territorio che abbia ottenuto la
qualifica grazie alla viticoltura.
Tale riconoscimento, per molti
luoghi storici del nostro paese,
lo si deve ad altre motivazioni:
come la presenza di monumenti
di pregio, siti archeologici e
beni ambientali.

Qui, con le colline cariche di
vigneti e un ambiente ancora
incontaminato, secondo i tecnici
ci sarebbero i requisiti per
vincere con il proprio valore
ambientale.

     
  Wine Project Inc. contro la congiuntura  
  Il Brunello di Montalcino, nonostante la congiuntura economica,
sembra tenere bene sui mercati di tutto il mondo. Deli
oltre 6 milioni di bottiglie prodotte, il 60% è stato venduto sui
mercati internazionali. In particolare quello americano assorbe
il 25% della produzione.

Wine Project Inc. è una società Usa a capitale italiano creata
appositamente da Fattoria dei Barbi, per importare e distribuire
direttamente negli Stati Uniti le proprie etichette oltre
che una selezione di vini delle più importanti cantine italiane.
Il progetto nasce per esasperazione, perché risolve il problema
relativo alla mentalità dell’importatore americano, che ragiona
più sui volumi di prodotto che sul fatturato.

Contano di più le 50.000 casse di un Soave che le 5.000 di un
Brunello di Montalcino, anche se di fatto fatturato e utili sono
maggiori. La scelta di condivisione dei servizi offerti dalla struttura
con altri produttori è stata fatta per renderla più forte, perché
permette di suddividere i costi e di ampliare l’offerta. Si
tratta di una struttura piccola e leggera. Viene coordinata dall’Italia
e da un socio di fiducia in America, la piattaforma logistica
nel New Jersey non è di proprietà. Si sfruttano strutture
che non ci sono in Italia: magazzini pubblici, con grandi spazi
di stoccaggio, informatizzati con costi competitivi.

Viene così adottata una sorta di filiera corta escludendo la figura
dell’importatore. Praticamente è l’azienda stessa che va a vendere
direttamente, in una sorta di porta a porta, con prezzi più
bassi, ma in questo momento più realistici, senza svilire la qualità
del prodotto. Gli Stati Uniti rappresentano approssimativamente
il 20% delle vendite totali di Fattoria dei Barbi.
 

Ottime performance per Franciacorta

Secondo i dati rilasciati dal Consorzio
per la tutela del Franciacorta
sono state 9.671.564 le bottiglie
di Franciacorta immesse sul
mercato nel 2008, con un incremento
del 16% rispetto al 2007,
che a sua volta aveva registrato un
forte incremento dall’anno precedente.
A confermare la crescita del
sistema Franciacorta anche l’aumento
della superficie vitata sul
territorio della denominazione,
salito a 2.215 ettari (+5% rispetto
ai 2.115 del 2007) e l’aumento
dei soci aderenti al Consorzio: 15
in tutto, fra i quali 7 viticoltori e
8 imbottigliatori, per un totale di
366 associati.
Il metodo Franciacorta è considerato
tra i più rigidi. Una conferma
arriva dal nuovo disciplinare di
produzione Docg pubblicato in
Gazzetta ufficiale nel luglio 2008,
il quale interviene in termini di
allungamento dei tempi di affinamento
sui lieviti per alcune tipologie,
limitazione della base ampelografica
per valorizzare il vitigno
Chardonnay, incremento della
densità d’impianto e inserimento
della riserva vendemmiale, ovvero
la possibilità di accantonare parte
della produzione in vino di una
specifica annata, tenendola bloccata
come riserva di vino disponibile,
da utilizzare nel momento
in cui si creano situazioni produttive,
che richiedono di attingere
a dette riserve di vino aziendale.
L’iter di approvazione non è stato
facile e ha richiesto una capillare
azione di informazione e coinvolgimento
delle circa cento cantine
e dei trecento viticoltori produttori
d’uva. Il fattore vincente del
territorio Franciacorta può essere
ritrovato nel fatto che è strutturato
come una filiera completa:
tutte le cantine sono produttrici
delle uve, che vinificano al loro
interno, e successivamente sono
protagoniste con le proprie etichette
sul mercato. È sul versante
della comunicazione che il Franciacorta
sembra serbare ancora
un discreto margine di manovra.
Tra gli obiettivi perseguiti spicca
la volontà di consolidare la riconoscibilità
del marchio franciacortino
all’estero, in particolar modo
in Germania, dove si concentra il
30% dell’esportazione.

La patria delle cooperative
fa il buon vino

Il Trentino è territorio vitivinicolo
con aree molto eterogenee:
9.845 ettari dedicati al
vigneto, di cui il 61,7% a uve
bianche, con una dislocazione
dei vigneti che copre il 39% del
fondovalle, mentre il 41% è in
collina e il 20% in montagna. Il
patrimonio comprende un’ampia
schiera di vitigni, tradizionali
e non. Tra i bianchi:
Nosiola, Müller Thurgau, Traminer,
Chardonnay; tra i rossi Marzemino
di Isera e degli Ziresi,
Terodelgo della Piana Rotaliana,
Pinot nero. La provincia è patria
della cooperazione. Conta infatti
oltre 227.000 soci di cooperative.
La realtà è fatta di 8.000
conferitori, 17 cantine sociali,
un consorzio di secondo grado,
un milione di quintali di uva
e 8.100 ettari di viti. All’interno
spiccano tre colossi: Cavit,
Mezzacorona e La-Vis. A questi
soggetti fa capo complessivamente
una quota di mercato del
vino provinciale che si attesta
intorno al 90%.

• Il peso della vitivinicoltura sul
comparto agricolo è altissimo:
il 32%.

• Una produzione votata all’eccellenza
con l’88% di vini Doc
e costanti incrementi di superfici
vitate.

• Il settore è di fatto gestito dalle
cooperative: le tre principali
producono il 90% del vino trentino.

     
  Quattro aree vocate per un solo territorio  
  Cantine, vigneti, filari: ogni angolo provinciale è ricco di
grandi suggestioni enologiche. E su tutto primeggia una denominazione
dalle grandi potenzialità, quella della provincia di
Agrigento. Menfi, Santa Margherita Belice, Sciacca, Sambuca
di Sicilia, Contea di Sciamani sono i comuni dove si esprime al
meglio il suo valore. Il territorio vanta una straordinaria varietà
di microclimi che dà vita a vini profondamente diversi tra loro
a seconda che nascano in corrispondenza del lago Arancio, della
collina, del mare o della pianura. Quattro aree vocate dove le
uve, il Nero d’Avola in primo luogo, esprimono caratteristiche
organolettiche inconfondibili.

Più di 2.000 ettolitri certificati, per un totale di 300.000 bottiglie,
quasi 5 milioni e mezzo di metri quadrati e 39 denunce
di produzione. In termini economici si parla di 1,5 milioni di
euro. Questi sono i numeri espressi dalle cinque Doc della provincia
di Agrigento.
 

La Calabria, terra di vini autoctoni e grandi passioni vitivinicole

Tra le regioni italiane a vocazione
vitivinicola ce n’è una
che riesce ancora a sorprendere
con i suoi territori dalle potenzialità
inespresse. È la Calabria,
che non riesce a imporsi
con prodotti di rilievo (si contano
sulle dita di una mano).
La casa vinicola dei Librandi,
in particolare, emerge con la
forza trainante di quattro generazioni
dedite alla coltivazione
della vite, con prodotti di alto
livello che nascono nei territori
vocati delle Doc Cirò e
Melissa. A Rosaneti 250 ettari
raccolgono 194 varietà di vitigni
autoctoni, una collezione
di inestimabile valore iniziata
nel 1993, quando ancora gli
autoctoni non erano una scelta
trendy. Per tre anni i ricercatori
dell’Università di Milano,
poi dell’Università e del Cnr di
Torino e dell’Istituto Agrario
di San Michele all’Adige hanno
setacciato le vecchie vigne della
Calabria alla ricerca di esemplari
superstiti degli antichi
vitigni. Ogni candidato trovato
è stato sottoposto all’analisi
del Dna per stabilire con
certezza l’appartenenza a questa
o quella varietà. Da questa
attività è iniziato il recupero
del patrimonio ampelografico
calabrese. Alla fine, partendo
da 174 candidati, la ricerca ha
portato a individuare ben 79
vitigni distinti, che sono stati
piantati in lotti sperimentali
per verificarne le potenzialità.
Alcuni di questi sono già diventati
vini di grande successo,
come il Magno Megonio da uve
magliocco o l’Efeso, fatto con
uva montonico. Ma è solo l’inizio.

Il vigneto sperimentale con i
filari disposti a spirale è l’emblema
di un’azienda che ha
saputo conquistarsi fama e credibilità
sul campo anche nei
numeri: 300 ettari coltivati,
una cantina coperta di 6.500
mq che lavora 30.000 quintali
all’anno e imbottiglia 2,5
milioni e mezzo di bottiglie (il
potenziale è di 4,5 milioni),
molte delle quali prendono la
via dell’export, in particolare in
Germania.

     
  Gancia si consolida  
  Un progetto globale di rilancio è quanto Gancia presenta in
occasione del Vinitaly, sottolineando rebranding, riorganizzazione
interna e portafoglio prodotti sinergico. L’azienda intende
così cogliere opportunità di fatturato in segmenti meno esplorati,
mediante prodotti d’immagine e di posizionamento premium.
L’obiettivo è primariamente di rinnovare il percepito
di brand incrementando i contatti con le fasce d’età più
giovani
. La gamma Pinot di Pinot si arricchisce di due nuove
referenze dedicate al canale horeca, fra cui il Rosé 20 cl. Nell’area
spirits si registra l’acquisizione di nuovi marchi: Stolichnaya,
Moskovskaya ed Elite nel segmento delle vodke; nonché
la distribuzione in esclusiva per l’Italia del portfolio Bols, distilleria
di Amsterdam (Paesi Bassi). Nell’ambito dei vini il lancio
del nuovo vitigno Bric Carlot Albarossa 2006.
 

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