Verba volant: nascita e declino dei social network audio-based?

I social media basati sulla creazione di contenuti audio sembrano rivoluzionare il mondo social, ma l’effimerità dei contenuti ne rende più difficile il controllo

Nell’aprile del 2020, una società americana chiamata Alpha Exploration Co., lancia sul mercato una app che sembra essere la nuova frontiera dei social network e che promette di rivoluzionare il modo in cui le persone interagiscono online: Clubhouse.
Clubhouse si distingue dagli altri social network per una caratteristica fondamentale: è un social il cui funzionamento si basa su chat audio ad invito, le cosiddette “rooms”. Queste stanze virtuali sono create dagli utenti stessi che le gestiscono e creano contenuti audio, tipo Podcast, e nelle quali altri utenti, invitati dal creatore della stanza, possono interagire. Insomma, una sorta di conference call. Tuttavia, quando la stanza viene chiusa i messaggi inviati si cancellano. In queste stanze private l’amministratore ha il compito di moderare gli invitati e i loro interventi vocali. Infatti, all'interno delle “rooms” ci sono tre possibili ruoli: moderatore, speaker o ascoltatore. Il moderatore è colui che gestisce la stanza e la conversazione, invita gli utenti o toglie la parola agli invitati. Lo speaker è l'utente che ha ricevuto l'abilitazione a parlare. L'ascoltatore è l'utente che partecipa muto alla conversazione.

Sebbene le nuove generazioni, ma anche ormai i cosiddetti boomer, si siano abituati al ritmo incalzante col quale nascono nuove app per socializzare, Clubhouse rappresenta un unicum nel panorama dei social network. Infatti, basa tutta la sua value proposition sul dare voce agli utenti del web. Tuttavia l’hype iniziale, dovuto alla novità del social network sul mercato, dagli interventi di personalità di spicco (il fondatore di Tesla, Elon Musk è solito prendere parte a discussioni su Clubhouse) o dalla possibilità di sfruttare altri tipi di comunicazione (verbale) oltre quella visiva (come Instagram o Facebook) è stato generato prevalentemente dal contesto esterno e dal momento in cui l’app è stata lanciata, ovvero durante il lockdown. Il confinamento sociale, l’impossibilità di stringere rapporti o, semplicemente di confrontarsi, ha spinto la nascita di nuove forme di interazione sui social media.

Tuttavia, il recente declino nella popolarità dell’app sembra frenare la corsa di questo nuovo modo di interagire. Le cause possono essere molteplici.
La prima, evidente, è che bisogna avere qualcosa da dire e che, preferibilmente, dovrebbe essere interessante da ascoltare anche per altri. Questo, di per sé, potrebbe non essere un problema, ma lo diventa quando gli argomenti o le notizie che si diffondono non sono veritiere ed aumentano il flusso di fake news che già popolano i social media di più lungo corso. La diffusione di fake news o di contenuti razzisti, antisemiti o misogini è facilitata dall’impossibilità, da parte della piattaforma, di controllarne il contenuto.
La seconda, da un punto di vista strategico, rappresenta la creazione di mercati blu ocean per le imprese che, ad oggi ancora non sfruttano l’“omnicanalità” dei social network, rendendo l’appealing della monetizzazione dei contenuti pressoché nullo.
Terzo, sembra che i contenuti che richiedono un impegno intellettuale, una certa focalizzazione e concentrazione per poter essere compresi (non possiamo ascoltare e interagire se facciamo altro) creino delle barriere alla fruizione tali per cui, le grandi masse, che cercano svago e contenuti ludici poco impegnativi sui social (guardiamo delle immagini mentre siamo in tram o mentre assistiamo a una presentazione), non ne percepiscano il valore e/o il bisogno.

La frontiera dei social network audio-based ha portato a una vera e propria corsa agli armamenti dei grandi player dei social media tradizionali per lanciare piattaforme concorrenti a Clubhouse. Per esempio Spaces, lo spazio di microblogging audio-based lanciato da Twitter o Greenroom di Spotify o ancora Live Audio Rooms di Facebook. Tuttavia, lo stato embrionale dei social network audio-based non ci permette ancora di elaborare scenari evolutivi e nemmeno capire se sopravvivranno al mondo post-pandemico, al ritorno alla socialità e al contatto tra umani.

Ci possiamo però interrogare su alcuni aspetti chiave dal punto di vista strategico e manageriale. Il primo interrogativo che dovremmo porci è se queste piattaforme, come quelle tradizionali, faranno nascere degli influencer audio-based, magari con capacità empatiche e carismatiche tali da avere effetto anche sulle abitudini di consumo di chi li ascolta. Ci potremmo interrogare sull’influenza che hanno le immagini rispetto al suono nella persuasione nell’acquisto, o se un'immagine influisce più o meno di un tono di voce. Il terzo interrogativo è dato dalle opportunità che questi canali rivestono per le imprese. Mentre appare facile sponsorizzare un prodotto o servizio attraverso immagini e video, più difficile è raccontare un prodotto o convincere, con le sole parole, a fidarsi di un determinato brand. Il quarto interrogativo è dato dalla possibilità di moderare il contenuto creato dagli utenti. I contenuti audio-based e le stanze, il cui accesso è su invito, sembrano essere difficilmente controllabili e il potenziale nel diffondere fake news o contenuti moralmente non accettabili sembra ancora altissimo. Il quinto riguarda la capacità (di pochi) di creare contenuti in grado di attirare l’attenzione delle persone. In ultimo, ma non meno importante, bisogna domandarsi se siamo ancora disposti ad ascoltare e dedicare tempo a delle parole e dei concetti che ci richiedono attenzione.

Augusto Bargoni*, Ph.D fellow presso il Dipartimento di Management, Università di Torino

Chiara Giachino*, Ph.D., Associate Professor in Marketing presso il Dipartimento di Management, Università di Torino

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