Verso una nuova shopping experience

Servono nuovi paradigmi per definire l’esperienza instore e digitale, con logiche che vanno oltre l’omnicanalità intesa fino a oggi. Il parere di progettisti e retailer (da Mark Up n. 290)

Indietro non si torna: questo è il commento più comune immaginando il post Covid, valido per ogni ambito della vita, sociale, famigliare, lavorativa ed economica. Un’affermazione che impatta in maniera profonda anche nella gdo, con la chiara la consapevolezza che si stanno modificando in maniera duratura i comportamenti di consumo (e non solo), con effetti che ancora non si conoscono bene. Un esempio per tutti: lo sviluppo esponenziale dell’eCommerce, cresciuto in tutti i comparti, adottato anche da chi l’ha poco amato, nel food, come nel non alimentare, e driver che, seppur diminuirà rispetto all’emergenza, segnerà i modi di fare acquisti. Lo dimostrano il diffondersi delle assistenti virtuali, le nuove forme di social shopping, i mirror per provare i prodotti, le nuove tecnologie che tentano di “scaldare” il rapporto verso la multisensorialità per creare maggiore feeling con i clienti. Perché la vera domanda è: come si trasformerà la shopping experience, vero cavallo di battaglia di questi ultimi anni?

“Ci attende una sfida molto importante perché il Coronavirus ha toccato una dimensione fondamentale della nostra vita, quella fisica, un fatto clamoroso: siamo di fronte a cambiamenti radicali destinati a incidere profondamente nel modo in cui usufruiamo di beni e servizi -spiega Massimo Fabbro, presidente e fondatore di Dinn!, società internazionale di retail design innovation-. eCommerce e digitale, da un lato, e rivoluzione della dimensione relazionale verso nuove forme, dall’altra, sono i fattori che spingono il cambiamento e di cui bisogna tenere conto per immaginare e realizzare strategie adeguate”.

Affermazioni sostenute anche da recenti ricerche di McKinsey che, anche sulla base di prime evidenze dal mercato cinese, mette il negozio al centro di una trasformazione eclatante, destinata a disegnare nuovi contesti e definizioni. Il tema non riguarda solo la capacità di retailer, brand e store di adattarsi alle esigenze legate al distanziamento, che proseguiranno non sappiamo ancora fino a quando e che hanno nella sicurezza (in termini di pulizia e igiene) il proprio baricentro, ma anche di individuare i nuovi desideri e trasformarli in esperienze di acquisto.

Tre per McKinsey le aree di lavoro “imperative”:

- accelerazione radicale nell’integrazione omnichannel, ridefinendo il ruolo dello store, sia moltiplicando le soluzioni clic&collect sia personalizzando i touch point già in-store;

- reimmaginare le store operation, sul fronte dei costi, implementando tecnologie e processi che velocizzino le attività di merchandising, automatizzino lavori a basso valore e incrementino i touchpoint omnicanali. Vuol dire aprire a soluzioni contactless, una delle aree in maggiore sviluppo;

- ottimizzare la rete sulla base delle performance omnichannel.

Dal punto di vista dei progettisti, queste indicazioni come si traducono? “Secondo me oggi non è più il tempo di parlare di omnicanalità, ma è tassativo adottare un nuovo approccio: è il momento di parlare di Optichannel, per sottolineare la necessità di inventare nuovi paradigmi per parlare ai clienti allo stesso tempo online e offline, con le forme più corrette. Riferirsi solo all’eCommerce risulta quanto mai limitante per capire quali strategie adottare in termini di shopping experience: ciò che risulta evidente in questi mesi, di cui brand e insegne devono fare tesoro, riguarda una visione ampia del digitale, destinato a diventare il vero motore di crescita anche per la rete fisica dei negozi. Voglio essere più chiaro: da oggi in poi, tutti gli spazi, di qualsiasi dimensione siano e qualsiasi funzione svolgano, dai negozi, agli uffici, alle case, sono inadeguati; abbiamo bisogno di tempo per riprogettarli. In prima battuta in questa iniziale fase transitoria, possiamo accettare di vivere un vero e proprio peggioramento della nostra esperienza di shopping, con i “separatori di plexiglass” come risposta immediata necessaria per garantire sicurezza, ma nei prossimi mesi si dovrà lavorare per riequilibrare il rapporto tra fisico e online in modo da evitare che questi canali svolgano lo stesso ruolo: bisogna disegnare funzioni e lavori, diversi ma integrati, per ciascuno di questi ambiti, in una unica customer experience. Dal mio punto di vista -continua fabbro-, negli spazi digitali, dovrà essere concentrato tutto quello che è collegato con le presentazioni dei prodotti in assortimento, la loro selezione, il confronto dei prezzi, la compilazione dell’ordine e la definizione della consegna. Al contrario, per le attività più complesse il negozio continuerà a giocare il suo ruolo fondamentale, grazie al suo unico vero elemento distintivo che il digitale non ha: il rapporto personale con il prodotto, il brand e una persona competente che sappia guidare nella scelta degli acquisti, suggerendo abbinamenti, novità, soluzioni alternative. Il digitale dovrà essere più curato, facile, coinvolgente e meno noioso rispetto a oggi, mentre i negozi lavoreranno su un livello qualitativo più alto, in termini di relazione personale con il cliente, ambientazione e comunicazione, con la presenza di nuove aree e flussi di movimentazione più orientati a dare qualità alla relazione tra persone e meno a presentare prodotti su scaffali e appendini”. Essenziale il ruolo della tecnologia. “Molte soluzioni sono già disponibili e potranno trovare ulteriori sviluppi-continua Fabbro-: mi riferisco ad app, utilizzo della voce, riconoscimento facciale, intelligenza artificiale. Soprattutto l’abbigliamento, oggi molto preoccupato e ancora poco evoluto rispetto al digitale, sarà in grado di cogliere questo cambiamento, lavorando su cerimoniali di vendita, atelier, cura nel dettaglio, appuntamenti personalizzati. E alcuni brand stanno già lavorando in questo senso (ndr: il nuovo atelier di Elena Mirò), visti i tempi per adeguarsi sono stretti”.

Per reinventare lo spazio fisico serve soprattutto rivedere il rapporto tra interno ed esterno. “Dobbiamo abbattere muri e trovare una nuova dimensione tra dentro e fuori, nei centri commerciali come in spazi di minore dimensione, a qualsiasi categoria appartengano -spiega Francesco Scanu di Area 17-. L’essere umano ha una propensione naturale a stare all’aperto, al di là delle stagioni, come dimostrano bene i Paesi del nord Europa che svolgono molte attività all’aperto a prescindere dalle stagioni. E stare in spazi aperti è anche una possibilità per combattere il virus. Allo stesso tempo, va rafforzato il rapporto fiduciario tra insegna e cliente sia semplificando le procedure, che vanno rispettate ancora per lungo tempo e devono essere chiare, sia grazie a una comunicazione rassicurante che faccia leva sulle caratteristiche dell’insegna, come prodotti locali, mdd, tipicità. Tutte operazioni che vanno fatte contemporaneamente online e nella rete fisica: il futuro della shopping experience non riguarda una trattativa tra online e offline, ma è una questione culturale per capire il contributo della tecnologia come facilitatore e garanzia di fluidità e flessibilità dentro i negozi. Questa, ad esempio, è la lezione che abbiamo imparato lavorando con Hema (la rete di supermercati di Alibaba), che offre risposte multicanali e multitecnologiche, in ambienti gradevoli (nei negozi fisici come online), esposizioni che facilitano la ricerca dei prodotti, pagamenti contactless, consegne in due ore, cui si sono aggiunti, durante il coronavirus, droni e locker. Ma l’obiettivo rimane unico: garantire un’esperienza complessiva flessibile, sicura e fluida. Per le nostre strutture la domanda da porsi, quindi, è meglio corsie più grandi, con percorsi guidati e/obbligati per evitare assembramenti o gestire in maniera ottimale i flussi attraverso delle app?”

Il tema centrale, quindi, riguarda come ingaggiare il consumatore. “È un argomento sul quale stiamo riflettendo molto anche perché il panorama davanti a noi è già molto diverso da quello di due mesi fa -spiegano da Inres, la società di progettazione di Coop-. Negli ultimi due mesi la scelta di un’insegna piuttosto che un’altra è avvenuta per motivi completamente diversi dal passato: scelgo il supermercato che mi consegna la spesa a casa, quello più vicino, quello dove posso prenotare l’ingresso … Il risultato è che ogni negozio da oggi in poi deve sia parlare a consumatori “nuovi” sia riagganciare quelli “vecchi”, che nell’ultimo periodo hanno fatto la spesa altrove. Il tema dell’ingaggio è, quindi, ancor più fondamentale di prima perché questo è un momento di grande potenzialità per allargare il bacino dei clienti, in una condizione di partenza con un negozio fisico (tradizionale focus dell’engagement) nel quale il cliente vuole restare il meno possibile e una popolazione più digitalizzata di prima. Naturale pensare che i canali digitali diventeranno uno strumento primario per l’ingaggio anche per chi fino a ora ha puntato tutto su touch point fisici. Non pensiamo solo a un luogo dove fare la spesa, ma soprattutto a un luogo dove comunicare con il consumatore, dove trasmettergli come e più di prima tutte quelle informazioni legate ai prodotti e ai servizi del negozio in modo da rendere la sua esperienza di spesa fisica più efficace. Inoltre, non dimentichiamo che il digital marketing permette di dettagliare la conversazione rispetto a target molto specialistici, una sorta di regolamentazione virtuale e virtuosa degli assembramenti. Specializzarsi in un settore dove è facile radunare gruppi di consumatori con interessi omogenei sarà una bellissima opportunità per conoscere meglio i propri clienti e tornare a un modo più personale di rapportarsi con loro. In altri termini vuol dire che la sensazione di bottega o di mercato non sarà più data dal design dello store, ma dalla profondità del dialogo che sarà instaurato con i miei clienti secondo le specificità di ciascuno di loro. Anzi, diventa una questione “personale”, per singolo cliente -concludono da Inres-. Tanto più efficace quanto più si evolve in continuità come una vera e propria relazione. In altre parole, vendor e target si ritrovano ad abitare un ambiente comune, a comunicare con lo stesso mezzo e quindi ad assomigliarsi.

Paolo Lucchetta: il design, essenziale per disegnare il futuro

“Ciò che è avvenuto negli ultimi due mesi può essere considerato un imprevedibile cambiamento di prospettiva delle relazioni umane. La loro qualità era considerata l’obiettivo primario da ricercare nella visione ideale di qualsiasi luogo dedicato ad attività sociali e pubbliche, commerciali incluse. Non a caso si riferiva a nuove discipline contemporanee come Estetica relazionale e il Relational Design”. Parte da queste premesse il colloquio con l’architetto Paolo Lucchetta di RetailDesign, per capire le evoluzioni possibili per la shopping experience. “Nella fase di riapertura delle attività ancora in shock da pandemia, viviamo in una sorta di sindrome da contatti che ispira una folle corsa alla ricerca di un design contactless, senza contatti. E proprio il design avrà il compito nei prossimi mesi di fare una sintesi tra questi aspetti relativi al futuro degli spazi pubblici, perché da sempre è il design che aiuta le persone ad affrontare il cambiamento, garantendo le condizioni di sicurezza, ma anche tutelando l’ambizione del nostro essere sociali”.

Esistono parole chiave per orientarsi?

Potrebbero essere legate al ritorno della natura al centro dei nostri progetti, alla solidarietà che genera connessione sociale, alla tutela della salute pubblica come principio di convivenza e di uguaglianza, alla lungimiranza e responsabilità nel pensare al futuro delle prossime generazioni. Non è solo importante che ripartano le nostre attività, ma anche che siano pensate in modo più responsabile.

Una responsabilità che coinvolge anche la tecnologia …

Certo ha mostrato il suo volto umano: lo smart working che non avevamo mai veramente apprezzato, si è rivelato un’utile modalità alla quale ricorreremo molto anche nella nostra vita futura. Le attività sociali nel digitale si sono rivelate un interessante canale di conoscenze, relazioni, progettualità e cultura.

Nel retail la tecnologia ha accelerato le innovazioni su logistica, modalità di prenotazione, pagamento, delivery, ma ci fatto crescere il desiderio di essere più sociali e più umani, più sensibili alla salute, alla natura, con il ruolo della tecnologia, nel migliore dei casi, di supporto.

Come si trasmette experience con mascherine, guanti, distanziamento e sanificazioni ...

Con buon senso. Il miglior modo di valorizzare un brand può essere quello di comunicare resilienza e capacità di adattamento, dimostrandolo, in compensazione al distanziamento sociale, in ogni azione, vicinanza e supporto ai propri dipendenti e clienti. Retailer e brand possono migliorare l’empatia, le loro relazioni umane, non solo con il marketing della sicurezza, ma con un’autentica propensione solidale.

Quali evoluzioni per ipermercati, department store e centri commerciali?

In questo lockdown abbiamo riscoperto il valore delle nostre case, di terrazze, balconi, cortili, negozi di vicinato. Questa sensazione lascerà il segno dando nuova vitalità alla piccola distribuzione, ai mercati locali, al nostro vicinato e ci costringerà a ripensare al senso delle grandi superfici, non necessariamente in senso riduttivo, attraverso innovazione logistica e qualità dei servizi, magari favoriti dalla rivalutazione dei mezzi di trasporto privati rispetto a quelli pubblici, come già sta avvenendo in Cina.

Cambieranno i layout?

Si può sicuramente pensare che miglioreranno in efficienza, organizzazione, accessibilità, grazie alle tecnologie. Le aree dedicate alle socialità sono oggi le vere incognite: ristorazione, intrattenimento, eventi, i driver del nuovo commercio prima della pandemia Covid, dovranno lentamente riappropriarsi di nuove modalità. Sicuramente gli spazi esterni aumenteranno il loro ruolo e potrebbero rivelarsi ingredienti fondamentali nella rigenerazione delle architetture esistenti. Ma per noi progettisti la capacità di conciliare socialità e sicurezza, con creatività e spirito di adattamento, mettendo la natura al centro del progetto in ogni scelta progettuale, sarà la qualità più rilevante nel valorizzare i nuovi e vecchi layout in tempi che si preannunciano di ansia e cambiamento.

Qualche spunto?

Ci sono soluzioni che mi hanno colpito perché da considerare come atti di rivolta creativa nel rispetto delle regole, alle limitazioni del nostro vivere sociale. Riguardano attività della nostra vita pubblica che possono ispirare soluzioni anche per il retail e che il nostro studio sta sviluppando in ricerche commissionate in queste settimane. Ad esempio, nella stazione parigina della Gare du Nord, l’indicazione della distanza tra i viaggiatori non è un’informazione costrittiva, ma comunicata con un pattern di 2x2 metri efficace allo scopo, ma anche gradevole e decorativa. Il tema della distanza introduce la possibilità di delimitare gli spazi sociali ideata in modo da rendere possibili e piacevoli tutte le nostre attività collettive. Se plexiglass deve essere, materiale per le sue caratteristiche in gran revival perché leggero, facilmente adattabile, infrangibile, trasparente e colorato, suggeriamo l’approccio di Caimi, che aggiunge alla sicurezza un’interessante modalità di personalizzazione del proprio posto di lavoro.

Alcune immagini di ispirazione per il nostro immediato futuro mostrano come siamo riusciti ad adattarci in brevissimo tempo alla nostra nuova quotidianità: mascherine, file ordinate, corsie senza incroci, allineamenti, ristoranti come serre, flash mob con posti assegnati, banchi distanziati. A dimostrazione che, come diceva Einstein, “Non è la specie più forte a sopravvivere e nemmeno la più intelligente. Sopravvive la specie più predisposta al cambiamento”.

Inres: parole per nuovi progetti

“Già prima del Covid-19 la nostra ricerca si muoveva verso la semplificazione con il supermercato come luogo di facile interpretazione dove il socio cliente può fare la spesa a proprio agio e velocemente -dichiara Inres, la società di progettazione nel mondo Coop-. Oggi il super si configura come uno spazio di servizio dove il cliente compie un gesto essenziale per la sua quotidianità. Il Covid-19 ha costretto tutti ad una spesa veloce e apprensiva, comprando quello che serve in poco tempo, riducendo ai minimi termini l’esperienza sensoriale e relazionale instore. Tornati alla normalità, quest’estremizzazione dell’esperienza di acquisto ci lascerà negozi ben organizzati, funzionali, con percorsi razionali, che soddisfano con efficienza un bisogno primario: fare la spesa. Il tema della semplificazione sarà cruciale per garantire un utilizzo in sicurezza delle piccole superfici. Le riflessioni imposte dalla necessità di risolvere situazioni emergenziali ci hanno permesso di focalizzare meglio e più velocemente ragionamenti già in corso.

Quanto contribuirà la tecnologia in questo cambiamento?

Avrà un ruolo cruciale, a partire dall’accelerazione della digitalizzazione della popolazione media italiana in queste settimane. Per noi si tratta di un valore da sfruttare perché la tecnologia potrà aiutare molto l’acquisto completando e migliorando l’esperienza on-site e online. Ad esempio, pensiamo all’adozione di sistemi che riducono gli assembramenti come i totem zero code per la prenotazione ai banchi serviti, già installati in alcuni super di Novacoop e Coop Liguria. Con alcune cooperative stiamo potenziando il click&collect, con una diffusione capillare di locker refrigerati. L’online esce potenziato da questa situazione e diventerà forse il luogo dove si sposterà parte dell’esperienza fatta in negozio in termini sia di acquisto sia di dialogo e informazione. In questo sistema prende corpo la rete di touch point fisici e virtuali, che costituisce il nuovo modello di negozio, con lo store fisico cuore pulsante di un organismo più complesso.

Quali le aree sulle quali lavorare di più?

Il nostro primo obiettivo come progettisti è continuare a garantire il piacere di fare la spesa in sicurezza nei supermercati. Al nostro interno è già iniziata una riflessione sui banchi dell’ortofrutta e i banchi serviti per individuare sistemi di esposizione del prodotto e di relazione tra le persone che rispettino le modalità di interazione imposte dall’emergenza e siano parte integrante di un nuovo sentire comune della nostra società. Da un punto non si può prescindere: anche quando torneremo a una condizione di normalità, la nostra sensibilità sarà cambiata e i negozi dovranno saperla interpretare. Le parole chiave del negozio post-covid saranno: sicuro, semplice, veloce, ordinato, pulito.

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