Voglia di risparmio sul food e forti resistenze agli aumenti

Esperti – Negli ultimi anni, in concomitanza con la riduzione del tasso di crescita reale dei salari e degli stipendi, qualsiasi aumento di prezzo appare meno tollerabile. (Da MARK UP 179)

1.
Risposte storiche
a variazioni
nell'ordine dell'1%

2.
Innescano dinamiche
di reazione molto puntuali nell'alimentare

Nota su prezzi e inflazione in Italia. La distribuzione commerciale, soprattutto quella operante su grandi superfici, è molto interessata alla questione delle promozioni, nell'ambito di una più vasta questione di efficacia delle politiche di prezzo. Senz'altro sono opportune le distinzioni tra promozioni come leva tattica (una volta era così, almeno) e politiche di prezzo di lungo termine, afferenti al posizionamento dei prodotti e delle categorie all'interno di un punto di vendita, del negozio stesso all'interno di una formula distributiva e, infine, di quest'ultima all'interno del brand del distributore.

In ogni caso, per le prime politiche come per le seconde, qualche valutazione sulle elasticità al prezzo (di breve e lungo termine) è assolutamente necessaria. Sulla base di dati molto disaggregati, raccolti in alta frequenza, le catene della grande distribuzione dispongono di molte informazioni sull'argomento. Qui propongo qualche considerazione aggregata, basata su dati annuali e, quindi, riferita a qualcosa di più profondo della semplice risposta immediata a una variazione di prezzo.

Eppure importante

Nella tabella ho indicato i coefficienti di semplici regressioni delle variazioni percentuali osservate sui consumi in volume rispetto alle variazioni percentuali dei prezzi delle medesime categorie. I numeri indicano, per i diversi periodi storici, la risposta del consumo - per esempio come variazione percentuale dei pezzi venduti di un certo prodotto - in risposta a una variazione del relativo prezzo dell'1%. L'esercizio è stato fatto considerando 32 fra beni e servizi commercializzabili - dagli alimentari ai carburanti, dai tabacchi alle schede telefoniche - e poi per 12 macrocategorie esclusivamente del food. Dentro i coefficienti stimati ci sono molti effetti spuri: per esempio ci sono gli effetti di reddito, qualcosa che non ha a che fare propriamente con i prezzi. Inoltre, i dati sono straordinariamente aggregati e dal punto di vista operativo la categoria Istat pane e cereali vuol dire poco per il piccolo negozio e ancor meno per una catena di supermercati. Anche l'aggregazione temporale su dati annuali non è facilmente applicabile alle tattiche di breve periodo e probabilmente neppure alle strategie di posizionamento di lungo termine. Eppure la tabella dice, a mio avviso, parecchie cose di rilievo.

Infatti, se si fanno i confronti dei coefficienti nel corso del tempo, le obiezioni di cui sopra si indeboliscono perché le concause di cui non abbiamo tenuto conto erano presenti, seppure con diversa intensità, in ciascuno dei periodi considerati. Non sono i numeri in quanto tali che contano ma le dinamiche. Esse dicono che la reazione dei consumatori nei confronti dei prezzi di vendita cresce rapidamente, in modo addirittura impressionante per il comparto alimentare. Negli ultimi anni, in concomitanza con una progressiva riduzione del tasso di crescita reale dei salari e degli stipendi, qualsiasi aumento di prezzo appare meno tollerabile. Parallelamente, ciò giustifica, anche sul piano macroeconomico, il crescente ricorso a strumenti che enfatizzano la convenienza di prezzo di un prodotto o di un servizio rispetto alle altre caratteristiche che contribuiscono a formare, nella percezione del consumatore, lo stesso bene o servizio.

Impatto evidente

Per quanto riguarda i consumi commercializzabili, la progressione delle elasticità al prezzo ha anche a che fare con le liberalizzazioni (incomplete) dei mercati, con lo sviluppo dell'offerta, grazie soprattutto alle marche commerciali - un fatto di democrazia economica, se riduciamo la valutazione alla sua essenza - e con l'innovazione di prodotto dell'industria. Ma sul versante dell'alimentare c'è qualcosa di più: dopo un lungo periodo di scarsa capacità di reazione da parte dei consumatori, oggi emerge la volontà di risparmiare sulla spesa alimentare complessiva pur di non pagare incrementi di prezzo. La crisi ha un impatto evidente: la possibilità è che il risparmio sul cibo si traduca in un'alimentazione di peggiore qualità con conseguenze negative sul benessere delle famiglie e, in definitiva, sull'efficienza del capitale umano.

La reattività al prezzo degli alimentari, che nel periodo 2005-2008 diventa sette volte quella misurata nel periodo precedente, è anche un campanello d'allarme per la tenuta dei conti aziendali in presenza di oscillazioni delle quotazioni delle materie prime alimentari ed energetiche. Incrementi delle materie prime più difficilmente oggi potranno essere trasferiti ai consumatori, che sembrerebbero preferire una riduzione netta dei consumi piuttosto che accettare i potenziali aumenti.

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