Personalizzazione è la parola d'ordine di ogni blog, post, articolo, libro di marketing sulla pubblicità che utilizza i new media: internet, telefonino, tablet che dir si voglia. Provata la bassa efficacia di banner e finestre volanti, ci si butta sul personale. Ovvero, si cerca di targhetizzare l'invio del messaggio selezionando un'audience potenzialmente interessata. Problema: come si trova questa audience? Soluzione: tramite l'internet tracking, che registra i siti cliccati ma anche cosa scarica e cosa acquista sul web il consumatore e come si comporta sul social network del cuore. Un'attività che secondo alcuni è resa ancora più semplice dall'introduzione di Html5, la più recente versione del linguaggio del web, che utilizzerebbe un cookie con una memoria da elefante e molto difficile da disattivare.
Fidelity card e web tracking
Niente di nuovo sotto il sole, si dirà. In fondo, da anni le insegne della grande distribuzione utilizzano le fidelity card per tenere conto degli acquisti della clientela, dosare stock e promozioni e quant'altro. Va detto però che chi sceglie una carta fedeltà lo fa consapevolmente, con un sottointeso do ut des: io ti do i miei dati, tu mi offri sconti e promozioni. Sul web le cose vanno diversamente: spesso l'utente non sa di essere “tracciato”, seguito nei suoi spostamenti. Ancor peggio poi se i siti “gola profonda” sono colossi trasversali e onnipresenti nell'esperienza internet come Google e Facebook. Al centro non a caso della bufera.
Grandi manovre nei browser
Negli Stati Uniti si sono mosse le associazioni di consumatori, e le agenzie pubblicitarie si sono dotate di codici di autoregolamentazione per scongiurare il passaggio di leggi troppo restrittive.
Caldeggiate qualche mese fa dalla Federal Trade Commission, proprio in questi giorni sono state presentate le prime feature opt-out, che consentono al navigatore un maggior controllo sulla diffusione dei propri dati.
Più “user-friendly” di tutte è la proposta di Mozilla che spiega come il browser Firefox verrà dotato di un header che, una volta selezionato, segnalerà a siti commerciali ed aziende la non volontà del navigante di farsi registrare.
Internet Explorer 9 disporrà invece di un strumento per il controllo delle informazioni rilevate durante la navigazione denominato anti-tracking: quando si apre un sito, l'utente deve segnalare quale tra i siti terzi presenti nella pagina (di pubblicità in genere) vuole disattivare; la scelta resta in memoria ad ogni riapertura della url.
Più debole la proposta di Google (disponibile con il nuovo browser Chrome) che offre un plug-in che consente all'utente di scegliere di non venir tracciato, ma che per ora funziona solo con i siti che hanno aderito ai codici di autregolamentazione. Come a dire, appendo fuori casa una lista di persone che NON voglio vengano a rovistarmi tra i documenti... e chi non compare nella lista faccia pure!
Facebook arretra e rilancia
Non ha mai fatto mistero della scarsa importanza che dà alle questioni di privacy Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook. Per il quale la protezione dei dati è una preoccupazione che non interessa le nuove generazioni, e in ogni caso la gratuità del web e dei social network si può ben pagare con un po' di riservatezza.
C'è però la legge, e quella tedesca è particolarmente rigida. Tanto che Facebook ha recentemente dovuto fare in modo di proteggere meglio gli indirizzi e-mail degli utenti tedeschi, ai quali venivano inviate promozioni o messaggi non richiesti. Una piccola battaglia persa che non ferma il social network più diffuso al mondo: dopo aver raccolto 1,86 miliardi di dollari in pubblicità nel 2010, Facebook va avanti con una nuova idea pubblicitaria. Si chiama Sponsored Stories e consente alle aziende di introdurre annunci (spesso solo il link alla home page) di marchi/prodotti citati nei messaggi dagli iscritti. Un annuncio più articolato può comparire sulla colonna a destra dedicata alla pubblicità. Il passa parola e la “sponsorizzazione” di un “amico” aumentano la visibilità del messaggio.
Italia poco preoccupata
Nella Ue la questione è regolata dall'articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali che definisce come “ognuno ha il diritto alla protezione dei propri dati personali “ e monitorata dal Gruppo di lavoro ex articolo 26. Il 28 gennaio è la giornata di sensibilizzazione del problema, il Data Protection Day. Il garante per la Privacy italiano ha pubblicato nel 2009 una guida, che riguarda la diffusione dei dati personali nei social network ma poco si cura della pubblicità. Ma forse la questione non è poi così rilevante in un paese dove solo il 10% delle piccole aziende e il 35% delle medie si avvale dei social media per comunicare e mai per fare business (lo rivela una recente indagine Iulm). Come dire: siamo nell'età della pietra del web marketing, quindi perché preoccuparsi dell'era spaziale?
Cosa potrebbe succedere...
In un mondo web regolato dalla privacy, dove si deve dare il consenso prima di accedere a un sito che raccoglie dati di navigazione degli utenti? Internet gratis è bello ma poco realistico. Ecco cosa potrebbe accadere in caso passassero norme veramente restrittive sul trattamento dati.
Navigazione rallentata: ogni utente dovrebbe dare il consenso prima di accedere a contenuti di qualsiasi tipo. Comprese le previsioni del tempo...
Pubblicità più lunghe: se non si possono mostrare durante, andranno mostrate prima, e saranno più lunghe. L'effetto sarà un po' come quello dei trailer dei film: prima di vedere ciò che ci interessa ci sciroppiamo il cinepanettone di turno.
Contenuti a pagamento: i siti di informazione o altro potranno contare meno sulla pubblicità e i loro contenuti potrebbero diventare a pagamento. I costi pubblicitari aumenteranno.