Winelivery l’eCommerce che non c’era

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Quando un’idea di business nasce dalla risposta a un bisogno. La storia di Andrea Antinori e Francesco Magro (da Mark Up n. 282)

Siamo a Milano a pochi passi dal Duomo, nella sede di Winelivery dove una manciata di giovanissimi impacchetta, carica e scarica vino, birra e alcolici per la “consegna a temperatura in mezz’ora”. Qui incontriamo i fondatori Andrea Antinori e Francesco Magro. “Winelivery è un’idea nata a febbraio 2015 da una occasione (persa) di consumo -racconta Andrea-. Eravamo a casa mia a Milano per una cena tra amici e finisce il vino. Abbiamo cercato subito online se esistesse un servizio di consegna di qualcosa da bere, ma a quei tempi non c’era niente, era qualcosa che mancava. Un paio di settimane dopo sono andata negli Stati Uniti e ho scoperto che, oltreoceano, c’erano già tre grandi player che facevano la consegna di alcolici e crescevano in maniera importante. Tornata in Italia ho contattato Francesco e ci siamo detti che dovevamo sviluppare l’idea”.

Francesco. Nel 2015, sulle tre aziende Usa c’erano stati circa 100 milioni di investimenti; quindi il mercato finanziario credeva in questo tipo di modalità di consumo, così ci siamo detti che potevamo provarci anche noi.

Andrea. Il momento era (ed è) favorevole per il mondo del vino, in crescita in termini sia di comunicazione sia di consumo e di qualità; nel contempo crescono anche i delivery: il 2015 era l’anno in cui è arrivato Just Eat, c’erano i primi delivery italiani come Bacchette e Forchette. Abbiamo cavalcato queste onde e siamo riusciti a emergere, arrivando ad aprire a gennaio 2016.

Francesco. In realtà, il 2016 è stato un disastro: le nostre aspettative non sono state confermate e ci siamo accorti che l’errore è stato quello di importare un modello di business americano nel mercato italiano. All’inizio, abbiamo provato a connettere le carte dei menu dei ristoranti, creando una piattaforma in cui caricare le liste dei vini e lasciare a loro la delivery che già facevano con Just Eat, quindi perché occuparcene noi? La nostra idea era essere un puro intermediario. Idea geniale ... il problema è che non ha funzionato. Le criticità non erano poche: intanto, i livelli di prezzo totalmente variabili a seconda delle aree di consegna (avevamo più ristoranti che servivano la città), in alcune aree premium, in altre molto bassa; poi spesso i ristoranti con delivery avevano gli stessi fornitori, quindi tutti avevano le stesse cose, ma con prezzi diversi. Allora ci siamo detti: proviamo a cambiare questo modello di business, in gergo tecnico da startup, per pivotare il modello di business. Abbiamo fatto allora alcuni esperimenti, per capire se il problema fosse il prezzo, l’assortimento, o la qualità del servizio. Poi abbiamo fatto dei test, cercando di internalizzare varie parti della nostra value proposition, finché siamo arrivati alla configurazione attuale: quella di gestire interamente tutta la catena del valore senza l’intermediazione di nessuno. Oggi, lavoriamo direttamente con il produttore. In qualche caso utilizziamo distributori partner che ci aiutano su piccole nicchie, ma in genere il nostro cliente e fornitore è la cantina. Attenzione, ho detto anche cliente: Winelivery infatti è un modello di business duale. Da un lato è un medium, dall’altro è un retailer.

In che senso un medium?

Francesco. Provo a spiegarti cosa è Winelivery attraverso due storie. Sei al lavoro, dopo 8 ore torni a casa alle 9,00 di sera e vuoi berti un bicchiere di vino o una birra. Cosa devi fare? Innanzitutto, devi avere la bottiglia, altrimenti devi uscire di nuovo, camminare, andare in un bar o sperare che ci sia un’enoteca o un supermercato aperto, decidere se lo vuoi bianco, rosso o bollicine e, se non è in temperatura, devi metterla in freezer. Questo è il caso classico in cui veniamo utilizzati per la prima volta: rispondiamo a un’esigenza di consumo immediato. Con noi scarichi l’app e ti arriva subito la bottiglia. Così catturiamo il cliente dal lato retail; poi, siccome siamo abbastanza convenienti, riusciamo a mantenerlo anche nelle occasioni di consumo non più emergenziali. Dall’altro lato, immaginati di essere in Molise, sei un bravissimo produttore di Tintilia molisana, il problema è che sei un produttore, non un distributore e nemmeno un comunicatore. Per avere successo come produttore di vino dovresti avere quattro aziende: l’azienda agricola, quella di trasformazione, devi essere capace di vendere e di comunicare il tuo prodotto. Non è facile, perché ci sono tanti player, spesso regionali, devi avere tanti punti di contatto. In questo caso, il nostro obiettivo è (e lo stiamo iniziando a fare) essere l’ultima parte del percorso per piccoli produttori che, grazie a noi, sono distribuiti contemporaneamente in tante città d’Italia, potendo fare, allo stesso tempo, comunicazione per far conoscere il proprio prodotto. Perché il nostro catalogo non è infinito, ma ragionato per ogni denominazione: a seconda della sua importanza, scegliamo quanti prodotti avere, in modo che chiunque lavori con noi sia ben rappresentato; soprattutto quello che vogliamo fare è identificare un produttore con la denominazione. In questa maniera si può fare branding.

Dove siete presenti con Winelivery?

Andrea. Abbiamo aperto la prima sede a Milano, quindi a Bologna, Torino, il nostro primo franchising, Bergamo poi Firenze, in collaborazione con Signorvino; quest’anno abbiamo aperto a Formentera, uno spin off estivo per seguire i nostri clienti che vanno in vacanza, e poi Roma, la capitale, una grande sfida ma l’abbiamo colta e affrontata con un altro franchisee, il secondo franchising, e così anche Catania, Prato e Napoli.

Come fa una piccola cantina a far parte di Winelivery?

Francesco. È semplice: deve mettersi in contatto con noi. Siccome vorremmo avere un catalogo rappresentativo di tutti i prodotti e le denominazioni importanti, oltre ad altre categorie di prodotto -vendiamo anche birra, cocktail, acqua e ghiaccio-, alcune cantine ce le andiamo a cercare. La maggior parte però ci scrivono autonomamente: abbiamo una email info alla quale arrivano continuamente contatti e abbiamo anche un form sul sito dove possono fornirci il nome dell’azienda e chiedere di essere contattati; da qui inizia il processo in cui spieghiamo cosa significa essere in Winelivery, i servizi che offriamo e che sono a pagamento. Il processo di on-boarding è semplice. Spesso ci capita di dire di no: se abbiamo già preso l’impegno con diversi fornitori di un determinatoro prodotto o denominazione (come di Chianti Doc), non ne prendiamo altri, se no non manterremmo la promessa in termini di vendite di tentare di identificare il brand con il prodotto.

Le caratteristiche richieste ai fornitori?

Francesco. In genere, la non presenza in gdo e il gate qualitativo: tutti i prodotti vengono assaggiati, perchè Winelivery ambisce a essere sinonimo di qualità, sicuramente a livello di servizio, il motivo per cui siamo riconosciuti, ma al contempo deve esserci anche qualità di prodotto.

Quando parlate di sviluppo in franchising che cosa intendete?

Andrea. Siamo certi che, quando c’è un imprenditore alle spalle, il business ha una crescita molto più importante: c’è l’ambizione di crescita della persona, quella che devono avere tutti gli imprenditori.

Francesco. La forma contrattuale con la quale andiamo a perfezionare l’accordo è l’affiliazione commerciale. In realtà, per noi è a tutti gli effetti l’entrata in organico di una persona che gestisce un’unità locale di Wi con le stesse caratteristiche di tutti gli altri punti e che beneficia di tutto il supporto operativo e degli investimenti in marketing dalla casa madre. Con questa formula abbiamo, da un lato, maggiore commitment da parte di chi localmente gestisce il business, perché investe e ha un compenso variabile, dall’altro ci consente di diffonderci più rapidamente. Del resto, oggi, abbiamo una sfida importante: essere il più possibili capillari in Italia. La capillarità ci dà delle possibilità di marketing differenti e valorizza soprattutto il prodotto cantina. Ovviamente, quando si lavora con società proprietarie, ci sono dei tempi tecnici da rispettare: ne abbiamo aperte quattro e non è banale, i costi sono elevati, abbiamo personale dipendente. Invece, lavorando con un modello di affiliazione si può andare molto più veloci.

Avete già raggiunto il break-even?

Francesco. Non ancora perchè ad oggi l’azienda sta investendo tanto nella crescita, come da piano prestabilito; abbiamo fatto tre round di investimento abbastanza importanti fino ad oggi, se possiamo crescere in questa maniera è grazie a tutte le persone che hanno deciso di investire in questo modello di business. Nei prossimi mesi l’obiettivo è di riuscire a portare l’azienda alla sostenibilità autonoma. I risultati sono confortanti: siamo passati dai 16 mila euro di fatturato del 2016 a 1,6 milioni del 2019, numeri che dicono che stiamo andando nella direzione giusta. Abbiamo un business time molto sfidante, perché ci obblighiamo a mantenere un tasso di crescita a tripla cifra. Per tre anni di seguito abbiamo fatto il 600%: quest’anno l’obiettivo è fare 280-300% sul 2018, che abbiamo chiuso a 700 mila euro.

Vi considerate ancora una startup?

Francesco. Se per startup intendiamo qualcosa che si innova continuamente, sì, startup per tutta la vita!

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