Le High Street rimangono la bussola dei luxury brand

Urbanistica, Real Estate & Cci – Entro il 2015 la Cina potrebbe diventare il maggior mercato mondiale per i beni di lusso. L’Europa rimane comunque prioritaria contribuendo con il 40% delle vendite totali (da Scenari Centri Commerciali 2012)

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In un pomeriggio uggioso al rientro delle vacanze non mette grande ottimismo leggere su un quotidiano nazionale una notizia di quelle che attirano l'attenzione: a causa della crisi dei consumi, a fine 2012 potrebbero cessare l'attività fino a 150.000 imprese e la previsione di Confcommercio per quest'anno è di un calo del 3,3% dei consumi pro capite. Il dato è più negativo di quello registrato lo scorso anno quando, a causa della crisi, erano state costrette a chiudere i battenti oltre 105.000 imprese commerciali, di cui 62.477 punti vendita al dettaglio.
Nel 2012 dunque, visto il perdurare della diminuzione dei consumi, le cose non cambieranno certo in meglio. Anzi. Pur nella difficoltà di fornire stime e dati in questo settore, la differenza tra imprese nate e cessate dovrebbe far registrare un probabile peggioramento rispetto all'andamento del 2011: da 18.000 a 20.000 nel solo comparto delle vendite al dettaglio. Cosa che vorrebbe dire la chiusura, nel corso dell'anno, di 65.000 negozi. La situazione complicata del commercio in Italia non rappresenta una novità, ciò che consola è il pensiero di non essere i soli in Europa. C'è però una zona franca, una terra promessa e neutrale che a quanto pare continua la sua vita incurante di ciò che le succede attorno e di tutte le previsioni nefaste degli analisti: il mercato dei beni di lusso.

Il luxury non conosce battute d'arresto
Secondo l'osservatorio Altagamma, il mercato mondiale del lusso, cresciuto del 10% nel 2011, dovrebbe incrementare del 6-7% nel 2012 superando la soglia record dei 200 miliardi di euro, trainato dal segmento del lusso assoluto e dai mercati emergenti. Abbiamo a che fare con un mercato che sembra non aver mai conosciuto crisi, visto che le stime danno un fatturato che in meno di dieci anni dovrà triplicare i numeri. Crescono infatti nel mondo le persone che decidono di concedersi un abito, un viaggio o un oggetto esclusivo, soprattutto in questi Paesi in cui l'economia sta conoscendo andamenti controcorrente. E una nota positiva per il nostro paese viene dai dati dell'export, in crescita, che dimostrano il riconoscimento all'estero della qualità dei prodotti made in Italy.
Il mercato globale dei beni di lusso si tiene, almeno per ora, facilmente al riparo dalla tempesta che infuria sul mare del commercio di massa. I network di negozi sviluppati dalle grandi marche ha giocato un ruolo fondamentale in queste storie di successo, ed è soprattutto in Asia dove i marchi del lusso hanno registrato i più alti tassi di crescita. In particolare, gli stilisti hanno ampiamente beneficiato dal boom del mercato cinese: si stima che entro il 2015 la Cina potrebbe diventare il maggior mercato mondiale per i beni di lusso. L'Europa rimane comunque il mercato di riferimento: il business europeo contribuisce fra un terzo e il 40% del totale delle vendite dei marchi blasonati. I mercati europei più importanti sono, nell'ordine: Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Russia. Tutto ciò nonostante la crisi del debito e le misure di austerity continuino a penalizzare la domanda in questi paesi. Inutile poi negare il fascino dei centri cittadini rispetto allo shopping in un centro commerciale. Il panorama unico che la “vasca” in centro offre è sicuramente più appetibile rispetto all'omologazione dell'offerta retail massificata. Possiamo quindi affermare che, nonostante la crisi, la maggior parte dei retailer specializzati in high street ha resistito piuttosto bene alle difficoltà economiche. Retailer di ogni tipo hanno mostrato un rinnovato interesse per le posizioni in centro città: brand nazionali in fase di riposizionamento, brand internazionali in cerca di un ingresso di successo nel mercato italiano, oppure ancora brand che intendono rafforzare il proprio posizionamento attraverso l'espansione e la ristrutturazione di spazi esistenti.
La crescente concorrenza per l'attenzione e la spesa dei consumatori in un mondo dello shopping globalizzato e multicanale ha portato i brand del lusso a cercare nuovi mercati e allo stesso tempo rinnovare i punti di vendita esistenti o rilocalizzarsi in posizioni più strategiche. Inoltre le case di moda puntano a massimizzare i benefici derivanti dalla propria location e a razionalizzare la propria rete commerciale. I nuovi entranti cer¬cano sempre più di posizionarsi nelle location primarie e soprattutto nelle vicinanze di brand di alta gamma, per beneficiare delle ricadute positive derivanti dalla loro prossimità. Questa tendenza genera una fiorente domanda a fronte della già scarsa disponibilità di unità nelle high street del lusso, sostenendo i canoni nonostante il contesto macroeconomico negativo, caratterizzato dall'esigenza di tutti i paesi europei di trovare un equilibrio tra crescita e tagli di bilancio. L'Italia sta affrontando una condizione di particolare problematicità a causa del rischio paese percepito dagli investitori internazionali, soprattutto alla luce dei problemi di governance dell'Unione Europea e delle debolezze strutturali del sistema economico.

Italia destinazione di lusso
Se è vero che l'Italia sta affrontando serie difficoltà dovute a problemi sia strutturali che contingenti nell'economia italiana, rimane comunque il quarto paese europeo per Pil nazionale e l'ottavo su scala mondiale. Milano offre indicatori ancora più positivi: è decima per potere d'acquisto tra le città europee e beneficia di una base di consumatori potenziali ampia e variegata, che include abitanti più ricchi della media nazionale, turisti del mondo business, fashion e design, studenti. Si posiziona al quinto posto tra le destinazioni più attraenti per i retailer internazionali ed è terza per presenza dei primi 100 marchi di lusso (fonte Jones Lang LaSalle). Il tasso di nuove aperture di punti vendita conferma che Milano è ancora una destinazione preferenziale per i retailer italiani e internazionali. Nonostante l'economia nazionale sia ufficialmente tornata in recessione dalla fine dello scorso anno, il mercato immobiliare High Street milanese è vivace come sempre. Guardando ai livelli dei canoni, via Monte Napoleone è nella top ten delle strade del lusso in Europa, e corso Vittorio Emanuele II e corso Venezia hanno valori in linea con Sloan Street a Londra e Boulevard Saint Germain a Parigi. Se pensiamo che a Londra, in New Bond Street, si raggiungono i 7.900 € al metro quadrato all'anno, (in Europa è la strada dello shopping di lusso più costosa in assoluto), e che ad Avenue Montaigne a Parigi si arriva a 7.500€, non stupisce che in Via Monte Napoleone a Milano si possano pagare 6.800 € e a Roma in Via Condotti 6.700 €. Anzi fa piacere constatare che le nostre strade dello shopping di lusso sono nella classifica delle top 5 più costose (la quinta mancante è Stoleshnnikov a Mosca, 7.015 € al metro quadrato annuo).

Specializzazione e retailer internazionali
Jones Lang LaSalle ha pubblicato prima dell'estate il report intitolato “Milano loves Shopping”, (si veda anche l'articolo a pag. 32) realizzato in collaborazione con Sincron Inova, che offre un'attenta analisi dal punto di vista immobiliare di nove strade del commercio milanese: Corso Vittorio Emanuele II, Via Monte Napoleone, Corso Venezia, Via Manzoni, Via Dante, Corso Buenos Aires, Via Torino, Corso Vercelli e la Galleria Vittorio Emanuele II, il “Salotto di Milano”. Da un lato si illustrano l'offerta merceologica, la natura dei brand presenti, il posizionamento di ogni strada nella gerarchia dello shopping milanese e internazionale. Dall'altro, anche alla luce delle politiche economiche e urbanistiche emergenti e dell'andamento dei fondamentali dell'economia del consumo, si discutono le implicazioni per investitori e retailer dei cambiamenti che appaiono visibili all'orizzonte. Dall'analisi effettuata emergono alcuni punti chiave.
Anche a Milano sta emergendo una crescente specializzazione della shopping experience, con una domanda sempre più forte per le location primarie. Come già accade altrove in Europa, le destinazioni retail devono sempre più proporre un'esperienza di shopping a tutto tondo, che includa un'offerta retail specializzata per consentire ai consumatori di confrontare prezzi, qualità e design, e per offrire loro la possibilità di trovare prodotti di prezzo e qualità desiderati. La concentrazione di brand della stessa categoria merceologica è quindi una caratteristica sempre più evidente delle high street milanesi, come accaduto per la moda giovane e la telefonia di via Torino, o l'abbigliamento sportivo di corso Buenos Aires: ciò dimostra che i retailer sono sempre più consapevoli del vantaggio potenziale derivante dalla prossimità di concorrenti di successo e che le location fuori mano rischiano di diventare ancor più periferiche.

High street, opzione "core"
Vi sono ancora molti importanti marchi internazionali che mancano all'appello nel mercato italiano. Tra questi sono i giganti dell'high street come Topshop, Uniqlo e Urban Outfitters, per citarne solo alcuni. Mancano anche i grandi department store internazionali come Debenhams e Marks & Spencer. Viste le performance relativamente solide nelle migliori location high street, è realistico ipotizzare che alcuni di questi grandi assenti potrebbero considerare un ingresso nel mercato milanese in futuro.
Dal punto di vista degli investimenti, l'high street milanese sta anche diventando in misura crescente un'opzione “core” per investitori nazionali e internazionali. L'interessamento dei retailer per unità collocate in diverse high street milanesi, e conversazioni con gli operatori professionali suggeriscono che, pur nel clima generale di debolezza dei consumi, le high street continuano a garantire performance positive. In generale gli indicatori dell'economia dei consumi mostrano un 2012 difficile per i retailer. I comportamenti di consumo degli italiani sono influenzati dalla contrazione del prodotto interno lordo e dalla crescita dei prezzi al consumo.
La crisi è tuttavia anche un'opportunità di cambiamento nell'economia dei consumi, ed è ragionevole aspettarsi che quest'opportunità sia anche alla portata dell'Italia come sta già succedendo altrove. I consumatori italiani stanno in una certa misura recuperando il divario con quelli europei, dimostrando un desiderio sempre maggiore per un'esperienza di acquisto consapevole e a tutto tondo.
Secondo GFK Eurisko la crisi economica potrebbe condurre non solo a una semplice riduzione delle vendite, ma a un più ampio cambiamento nelle abitudini di consumo. Il questionario annuale “Climi di consumo” condotto dalla società di ricerche di mercato rileva, infatti, una contrazione nei consumi leisure e di abbigliamento, ma anche un continuo interesse in marche che hanno una reputazione di qualità che ne rende la domanda meno sensibile a campagne promozionali di prezzo. I valori di qualità, socialità e tradizione sembrano sinora essere sopravvissuti alla recessione, contribuendo ad una concezione del concetto di consumer experience più complessa che sarà sempre più richiesta.
La crescita delle vendite on-line di prodotti di lusso e le buone performance registrate dai luxury factory outlet centre suggeriscono che i consumatori continuano a cercare acquisti che soddisfino i loro bisogni di autoaffermazione, ma stanno anche diventando più astuti e più flessibili nelle modalità di acquisto: il lusso accessibile desta crescente interesse.
Dal lato dell'offerta, le politiche nazionali e urbane emergenti sembrano fornire ulteriori stimoli al cambiamento sulle high street milanesi. A livello nazionale la legislazione ha introdotto una liberalizzazione degli orari di apertura delle attività commerciali e rimosso una serie di vincoli normativi all'estensione degli spazi commerciali. Queste misure potrebbero stimolare la crescita nel medio - lungo periodo, oltre a contribuire al cambiamento nei comportamenti di consumo.

Allegati

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