I big del retail puntano sui mercati emergenti

Scenario generale – La debolezza dei consumi in Occidente sta spostando gli investimenti dei big player della Gd verso i Paesi emergenti per contrastare una concorrenza locale che sta crescendo rapidamente (da MARKUP 215)

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Focus sulla Cina. Su tutti vale l'esempio di Wal-Mart, leader mondiale del settore, che per i prossimi tre anni ha programmato l'apertura di 100 negozi in Cina, che si aggiungeranno ai 370 già esistenti (con 100.000 addetti). Nonostante il rallentamento rispetto agli anni scorsi, infatti, il gigante asiatico resta il mercato più importante sul fronte dei consumi, con 1,3 miliardi di abitanti e un prodotto interno lordo in crescita al ritmo del 7,5%. Così il mercato delle vendite al dettaglio, che già oggi vale l'equivalente di 80 miliardi di dollari, è destinato a superare quota 100 nell'arco di un triennio.
Gli spazi non mancano per le multinazionali del retail, ma oggi sono più limitati rispetto a uno o due anni fa perché nel Paese si stanno formando campioni nazionali. Su tutti China Resources, il più grande operatore cinese della grande distribuzione organizzata con 4.100 punti vendita sotto dieci diversi marchi, segnalato come il più attivo nelle nuove aperture di megastore nelle nuove megalopoli. Consapevole che la velocità di crescita è fondamentale per non perdere competitività, Wal-Mart ha preso a crescere anche per linee esterne. Sul finire dell'estate è arrivato il via libera delle autorità di Pechino all'acquisto del 51% dell'operatore locale Yihaodian (in precedenza il gruppo americano era al 18% dell'azionariato), leader nell'e-commerce. Un comparto che, secondo le stime di Boston Consulting, entro il 2015 rappresenterà l'8% delle vendite al dettaglio cinesi, contro meno del 5% di oggi. Alla luce di questo dinamismo mostrato dal retailer americano, Jeffries ha poco alzato il suo rating sul titolo quotato a Wall Street, passando da "hold" a "buy".

Prospettive
Di conseguenza viene alzato anche il prezzo obiettivo, da 74 dollari a quota 88. Gli analisti sottolineano su tutti la capacità di crescere a livello internazionale, compensando così l'incertezza dei consumi interni, che anche nel 2013 potrebbero vivere un anno difficile per la minaccia del "fiscal cliff" (letteralmente "precipizio fiscale"), vale a dire la scadenza - il 1° gennaio prossimo - di incentivi fiscali e tagli alle tasse introdotti all'epoca Bush. Senza un accordo tra il presidente Barack Obama e il Congresso per limitare l'impatto di questa scadenza, l'economia americana rischia di restare in ginocchio. Jefferies giudica inoltre positivamente la decisione di WalMart di aprire numerosi negozi di piccolo formato vista la loro elevata redditività e così alza le sue previsioni sull'utile del gruppo statunitense per l'esercizio 2012 da 4,88 a 4,93 dollari per azione e per il 2013 da 5,25 a 5,50 dollari per azione.

Carrefour
Sulla Cina punta molto anche il secondo operatore mondiale del settore, Carrefour, con 200 punti di vendita (più di quanti ne siano presenti in Cina) e vendite nel Paese che crescono al ritmo del 15-20% annuo. Il colosso francese ha da poco comunicato i dati relativi al terzo trimestre, risultati in leggero miglioramento: i ricavi saliti del 2,1% (+1,2% considerando la sola Francia) a 22,63 miliardi di euro a cambi correnti, escludendo dal computo le attività in Grecia e Singapore, dismesse di recente. Segnali di risveglio dopo diversi trimestri difficili per la realtà transalpina, che in ogni caso continua a dipendere molto dai dati relativi alla vendita di carburante, un settore molto volatile. Chevreaux ha giudicato positivamente i risultati, definendoli "di poco migliori delle aspettative", attribuendo il merito in particolare all'attenzione prestata sul fronte dei prezzi. Tuttavia questo non basta a mutare le prospettive sul titolo, che riceve il giudizio "underperform", con target price di 13 euro. Commerzbank vede segnali positivi anche per le vendite in Francia, anche se si tratta di "un processo lento". La banca tedesca mantiene le stime per l'intero anno su un Ebit di 2,06 miliardi di euro, con rating "reduce" e prezzo obiettivo a 14 euro.

India nel mirino
La grande novità degli ultimi mesi è rappresentata dall'apertura del mercato in India. Dopo dieci anni di discussioni, scontri e rinvii, il Subcontinente ha approvato una legge che consente agli operatori stranieri di diventare azionisti di maggioranza delle aziende retail indiane. Finora i retailer stranieri potevano detenere società di ingrosso, mentre in quelle di vendite al dettaglio non potevano andare oltre il 49% del capitale, in modo da preservare il potere decisionale in capo agli imprenditori locali. Per proteggere i produttori locali, che hanno inscenato proteste nelle piazze per il timore di essere schiacciati dalla concorrenza delle multinazionali, l'Esecutivo ha fissato alcuni limiti: innanzitutto ogni Stato dell'Unione sarà libero di adottare o meno la riforma; quindi la possibilità di aprire nuovi ipermercati solo nei centri con almeno 100mila abitanti; infine, l'impegno a investire non meno di 100 milioni di dollari in ogni nuova iniziativa (per evitare investimenti speculativi, diretti solo a eliminare la concorrenza locale), di cui la metà al servizio delle comunità locali, dallo sviluppo di infrastrutture al miglioramento della filiera che parte dai produttori. Infine, i nuovi punti vendita devono proporre non meno del 30% di beni provenienti dai produttori indiani.

Auchan in Russia
La stabilità socio-politico è il principale driver che sta spingendo gli investimenti internazionali verso la Russia, complice una crescita al ritmo del 3,5-4% annuo. Nel retail, dove l'offerta è fortemente frammentata date le dimensioni (si tratta del Paese più esteso al mondo), operano diverse multinazionali internazionali, a cominciare da Auchan, che ha fatto un salto dimensionale con l'acquisto degli ipermercati Rameka dall'operatore turco Migros.
Da anni la Federazione si è dotata di una normativa che non chiude le porte agli investimenti internazionali, anche se il peso della burocrazia risulta spesso soffocante. In particolare, la Russia è molto interessante per la food retail industry, considerato che il settore è cresciuto a un ritmo del 16% annuo tra il 2007 e il 2011, un valore di poco superiore rispetto a quello atteso da qui al 2016.
Sulla Russia punta molto Tesco, che già oggi sviluppa il 25% del suo giro d'affari al di fuori dei confini britannici, con una forte esposizione sull'Est Europa, in particolare la Turchia.
Tuttavia la crescita nella Federazione, sostengono gli analisti, non sarà facile, a fronte di un Paese che ha due metropoli - Mosca e San Pietroburgo - e centinaia di città di medie dimensioni, spesso mal collegate tra loro e con abitudini di consumo più distanti dagli standard occidentali.
La strada dei mercati emergenti è comunque obbligata per Tesco, che - dopo 20 anni di crescita ininterrotta - nel primo semestre ha fatto registrate utili pre-tasse per 1,7 miliardi di sterline, in calo del 12% rispetto allo stesso periodo di un anno prima. L'utile core, che esclude i guadagni immobiliari, è diminuito invece dell'11% a 1,59 miliardi, risultando nettamente inferiore alle attese degli analisti.
A impattare sui risultati sono stati principalmente i maggiori investimenti per bloccare il crollo delle vendite. Così la ripresa è attesa già nel breve termine, grazie anche al peso crescente del retailer nel mercato dei servizi legali e al decollo delle vendite online.

Allegati

215_Mercati_emergenti

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