L’Ai generativa per un retail engine automatico

Emanuele Frontoni - Ordinario di Informatica Università di Macerata e co-director del VRAI (Vision Robotics & Artificial Intelligence Lab)
La capacità di un retailer di incrementare le vendite a parità di bacino di utenza è una questione complessiva di marketing, assortimento e interazioni che l’intelligenza artificiale può agire in autonomia e con una elevata capacità preditiva

L’Ai generativa è l’anello mancante e ora presente per la costruzione di una macchina computazionale completa in grado di gestire end-to-end attività complesse come il retail. Se con gli analitycs da anni è possibile comprendere quali siano le dinamiche oggi, disponendo di uno storico di dati consistente, è possibile simulare realisticamente ciò che avviene in un supermercato o, più in generale, in un punto di vendita attraverso l’Ai generativa. Le sperimentazioni sono già state effettuate in ambito universitario e hanno prodotto anche soluzioni già arrivate sul mercato. In un futuro prossimo, il marketing potrò diventare un’attività automatica.

Mark Up ha incontrato Emanuele Frontoni uno dei pionieri dell’Ai generativa applicata al retail, nonché massimo esperto internazionale di intelligenza artificiale. Emanuele Frontoni è ordinario di Informatica all’Università di Macerata e co-director del VRAI (Vision Robotics & Artificial Intelligence Lab). Noto ricercatore nel settore dell’intelligenza artificiale è anche divulgatore scientifico in tanti eventi nazionali e internazionali. La Stanford University lo ha inserito nella “World’s top 2% scientists”, la lista del 2% degli scienziati maggiormente influenti nella comunità scientifica. Mark Up lo ha incontrato per parlare di Ai nel retail.

Prof. Frontoni, l’intelligenza artificiale generativa è un tema di grande attualità. Ma esattamente di cosa stiamo parlando?
L’intelligenza artificiale si riconduce al concetto di machine learning, non è riconducibile all’intelligenza umana. La questione non è domandarsi quando la macchina sarà in grado di fare tutto quello che l’uomo sa fare, ma avere la consapevolezza del fatto che l’attuale intelligenza artificiale si basa, per la maggior parte dei casi, su esempi dai quali apprende delle regole e le applica ai dati che non ha mai analizzato prima. Gli esempi che usiamo per allenare i nostri algoritmi sono creati e descritti dall’uomo.

Si può dire che al significante (il dato) viene associato il significato (ciò che rappresenta) e questo diventa un esempio che sostiene le regole?
Il machine learning ha questo tipo di funzionamento: apprende partendo dal confronto con esempi codificati. Per cui se istruiamo una macchina ad associare una fotografia di un cavallo al cavallo stesso, nel momento in cui l’algoritmo analizza dei dati che codificano altre foto di cavalli, grazie agli esempi da cui ha utilizzato per apprendere, sarà in grado di discriminarne il significato. Ovviamente stiamo parlando di un numero di regole e di esempi enorme. L’Ai non è quindi un sistema digitale in grado di “ragionare” nel vero senso del termine, ma solo di effettuare un numero elevatissimo di analisi statistiche e apprendere dai risultati e in particolare dagli esiti positivi. Si tratta di statistica molto sofisticata applicata su set di dati giganteschi. Esiste invero anche una branca dell’Ai detta reasoning system che studia le modalità con cui si possono costruire nessi logici dalla computazione. Ma oggi l’Ai generativa disponibile è quella che utilizza algoritmi di machine learning basati su apprendimento. E questa è la strada che sarà seguita nei prossimi sviluppi, cercando di diminuire i dati necessari ad apprendere e generalizzare, migliorare la sostenibilità e la trasparenza dell’Ai, dare una centrale rilevanza agli aspetti etici di questa tecnologia.

OpenAi con ChatGpt ha stupito il mondo. Ma come si è potuto conseguire un risultato così eclatante, quali i fattori determinanti?
Sono tre i fattori determinanti. Il primo è la disponibilità di algoritmi migliori, i cosiddetti transformer, che riescono a realizzare approcci di deep learning con un’efficacia mai raggiunta fino a pochissimi anni fa. I transformer sono in grado di discriminare differentemente la significatività dei dati analizzati. Il secondo tema è l’enorme capacità di accesso al dato. Il terzo tema è la potenza computazionale. Sono tutti elementi correlati in quanto i transformer con pochi dati non funzionano; ricordiamo anche che consumano enormi quantità di capacità di computazione e energia per realizzare i propri processi di apprendimento. Negli ultimi tre anni, quest’ultimo aspetto -la potenza di calcolo- ha fatto dei salti impressionanti. E questo fa si che gli attori principali della ricerca mondiale siano sempre più le big tech che dispongono delle capacità elaborative necessarie.

Veniamo al retail. Quali sono oggi le opportunità?
Il settore retail è caratterizzato dal generare grandissime quantità di dati e questo induce i retailer a pensare di disporne a sufficienza. Ma conta moltissimo la qualità del dato e la sua coerenza con quanto si vuole estrarre. Prendiamo un tema classico: il forecast sulle vendite. I retailer dispongono di tutti i dati di venduto degli ultimi tre anni. Questi sono però da separare da quelli generati dal periodo Covid perché si riferiscono a una fase eccezionale. Poi occorre valutare se i dati rimanenti sono depurati da quelli generati nelle fasi di rottura di stock in quanto tali periodi inducono un calo di vendita ma non imputabile alla domanda. E anche le condizioni meteo impattano: ci sono stati periodi eccezionali che hanno condizionato le vendite? Tutte queste condizioni di contorno sono necessarie all’Ai per poter estrarre insight utili.

Come possono i retailer avere consapevolezza della qualità dei loro dati per l’utilizzo con l’Ai?
Occorre porsi la semplice domanda su quanto occorre sapere “di altro”, oltre al dato di vendita, per poter fare delle elaborazioni statistiche efficaci. I dati da correlare sono spesso nascosti in silos dell’azienda non comunicanti: sono quindi dati disponibili ma difficilmente accessibili. Oppure non sono presenti in azienda ma possono essere acquistati sul mercato da provider specializzati. Occorre una visione olistica del dato in cui ogni sorgente deve essere integrata per poter determinare un approccio statistico corretto.

Quindi occorre una figura specifica in azienda per gestire i dati?
Si, in generale occorre un data scientist esperto di Ai con opportune competenze trasversali e interdisciplinari. L’Ai non è più solo un problema dell’area tecnologica e informatica dell’azienda. È importante che questa figura abbia una posizione di rilievo in azienda in modo da concorrere strettamente alla definizione e realizzazione degli obiettivi strategici. Una figura con competenze tecnico-scientifiche ma con un ruolo molto vicino al management direzionale. L’auspicio è che il mondo del retail introduca delle figure specifiche correlate all’ambito dell’intelligenza artificiale che abbiano influenza anche su temi etici, temi di comunicazione verso il cliente, e altro.

Che esempio di può fare di utilizzo dell’Ai nel retail?
Gli esempi sono molteplici e si possono applicare ovunque. Prendiamo il settore della moda. I produttori, le griffe, devono creare nuove collezioni periodicamente. La creazione di una nuova collezione oggi non è solo un processo creativo di poche persone, ma è un processo deduttivo con tanta creatività applicata a partire dalle tendenza in atto. Ma per cogliere queste tendenze occorre effettuare ricerche su migliaia di fotografie presenti nei social ogni ora. Un lavoro che diventa possibile solo utilizzando l’Ai.

Veniamo all’Ai generativa. Che prospettive apre nelle applicazioni retail?
Disponendo dei dati di vendita dalla qualità necessaria, è possibile generare degli “agenti” che si muovono nel layout del punto di vendita esattamente come gli acquirenti reali. Maggiore è la mole di dati disponibili, più fedele sarà la simulazione di comportamenti tanto da arrivare a generare situazioni del tutto vicine alla realtà. Questo apre le porte a molteplici opportunità di miglioramento della shopping experience e di valutazione degli esisti di sellout in funzione di come il punto di vendita è allestito e distribuito nella superficie. Ma nono solo: si ha la possibilità di “provare” l’efficacia di un display a scaffale agendo opportunamente per migliorarne l’efficacia.

Questo tipo di applicazione è solo teorica oppure è già esistente?
Un primo sistema di questo tipo lo abbiamo presentato quest’anno a Euroshop di Düsseldorf. È un’applicazione in grado di simulare l’esperienza nel punto di vendita di agenti creati dall’Ai generativa. È un’applicazione rivoluzionaria che risponde alle esigenze di sperimentazione che oggi hanno assunto nel mondo fisico costi spesso troppo elevati. Nel mondo reale è possibile al più spingersi nel test AB; con l’Ai generativa si possono effettuare innumerevoli sperimentazioni.

Come ha risposto il mercato?
I retailer hanno dimostrato un’ottima comprensione delle potenzialità del sistema, hanno dato disponibilità di utilizzo ma la disponibilità dei dati è un fattore di criticità. Pochi soggetti retail hanno introdotto una vera politica del dato utile all’Ai generativa, molti sono convinti di disporre dei dati necessari ma, in realtà, si tratta di dati parziali quindi inutilizzabili. Occorre continuare a raccontare storie di successo che mettano evidenza il prezioso valore del dato nell’era dell’Ai. Su questo possiamo fare molto di più e meglio.

Una schermata del software presentato da Grottinilab a Euroshop 2023. Nel layout del punto di vendita visto in pianta si muovono degli acquirenti simulati dall’Ai generativa. La studio della loro esperienza è funzionale a introdurre cambiamenti per incrementare il sellout.

Inflazione e intelligenza artificiale

Il periodo di innalzamento dei listini è generato in larga misura da ciò che gli economisti chiamano inflazione da offerta. Questa si verifica quanto salgono i costi di produzione dovuti all’incremento dei prezzi energetici, delle materie prime e anche a difficoltà delle filiere nell’approvvigionarsi. Superata l’emergenza Covid, almeno nel 2023 l’inflazione è stata mantenuta elevata artificiosamente dall’offerta per gonfiare i ricavi delle imprese. Così come i paesi produttori di petrolio hanno deciso di ridurre i volumi per mantenere elevato il prezzo del barile, altri settori hanno spinto sul pedale dei rincari. Nel largo consumo questo fenomeno ha prodotto una riduzione dei volumi ma una crescita dei ricavi della gdo. Il risultato è che gli italiani hanno modificato i comportamenti di consumo effettuando un massiccio trading down soprattutto sulle vacanze (dati Istat) e sul carrello della spesa, per riversare il risparmiato nella ristorazione che nel 2023 è cresciuta nel fatturato più del 13% nel secondo trimestre 2023 rispetto allo stesso periodo 2022. Secondo alcuni attori del largo consumo, al termine delle tempesta inflattiva, prezzi allo scaffale non scenderanno comunque ma gli italiani avranno ormai modificato il loro approccio alla spesa e non torneranno indietro. A quel punto la battaglia si giocherà sui volumi esistenti con un mercato ancor di più competitivo. La risposta a una maggior competizione potrà venire dall’intelligenza artificiale generativa in grado di effettuare sintesi dei risultati prodotti dagli analytics e attivare in autonomia un marketing engine massimamente ottimizzato. Uno strumento per il chief revenue officer che avrà sempre più pressione per massimizzare i ricavi.

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