Donatella Prampolini: il multitasking è cosa da donne?

Imprenditrice che si fatta da sè, socia della Manzini & Co 1938, presidente di Realco, vicepresidente di ConfCommercio, moglie e madre: le vite di Donatella Prampolini raccontate per #alfemminile

Un incontro intenso e a vasto raggio con Donatella Prampolini, che, in maniera diretta, chiara e senza fronzoli, racconta la sua storia #alfemminile: da infermiera a imprenditrice, con ruoli istituzionali, essendo presidente di Realco (Sigma, D.It) e vicepresidente di ConfCommercio.

Ragionamenti a 360° tra il valore della famiglia per le imprese famigliare, i rapporti con i dipendenti, i sindacati, le istituzioni (e Federdistribuzione), le potenzialità della prossimità e quelle della distribuzione organizzata ... Quale sarà il futuro delle centrali? E come cambierà il consumatore di domani ... e negozi ... Tante domande, per intravedere nuove traiettorie e sentieri

Intervista a Donatella Prampolini, socia Manzini &Co, presidente Realco

Non conoscevo Donatella Prampolini, socia di Manzini & Co 1938, socia Sigma, presidente Realco, presidente Fida e vicepresidente di Confcommercio, ma mi è subito piaciuta: diretta, chiara, senza fronzoli. E così l’intervista, iniziata in punta di piedi nel suo ufficio, è finita nella sua bella casa tra le colline reggiane, con il marito ad aspettarci davanti ad una tavola imbandita. E Donatella ha iniziato a raccontare la sua storia: “La famiglia di mio marito ha iniziato questa attività 81 anni fa: i genitori si sposarono la vigilia di Natale del 1938 alle 6 del mattino, per andare ad aprire il negozio alle 7. Da lì tutto è cominciato. Hanno avuto 3 figli maschi e, all’ultimo della covata, mio marito, è toccato l’onere e l’onore di portare avanti l’attività. Sono passati 24 anni da quando sono arrivata io, che venivo da tutt’altra esperienza: ho lavorato per 10 anni in ospedale come infermiera al servizio Tossicodipendenze e Alcolismo; così, quando sono rimasta incinta del secondo figlio, mi hanno dovuta lasciare a casa in aspettativa perché il lavoro era fortemente a rischio. È stato lì che ho cominciato ad appassionarmi al lavoro di mio marito. Non avevo nessun tipo di studio di ragioneria, niente: ho cominciato da sola a prendere coscienza di cosa fosse fare l’imprenditore. Poi c’è stata l’occasione di prendere un secondo punto di vendita: mio marito da solo non se la sentiva, allora ho lasciato il posto “sicuro” e abbiamo deciso di provare questa avventura. E da allora non ci siamo più fermati: oggi siamo a 12 punti di vendita, ho continuato i miei studi da sola, per cercare di capire come fare il management, il controllo di gestione, i rapporti sindacali, i contratti di lavoro ... E così ho cominciato l’attività in Confcommercio: prima a livello locale fino a diventare vicepresidente nazionale e oggi ho in mano tutti i contratti di lavoro e gli enti bilaterali. Senza contare che, nel frattempo, siamo diventati un’azienda con più di 250 dipendenti, la cui gestione amministrativa è quella che vedi: siamo io, un’apprendista e una impiegata a gestire tutto.

Non ti è mai mancato l’ospedale?

Lavorare in un posto come il centro Tossicodipendenza e Alcolismo non è qualcosa che puoi fare in eterno. L’ho fatto per 10 anni e ti garantisco che lo stress emotivo è stato altissimo. Quando cominci a vedere ragazzini di 16-18 anni morire di overdose, di Hiv ... un percorso che mi ha formato tantissimo e mi ha dato un certo tipo di esperienza, ma che è stato giusto chiudere.

Siete una famiglia numerosa.

Tra me e mio marito abbiamo cinque figli. Lui ha avuto due figlie dalla prima moglie, una lavora al supermercato Sigma di Quinzio; io ho una figlia dal mio precedente matrimonio, che gestisce i punti di vendita di Piacenza, mi ha anche reso nonna da qualche mese. E poi ne abbiamo altri due insieme.

Tutti coinvolti?

Sì, i due figli più piccoli vanno ancora a scuola, uno si è diplomato quest’anno e ha scelto la via dell’informatica. La piccola fa il liceo artistico, ma vuole fare la filosofa da grande, Vedremo. Però, quando hanno compiuto 16 anni, la prima cosa che ho fatto è stata assumerli a chiamata e metterli a libro paga, così tutte le volte che gli studi glielo consentono, vanno nei punti di vendita a lavorare e lavorano anche tutta l’estate. Hanno il loro conto corrente: voglio che siano autonomi e possano togliersi le loro soddisfazioni, ma se le devono guadagnare. A me i figli di papà non sono mai piaciuti: io mi sono fatta da sola e voglio che i miei figli facciano lo stesso.

Come gestisci gli impegni?

Dico sempre che sono molto organizzata. Ci prendono in giro quando diciamo che noi donne siamo multitasking: però è la verità; siamo in grado di gestire tante cose contemporaneamente nella stessa giornata. Ho la fortuna di avere un’ottima memoria, di riuscire a passare da un argomento all’altro subito, e credo di avere la capacità di coinvolgere le persone che lavorano con me. Questo succede anche in Confcommercio: sanno che non riesco a stare là, come facevo qualche anno fa, quasi tutti i giorni; se riesco, vado una volta alla settimana perché 2-3 giorni sono a Roma. Però ognuno di loro sa che in qualsiasi momento sono reperibile, informatizzata, le comunicazioni sono immediate, cerco di dare sempre risposte in pochissimo tempo, non amo tenere le cose lì, e probabilmente sono brava a organizzarmi e archiviare.

Come è cambiata la piccola distribuzione e come si deve ancora evolvere?

Fino a qualche decennio fa, c’erano ancora rendite di posizione: essere un’eccellenza nel tuo settore non era un obbligo, innovare non era una necessità. Oggi, se non sei al passo con i tempi e non sai cogliere quello che il tuo consumatore nuovo vuole, sei fuori dal mercato. Nel nostro caso, cerchiamo di curare le relazioni e, di conseguenza, il personale, spendiamo tantissime ore in formazione, perché se le persone che lavorano con te comprendono bene l’obiettivo e dove vuole andare la tua azienda, ti danno una mano; se no, sono solo una zavorra. È fondamentale puntare sulla scelta dei prodotti e dei partner commerciali e porre attenzione alla sostenibilità ambientale. Sono cose che dicono tutti, ma noi già 10 anni fa consegnavamo a domicilio con le auto elettriche, che nessuno aveva. Secondo me, la piccola distribuzione ha una grandissima opportunità rispetto alla gdo: ha una catena di comando corta, se conosci il consumatore, decidi e cerchi immediatamente la soluzione. Certo, ci sono anche i contro: ogni negozio è diverso dall’altro, ogni assortimento è differente, l’anarchia regna sovrana ...

Un difetto, ma anche quello che ci rende così speciali, attenti alle necessità del territorio.

Qual è la tua posizione sul ruolo delle Centrali?

L’idea di un Gruppo Levante che vada al di là della semplice contrattazione con l’industria e diventi un contenitore nel quale la distribuzione organizzata trovi una casa comune è un’idea ottima. La centrale deve essere qualcosa in cui si condividono strategie, il progetto del sito per le vendite online, tutte ciò che accomuna gli imprenditori di Crai, Sigma, Sisa, Coal, ma anche quelli che -spero- entreranno nei prossimi mesi.

Confcommercio e Federdistribuzione, ti immagini una reunion?

A me è stata data, alla fine dell’anno scorso, la delega sul contratto di lavoro, che è quello che teneva uniti Federdistribuzione e Confcommercio.

Il tentativo di fare una riunione c’è, non lo nascondo; secondo me, sono maturi i tempi per rivedere qualcosa insieme.

Ovvio che Federdistribuzione si è smarcata andando a firmare un contratto di lavoro in autonomia, e questo rende il tutto un po’ più difficile, perché da un contratto di lavoro non derivano solo regole contrattuali, ma anche enti bilaterali, fondi, altro. Quindi una volta che li hai costituiti è complicato tornare indietro. Non è facile, però ci sono dei contatti aperti su tante questioni. Sulle aperture domenicali si è arrivati a un documento unitario con tutta la distribuzione, sul salario minimo si sta discutendo, potrei citare altri temi.

Un tavolo di concertazione c’è. Se mi chiedi se sono maturi i tempi per il rientro di Federdistribuzione in Confcommercio.

Ti rispondo: ancora no, però è un auspicio che abbiamo. Partiamo dalle piccole cose.

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