Intervista esclusiva a Peter Thun

Copertina – Il presidente di Thun illustra la filosofia che sta dietro la sua azienda: più etica, rispetto degli altri e onestà. (Da MARK UP 192)

Volete capire il significato di territorio? L'espressione di etica? Di sogno? Di gioia di vivere? Beh, allora dovete proprio avere pazienza e raggiungere Bolzano, previo appuntamento con Peter Thun. Vi farà vedere l'articolazione della sua azienda, del suo modo di pensare, della sua filosofia di vita e di business. È uno spaccato generoso, che stride con il modo un po' meccanico al quale siamo abituati a vivere e a lavorare. Dovete lasciare all'ingresso la frenesia, armarvi di pazienza e di una buona tisana e soprattutto ascoltare, perché sarete lontani, sin dal primo momento dell'incontro, con il business inteso come scopo fine a se stesso. Thun vi parlerà di rispetto, di regole e di etica (e di Cina e di diversità). No, no, non state andando contro corrente, ma entrando in una realtà aziendale diversa nei modi, nei prodotti e nella vision. Ne vale la pena e ne rimarrete incantati. Solo quando l'incontro sarà terminato si interromperà il sogno e la storia, costruiti con tenacia tutta alto atesina da Peter Thun. La macchina sulla quale risalirete sarà, allora, un po' pesante e l'autostrada un po' stretta.
Ma cominciamo dall'inizio, con una buona tisana calda nonostante il caldo estivo di Bolzano.

Da dove nascono i modi di vivere Thun?
Dai comportamenti, dai valori. Da come si può migliorare. Da come tendere all'ottimo e raggiungere uno scopo. Da come dare il meglio di se stessi. Sono sempre più convinto con la pubblicazione di questo corpus di valori abbiamo messo in atto una diversa consapevolezza nelle persone. Certo, dobbiamo sempre confrontarci con la vita di tutti i giorni. Prendiamo il caso dell'ambiente di lavoro: va trovato continuamente un equilibrio che consenta di lavorare e di vivere al meglio delle proprie possibilità. Nel rispetto degli altri e nel rispetto dell'ambiente che ci circonda. Insieme. Questa è la regola principale ed è poi, in fondo, la ricerca della gioia di vivere. Nel rispetto dell'etica. Non trova?

Otto regole, dunque. Ma qual è il loro presupposto?
Entriamo nella nostra filosofia aziendale: riteniamo sia necessario far rivivere l'emozione dell'infanzia attraverso i sogni, la magia e il calore, attraverso i nostri prodotti fatti a mano, la comunicazione ma soprattutto attraverso il comportamento che ci permette in questo mondo di trasformare la realtà quotidiana portando gioia a noi e agli altri. In queste poche righe di filosofia aziendale e di vita cerco di sintetizzare la comunicazione e il nostro comportamento. Proprio da questi presupposti nascono le otto regole, attraversate dal management by objective, una tecnica discussa a lungo nella business community, che noi cerchiamo di interpretare al meglio fondendola nella nostra vita aziendale e personale. Interpretata con etica, lo ripeto, porta gioia alle persone, una volta che si sono fissati prima e raggiunti poi gli obiettivi. È un atto costante di mettersi in discussione, un costante misurarsi fino al raggiungimento dell'obiettivo prefissato.

Elenchiamo allora gli otto modi di dirsi Thun…
Partono dal dare il meglio di sé che ho appena evidenziato, parlano di innovare nella tradizione, che ha fortemente caratterizzato il nostro stile e il nostro modo di vivere, dato dalla location dell'Alto Adige. Ha molte aree di miglioramento e qualche debolezza e un contesto di vita aziendale dove i valori dell'azienda e delle persone, e quindi della gioia di vivere, trovano spazio. Alto Adige vuol dire tradizione: siamo circondati da una forte cultura e da un ambiente particolare e se un'azienda in un simile contesto riesce a fare innovazione ne nasce un contrasto produttivo e innovativo contemporaneamente. Quando abbiamo pensato il disegno dell'azienda con mio fratello architetto, abbiamo convenuto di costruire un grande maso, ma era inutile perché il grande maso è in realtà l'intero Alto Adige. Allora abbiamo scelto di far entrare il visitatore dal Thunicum e poi dal Panotticum per avvolgere il visitatore e il cliente nella cultura del nostro ambiente, dell'ambiente dell'Alto Adige, fino ad arrivare al prodotto. Questo percorso, se riusciamo a trasferirlo anche all'esterno, riesce a veicolare i valori in cui crediamo e viviamo. Nel nostro sogno, appunto: innovare nella tradizione.

Un altro punto?
Sentire e trasmettere il calore nella quotidianità. Il rispetto del prossimo. Una tematica che negli ultimi anni non sempre è stata espressa appieno perché siamo stati abituati a un tasso di crescita del 30%. Abbiamo rischiato di perdere alcuni nostri valori fondanti. Il rispetto verso gli altri è quello verso i nostri collaboratori, verso i nostri clienti, la nostra forza vendita. Nella tragicità della crisi che il nostro paese sta vivendo spero che ci sia la capacità di ritornare ai valori di un tempo. Gli altri modi di essere Thun sono: come costruire una forte diversità per creare una comunità originale, superando noi stessi e confrontandoci con la natura che ci circonda. Con l'alimentazione e la vita quotidiana.

Continui pure…
Mettere al centro, veramente, il cliente e i suoi sogni, i suoi desideri. Confrontandoci ogni giorno, tutti, al di là della singola funzione aziendale svolta, con il cliente. Prima di entrare nella famiglia Thun, infatti, è indispensabile che chiunque passi almeno sei mesi nel mercato: pulire il magazzino, svuotare gli scatoloni, riempire gli scaffali, fare battute di cassa, ascoltare il cliente. A vivere le contestazioni e le emozioni del cliente. Io stesso passo il 40% del mio tempo guardando e ascoltando. E la metà in incognito per capire come viene percepito un negozio e un prodotto Thun. E poi puntare al successo, come gestirlo e come mantenerlo.

Perché questi otto modi di essere Thun non vengono presentati come regole?
All'inizio si chiamavano regole poi abbiamo optato per modi, perché non vogliamo imporre regole ma proporre uno stile di vita personale e aziendale.

Tutto ciò è impegnativo pensando soprattutto a una società civile che, mi pare, stia andando in tutt'altra direzione…
Si, ma è un modo di scegliere come comportarsi, di essere diversi, di puntare alla gioia e al sogno. Ho impiegato tre anni a stenderle perché sono convinto che sono complicate e si è facilmente aggredibili nel momento in cui si scoprono lacune, che si verificano tutti i giorni, soprattutto in un momento di difficoltà di mercato.

E questo cosa produce?
Una continua revisione del proprio comportamento e delle strategie aziendali. All'interno e all'esterno, nell'intera rete di vendita.

Posso tradurre obiettivi da lei usati in progetti?
No, dissento. Noi differenziamo tra progetti e obiettivi. Obiettivo è una meta chiara e trasparente, condivisa, identifica i mezzi che vogliamo impegnare. Un progetto è un concetto un po' fumoso. Nella descrizione dei profili di job, anche nel cda, definiamo e distinguiamo progetti da obiettivi.

Per esempio?
La Cina per noi è un progetto, non è ancora un mbo, ben definito. La penetrazione nel mercato cinese è complessa, forse a metà del prossimo anno avremo le idee più chiare su come possiamo posizionarci e da lì partiremo per raggiungere obiettivi raggiungibili e misurabili. Abbiamo un processo di mbo che inizierà ad agosto e terminerà il 22 di novembre.

Posso chiederle signor Thun quante volte non ha raggiunto degli obiettivi?
Tante volte.

Faccia un esempio, per favore.
Per il processo di internazionalizzazione del nostro brand. Abbiamo pensato di fare un copia e incolla del successo che abbiamo avuto in Italia pensando così di accorciare tempi e investimenti, ma ci siamo sbagliati.

In quali paesi?
Quasi tutti. Stiamo crescendo, abbiamo successo ma siamo lontani dal percorso effettuato in Italia.
Uno degli ostacoli principali che avete incontrato?
Il tempo che abbiamo avuto in Italia per far crescere la distribuzione. All'estero abbiamo puntato sui negozi monomarca convinti che il mono brand fosse la soluzione per veicolare i nostri valori, il nostro modo di produrre e di vendere. I nostri sono valori assolutamente intangibili. In questi abbiamo un'enorme forza ma anche una certa debolezza nel trasmettere i valori stessi. Settimana scorsa in Val Seriana, a trenta chilometri da Bergamo, dove c'è una crisi economica e sociale senza precedenti, è entrato in un nostro negozio un cliente. Ha raccontato alla commessa di essere appena stato messo in mobilità, come la moglie. Raccontava del suo futuro incerto. Ma ha anche aggiunto: voglio regalarmi un ciondolo di Thun. Ero a due passi da loro e mi sono venute le lacrime agli occhi. Questa persona aveva respirato fino in fondo i nostri valori immateriali, al di là dei 24 euro che costa mediamente un prodotto Thun. Evidentemente in quel cliente siamo riusciti a trasmette l'intero corpus dei nostri valori e della nostra gioia di vivere. Un vero successo, ben al di là della crisi che lo stava avviluppando.

Come ha fatto il cliente da Lei citato a identificare i valori di Thun?
Attraverso le tre tematiche che le ho detto all'inizio. Il prodotto ha uno stile originale, non è di moda. Noi non seguiamo il made in qualcosa ma perseguiamo il made in Thun. Il nostro stile si riconosce dalla rotondità dei prodotti, nella tridimensionalità e nella policromia e nell'espressione non naturale, tipica di un mondo fiabesco. Un nostro angelo è fatto per un terzo di testa e per altri due terzi di gonna e di corpo. Non ha niente di naturale. È, appunto, un sogno. Come qualsiasi nostro prodotto. Rappresenta calore, magia, voglia di vivere. L'altro elemento in cui probabilmente si è riconosciuto è la comunicazione. Estremamente tradizionale ma con punte di innovazione. Con tensione. Con una certa espressione stilistica, riflessa nel comportamento dei nostri collaboratori e negozianti. Per questo abbiamo creato la Thun University: per cercare la differenza. La commessa della Val Seriana riesce in questo modo a coniugare il discorso della mobilità del cliente con i valori sottesi al nostro brand.

Signor Thun: Lei sa di essere diverso dalla media degli imprenditori del nostro paese, no? Ha una visione della società e del business particolare, olistica e garbata.
Ogni imprenditore è diverso da un altro.

Certo, ma Lei sta raccontando altre cose: parla di valori, di etica, di sogni. Tutti parlano di valori, ma quasi fossero un luogo comune, un mantra da mettere in avanti, soprattutto durante un'intervista, come per esempio la sostenibilità. Anche la British Petroleum si dice azienda sostenibile, con dei valori. Eppure…
Ritengo di aver ereditato non solo una piccola attività, un brand, ma anche una lunga storia famigliare, un'eredità che dura da secoli. La nostra famiglia ha quasi mille anni di storia. Nel 1614 si contavano in Austria tre arcivescovi Thun. Il ministro dell'istruzione Leo Thun, circa cento anni fa, ha lasciato un'impronta formidabile in quel paese. Sono riscontri sociali ed economici che vivono tutt'ora anche negli otto modi di Essere Thun, li abbiamo nel dna e nella sensibilità con la quale ci muoviamo e operiamo.

Scusi se banalizzo quanto dice con questa domanda. Ricordo che siete partiti producendo stufe fatte in modo artigianale, dei pezzi unici. Come avete cambiato modello di business e addirittura avete aperto due stabilimenti in Cina?
Nel 1950 quando i miei genitori hanno approcciato la ceramica, oltre alle stufe facevamo già articoli da regalo. Le stufe rappresentavano allora il 65% del fatturato, dieci anni dopo erano scese al 35%. Abbiamo tolto la funzione d'uso agli articoli da regalo e abbiamo cambiato la nostra produzione puntando sulla tridimensionalità e la policromia, cercando di creare delle vere e proprie icone.

È stato doloroso questo nuovo equilibrio?
Certo, ma era necessario per far crescere l'azienda. La stufa era un prodotto su misura. La società, i modelli abitativi sono cambiati e le stufe sono diventate un prodotto prefabbricato. Non potevamo reggere questo nuovo mercato. Abbiamo dovuto rifugiarci in una nicchia che nel tempo è diventata sempre più marginale. Da qui la volontà di espanderci con gli attuali articoli da regalo.

Basati su precisi valori. Quando è riuscito a trovare l'equilibrio tra prodotto e valori?
Non ci siamo mai trovati nella situazione di identificare prima i valori e poi il prodotto. L'azienda è stata fondata dai miei genitori: mia madre era architetto e mio padre giurista. Quando si sono concentrati sulle produzioni come quelle attuali, fatti di artigianato tridimensionale, avevano già alla base gli attuali valori, li hanno semplicemente plasmati sui prodotti. I valori erano il loro stile di vita e di approccio agli altri e al mercato, pur provenendo da professioni estremamente diverse. Semmai le difficoltà sono iniziate successivamente. E cioè: come mantenere questi valori in un'azienda in forte espansione? È, ed è stato, un confronto continuo, giornaliero. Anche nella diversificazione come sta avvenendo oggi per l'approccio al mondo del bambino e della donna. Sempre con materiali naturali.

Devo semplificare. La comunicazione e i negozi diventano sempre più importanti per trasmettere al meglio il rapporto prodotto-valori. Se concorda: in che modo riuscite a farlo?
Dando ai negozi un concept preciso. L'attuale è superato e stiamo introducendone uno nuovo che abbiamo chiamato “Il salotto della contessa”. Affiancato dal lavoro della Thun University. Lo scorso anno abbiamo formato 400 titolari di negozio con un successo straordinario. I punti di vendita sono costantemente monitorati e seguiti nel dettaglio anche con i mistery shopper.

Fra cui anche Lei…
Non è un controllo ma è un modo per seguire in prima persona il sistema della vendita. I risultati ci confortano.

Adesso producete in due stabilimenti in Cina. Il concetto di “fatto a mano” ne esce depauperato?
Mentalmente, in parte, si. Se è prodotto in Cina il luogo comune vuole che non sia più fatto a mano ma industriale. È un errore.

Perché?
È da 20 anni che produciamo in Cina e posso dirlo serenamente: la Cina è il paese più evoluto per parlare di “fatto a mano”. Confucio e la cultura cinese hanno plasmato un cittadino molto attento ai soldi, certamente, ma anche alla qualità.

Non si direbbe…
Quando controlliamo un prodotto riusciamo a capire quasi subito il singolo lavoratore che ha realizzato quell'angelo o qualsiasi altro prodotto.

Quanti lavoratori impiegate?
Circa 4.000.

Cosa l'ha convinta a concentrare quasi tutta la produzione in quel paese?
La disponibilità delle persone. La grande dedizione a voler raggiungere insieme un obiettivo. Ci sono molti ostacoli quotidiani ma la velocità con la quale la Cina sta evolvendo mi conforta nella scelta fatta. I paesi europei hanno molto da imparare dalla Cina. La sazietà della vecchia Europa ha portato a una de-responsabilizzazione dei singoli, difficilmente colmabile. L'Europa si è addormentata sul benessere prodotto dalla sua storia, la Cina no. Lo sta ancora guadagnando duramente giorno dopo giorno.

Il negozio può vivere di segni e di comunicazione e parlare di valori intangibili. Perché c'è poca traccia di tutto questo?
Giusta osservazione. Ma stiamo recuperando il terreno perduto con il nuovo concept store “Il salotto della contessa”.

Quanto c'è di Peter Thun nel Salotto?
Non so rispondere. Vivo contemporaneamente una forte storia, un sogno e dall'altra devo confrontarmi con la razionalità e gli aspetti commerciali. Sono due momenti fortemente in conflitto.

Come li risolve?
Lasciando ad altri alcune decisioni. Ma il brand e il suo valore stanno crescendo, a dispetto di tutto.

Cosa manca al brand Thun?
Se devo essere sincero non lo so ancora. Stiamo facendo molte riflessioni al proposito e penso siamo sulla buona strada. Il successo di un marchio è fatto da molte leve. Un marchio è diverso da tutti gli altri. Noi ci posizioniamo con un prodotto assolutamente superfluo a un prezzo medio di 24 euro. Siamo bassi e presenti in circa 2.000 negozi, un'enormità. Per coprire questa rete abbiamo perso, come dicevo, alcuni valori.

Però avete imparato tanto…
Si, ma dobbiamo puntare ancor più sulla qualità e sull'affermazione dei valori connessi, magari riducendo la distribuzione di quantità qualificando rete di vendita e prodotti. La sfida è incarnata come dicevo dal “Salotto della contessa”.

E i prezzi aumenteranno?
Sono già scesi dai 64 euro del 1997 ai 24 attuali. Siamo costanti da cinque anni e probabilmente lo resteremo ancora per un po'.

Perché?
I costi di trasporto con la Cina, i salari attuali in quel paese, sono variabili difficili da preventivare. Questa può essere una variabile contro la globalizzazione, come la stiamo vivendo, o contro l'andamento delle attuali politiche commerciali.

Signor Thun perché si ostina ad usare il termine etica?
Credo che l'etica sia ben radicata nel subconscio di tutti noi, è e sarà sempre più un valore con il quale confrontarci.

La parola, il senso dell'etica non è contro un certo modo di fare mercato?
Per chi lo concepisce in modo deteriore. Ma è una regola, un regolamento che parte dal rispetto verso il prossimo con il quale dobbiamo tutti confrontarci. In alcune fasce sociali sta ritornando con prepotenza, in altre un po' meno, complice la crisi. Ma si ripresenterà anche lì. Ne stia certo.

Chi è Peter Thun
55 anni, è nato a Innsbruck, due figli, autodidatta. Imprenditore con una forte vision sociale ed economica, sportivo per senso e per amore. Sperimentatore, analista di marketing strategico e dei comportamenti di consumo. Mistery shopper per passione e per dovere. Il suo sogno: catalizzare forze economiche e sociali per costruire una nuova società, a cominciare dall'Alto Adige. One man show?

Otto modi per dirsi Thun
1. Portare gioia
2. Dare il meglio di sé
3. Innovare nella tradizione
4. Sentire calore
5. Avere rispetto degli altri
6. Condividere e differenziare
7. Essere orientati al cliente
8. Puntare al successo


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