La Csr nel real estate abita in un’economia rigenerativa

Eleonora Beatrice Fontana sustainibility specialist & senior project manager di Cushman & Wakefield
Ripensare luoghi di vita, lavoro e retail con operazioni di refurbishment capaci di ricostruire un’armonia tra persone e natura e a una sostenibilità che dura nel tempo


L’abitare del futuro sta vivendo una doppia evoluzione: da una parte le necessità di sostenibilità ambientale e dall’altra la ricerca di una dimensione sociale ancora da costruire. Nuove figure professionali, con un’ampia capacità di visione, stanno guidando una trasformazione di scenario e linguaggio, dove la narrazione è componente necessaria. Con specializzazioni che partono dall’architettura e arrivano alla filosofia del digitale, Eleonora Beatrice Fontana è una delle menti più critiche nella definizione delle logiche del nuovo abitare e di un refurbishment future-proof. Responsabile della sostenibilità del dipartimento Project & Development Services di Cushman & Wakefield, con un’esperienza trentennale nel settore Aec, nella proptech innovation e nella osservazione delle logiche della transizione ecologica, si occupa di formazione interna e applicazione strategica dell’Esg alle varie linee di servizio.

Csr e Esg nel settore immobiliare: esiste un reale equilibrio nelle tre dimensioni della sostenibilità?
Mentre il green ha avuto un suo quadro normativo cogente, la S di Esg o di Csr non è ancora nelle metriche stimolate da un mercato che le richieda in modo obbligatorio. C’è un movimento che pensa a un’economia rigenerativa e non solo estrattiva; affinché divenga effettivamente indispensabile, dovrà essere costruita una legislazione che la renda inderogabile.

Come si integra la sua figura nel percorso di innovazione sostenibile di C&W?
Ho portato il mio background in un player globale del Real Estate, che ha un’attenzione e lungimiranza di tipo glocal. In Italia, il dipartimento Project & Development Services produce servizi sostanzialmente paragonabili a quelli di un’azienda di architettura e ingegneria, amplificati e completati dall’esperienza internazionale e nazionale dei dipartimenti di Capital Market, Leasing e Design & Build. Offriamo agli investitori scenari di valorizzazione e refurbishment di edifici a 360° interpretando le loro strategie e il mercato. In questa situazione privilegiata, ho integrato la mia visione: mi occupo di sostenibilità ma sono anche molto critica nell’applicazione degli strumenti che oggi abbiamo a disposizione; ho fatto mia la capacità di parlare di “democratizzazione della sostenibilità” che deve essere intrinseca in tutti i “prodotti immobiliari” e coinvolgere classi sociali in luoghi lavorativi e residenziali diversi. È un salto culturale necessario.

Il refurbishment dei vostri uffici a Milano, è una declinazione di human retail. Qual è stato il tema guida?
Ufficio come destinazione. La cultura aziendale e tutta la nuova mappatura valoriale post covid, la “work place strategy” e un ripensamento complessivo su come progettare gli uffici, erano temi già presenti. Circostanza ha voluto che si applicasse un modello teorico ampiamente studiato, senza salti di continuità. Ecco un’idea di spazio familiare, casalingo, al servizio dell’operatività: una vera e propria seconda “casa”. Il covid è stato disruptive: ad un certo punto abbiamo svuotato le cassettiere, riconosciuto che alcune attività avrebbero potuto svolgersi da remoto e che altre ancora avrebbero necessitato di una socialità qualitativamente superiore e spazi che la potessero facilitare. La prossima sfida, su cui ci stiamo già misurando, è quella del Metaverso. Lì andremo a svolgere parte della nostra attività lavorativa, di apprendimento e scambio di informazioni ma non dovremo dimenticarci ciò che già sappiamo e che è stata la lezione del covid, ovvero la centralità delle Persone e la loro necessità di socialità ed empatia in presenza.

L’intelligenza artificiale cambierà il nostro abitare e costruire?
Qualche anno fa ho partecipato ad una start-up che proponeva la visione dell’integrazione totale di un A.I. nell’abitazione e nell’abitare. L’A.I. sarebbe divenuta una “presenza” della casa. Attraverso il monitoraggio delle attività dei suoi abitanti, l’ A.I. avrebbe potuto dare una serie di consigli affinché questi imparassero un abitare, un vivere e un comportarsi più virtuoso e rispettoso del pianeta in termini di consumi, di approcci e di atteggiamenti. Penso che questa visione sia pertinente e già abilitata dalla tecnologia presente. Non so se, culturalmente, siamo davvero pronti a pensarci nell’interazione con un’A.I. che abbiamo reso nostra “maestra” anche se il fine di fermare e invertire i comportamenti quotidiani di ciascuno è cruciale dal momento che gli attuali ci stanno portando al surriscaldamento globale e, forse, all’estinzione.

Di cosa c’è bisogno per vivere questo nuovo futuro e le conseguenti filosofie dell’abitare?
Abbiamo un forte bisogno di una nuova narrazione, che racconti come, dall’analisi dei bisogni, si possa arrivare all’educazione ad un nuovo “senso”, ad una nuova “consapevolezza” di progettazione degli spazi. Edifici nuovi, che si adatteranno al Dna delle società ma, soprattutto, alle caratteristiche di chi ci lavorerà. Non si può più proporre una semplice ristrutturazione, ma va co-creato un modo diverso di approcciare lo spazio di vita e lavoro, invitando le persone a riflettere, a farsi nuove domande. È maieutica. All’ultimo incontro del chapter del Green Building Council Italia, ho sentito parlare di “finanza educata” e di “intelligenza connettiva”: stiamo cercando e costruendo nuove parole per esprimere una realtà osservabile e già in atto. La capacità di relazione, connessione e condivisione accelera sinergie inspiegabili nel vecchio “senso” novecentesco: “finanza”, “educazione”… segno che abbiamo bisogno di innovazione culturale e di una narrazione capace di fare ordine, interpretare e dare un nuovo “senso” a quanto sta accadendo.

Qual è il punto zero, la partenza?
Spesso l’innesco è un cliente, una corporate, che nel post covid deve comprimere e ottimizzare gli spazi riducendo le spese. Il passo successivo, lato investitori, è mettere sul mercato un edificio rifunzionalizzato anche a livello urbano con caratteristiche future-proof: stiamo lavorando su spazi a obsolescenza programmata, che vanno necessariamente progettati anche per la dismissione, riducendo al minimo l’impatto ambientale. Ci sono operatori evoluti che hanno già recepito la natura della transizione ecologica in atto, capito che la tecnologia delle ristrutturazioni non è più quella di vent’anni fa e acquisito che il rifacimento di un edificio sia Leed e Green e, per quanto mi riguarda, abbia come base di partenza il Leed Platinum. Ecco l’emergere di una cultura della sostenibilità con un linguaggio e un capitale semantico diversi da quelli in cui siamo cresciuti: nuove risposte a nuove domande di questo inizio di terzo millennio, una narrazione valoriale che, dalle Persone, diventa parte della filosofia dei brand.

Come sarà l’abitare prossimo futuro?
La creazione di lavori progettati e abilitati dal digitale sarà, a mio avviso, una caratteristica fondamentale almeno di questi primi 50 anni del terzo millennio. In questo scenario, non può non cambiare anche il “modo” di abitare.

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