La distribuzione non è più moderna

Esperti – A pagarne il prezzo sono soprattutto le frange di quello che resta del commercio tradizionale e l’area non food degli iper

Nel 2004, su suggerimento di un mio collega francese visitai a Collegien (un piccolo comune della Val de Marne a una quindicina di chilometri da Parigi), un nuovo concept di ipermercato di Carrefour che conteneva molte innovazioni distributive, quasi tutte dedicate al non food e quasi tutte molto interessanti. Di questo progetto (mai applicato in tutte le sue parti) non ne ho saputo più nulla fino al 2010, quando uno analogo, il cui esito è stato quantomeno interlocutorio, ricomparve con l'insegna Planet.
Sotto la spinta della modernizzazione e innovazione di quasi tutti i segmenti merceologici del comparto, si stava invertendo il percorso di acquisizione di fette sempre crescenti di consumi non alimentari, venduti tutti sotto lo stesso tetto e proprio il confronto tra il livello di innovazione dei sistemi di vendita specializzati e quello despecializzato ne è la chiave di lettura. Il successo degli iper aveva celebrato e concluso il ciclo di modernizzazione della distribuzione che con il gigantismo delle gallerie e dei parchi commerciali ha offerto un grande palcoscenico a tutti i format del non food e ne ha capillarizzato la presenza anche fuori i centri commerciali. I venti della crisi hanno, naturalmente, colpito maggiormente i consumi non alimentari (anche le categorie base del supermercato, pulizia, persona e casa) e, specialmente nell'ultimo quinquennio, la maggior parte delle merceologie, tecnologico/innovative che hanno subito una flessione delle vendite. Ma a pagarne il prezzo sono soprattutto le frange di quello che resta del commercio tradizionale (circa il 60 per cento del comparto) e l'area non food degli iper.

Cosa è cambiato

La principale innovazione del comparto si può identificare con la nascita e la diffusione di imprese che coprono tutta la filiera di prodotto, come nel caso dei marchi dell'abbigliamento e di tutto quello che vi ruota intorno (la gamma dei cosiddetti accessori moda) e degli universi di consumo quali Ikea, che progettano, producono - la quota di produzioni in outsourcing non modifica il principio - e distribuiscono tutto ciò che vendono con il loro marchio/insegna, ottimizzando la catena del valore con tempistiche, economie di scala e tecniche di gestione che in pochi anni hanno sconvolto il posizionamento dei prezzi e i ritmi tradizionali delle stagioni e della presentazione delle collezioni.
A rafforzare la sua autonomia il sistema si è dotato del concept di centro commerciale specializzato - il factory outlet - che anche nel nome conferma la vocazione a superare l'antinomia industria/distribuzione e i conflitti e le inefficienze che comporta. Grazie alle innovazioni di sistema e all'immissione continua di prodotti innovativi, fisiologici per molte merceologie, dall'elettronica di consumo all'abbigliamento, tutto il comparto con i tempi e la forza di attrazione delle sue grandi manifestazioni - saldi, black friday, notti bianche, eventi moda ecc. - conferisce al centro città delle grandi aggregazioni metropolitane (realtà amministrativa che da noi fa fatica ad affermarsi, ma da tempo di fatto presente anche in Italia come nel resto d'Europa) un grande dinamismo e forza di attrazione.
Il centro città, non più il centro commerciale extra urbano, si trasforma in un mega centro commerciale, motore dei consumi di grandi bacini d'utenza che offre una grande segmentazione per prezzo, marca e prestazioni dell'offerta.
Chissà se la distribuzione moderna finirà con l'imitare il non food.

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