Il retail del futuro punterà sull’efficienza

ECONOMIA & ANALISI – Il fatturato dei network commerciali è da ponderare con la marginalità. Cresce l'attenzione per altre variabili di stato quali location, superficie e assortimento (da MARKUP 209)

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Uno dei parametri comunemente utilizzati per descrivere il valore di un punto di vendita è il rapporto del venduto per mq nell'anno di riferimento. Pur essendo un indicatore sommario, esprime abbastanza bene l'efficienza commerciale. La necessità di migliorare le performance di sell-out per pdv non è solo un obiettivo di crescita ma, a fronte della crisi in atto, un'ancora di sopravvivenza. È probabile che i maggiori retailer dovranno rimodellare il proprio business model in funzione della marginalità piuttosto che del fatturato in senso stretto. Se così sarà, più di un ampliamento delle reti si assisterà a un tuning dei punti di vendita e in seconda battuta di una delocalizzazione sul territorio a vantaggio di location più strategiche (operazione ben più difficile). Merita attenzione la questione efficienza: come si genera e come si misura?

Quote e quote
Lo spunto è offerto dal libro Channel Metrics del prof. Pellegrini dell'Università di Parma, già preso in considerazione sul numero scorso per affrontare la questione marginalità. Secondo le elaborazioni dell'autore i profitti della grande distribuzione prima delle tasse sono scesi da una media del 3,1% dal 2001 al 2009 a poco sotto il 2% negli ultimi due anni, mentre l'industria ha avuto performance migliori. Un elemento di complessità che emerge è correlato all'individuazione di uno o più indicatori di performance (Kpi, key performance indicator) che nell'insieme riescano a tracciare un quadro di riferimento univocamente governabile. Tuttavia, la complessità del business retail non consente di costruire un modello totalmente deterministico, in grado di simulare fedelmente il divenire degli effetti fissare le cause, ma piuttosto un sistema le cui variabili in gioco si devono misurare sul campo a fronte di azioni di trade marketing mirate. Le diverse insegne che operano sul territorio hanno business model differenti anche se appartenenti a cluster omogenei. Cluster che, superano i confini nazionali mettendo in relazione player che non sono neppure in competizione: è il caso di Tesco e Mercadona per esempio, a cui si può correlare in Italia anche Esselunga.
Le differenze tra i retailer producono performance differenti che però non dipendono solo dal modello ma anche dalla bontà dell'implementazione. Al netto di questa considerazione, appare particolarmente interessante la tabella nella pagina a seguire che mette in relazione insegne, punti di vendita e la quota di mercato ponderata. La tabella, pur essendo relativa al 2010 mette in evidenza almeno un aspetto rilevante: Esselunga con 139 punti di vendita ha una quota di mercato paragonabile a competitor con un ordine di grandezza in più di punti di vendita. Il puro dato numerico non è comunque esplicativo in quanto non ha in sé informazioni fondamentali per la sua lettura (tipo di business model, centralizzazione della gestione, format di vendita, location ecc) ma tuttavia mette in rilievo gli ampi spazi di efficientamento possibili.

Quali parametri
L'efficienza di vendita è proporzionale alla velocità delle rotazioni nel particolare ma non nel generale soprattutto in funzione del tipo di mercato trattato. In Germania, per esempio, la massima razionalizzazione degli assortimenti ha consentito ai discount di raggiungere quote esemplari ma non è detto che il format sia adeguato a ogni Paese e piazza. Così è anche possibile che prodotti a rotazione più bassa sostengano un particolare format che in un sub set assortimentale esprima elevate performance (in altre parole, lo stesso discount genera in Italia e Germania risultati diversi).
Tuttavia, per ogni ecosistema (geografia, urbanistica, cultura, reti dei vendita, viabilità ecc.) è possibile puntare sulla massimizzazione delle rotazioni sia da parte della distribuzione ma anche dell'industria; la prima attraverso un sistema di selezione dei prodotti, la seconda con una scelta ponderata dei punti di vendita a elevate prestazioni. Le tecniche di computazione sono note agli addetti ai lavori e si basano sulla valutazione di alcuni parametri oggettivi. Pellegrini individua 5 di questi indicatori per ogni punto di vendita: 1) penetrazione, 2) frequenza di visita, 3) nuclei famigliari, 4) % di acquisto, 5) scontrino medio. L'insieme dei valori relativi a questi parametri, opportunamente elaborato, consente di identificare i punti di vendita massimamente efficienti rispetto alla referenza considerata e alla categoria di appartenenza. Ciò che appare interessante, e che Pellegrini sviluppa in Channel Metrics, è la scomposizione delle quote di mercato del singolo punto di vendita per categoria, dato che può fornire informazioni importanti sui bacini di utenza.

Quale strategia?
L'incremento della copertura non si traduce in un incremento di efficienza a meno che i punti di vendita presi in considerazione abbiano un potenziale che supera quello medio in essere. Secondo l'analisi di Pellegrini, è la valutazione della scomposizione delle quote di categoria nel pdv che può fornire gli elementi di valutazione. Un altro percorso è quello di incrementare la penetrazione nei pdv trattati se lo scontrino medio e la frequenza di acquisto sono compatibili con l'obiettivo. In prima approssimazione, gli obiettivi di industria e distribuzione dovrebbero coincidere ma non sempre è così. Se gli investimenti dell'industria per forzare il mercato oltrepassano una determinata soglia, le strategie dei retailer possono essere scardinate. La questione costi è quindi centrali e sarà sviluppata nei prossimi articoli.

     
  Nel category management la chiave per incrementare le performance  
 

Per l'industria ci sono due strade per incrementare il sell out: ampliare la copertura e incrementare la penetrazione nei pdv. La collaborazione tra industria e distribuzione nel category è centrale come spiega Davide Pellegrini dell'Università di Parma.

Quale collaborazione è utile tra industria e distribuzione?
L'ottimizzazione della categoria nel punto di vendita determina dei vantaggi per tutti. Occorre però tenere in considerazione che la suddivisione delle quote implica scenari differenti.

Incidere sulla categoria può penalizzare qualche referenza.
Dipende. Per il retailer quello che conta è migliorare la produttività per metro quadrato. Nelle dinamiche di ottimizzazione, a volte non è il leader che si impone ma possono assumere rilevanza i follower con l'obiettivo del retailer di un migliore bilanciamento.

Tuttavia i costi per l'industria sono rilevanti.
Generalmente ci si basa sulla gestione sconti per intervenire a scaffale. Occorre dire, però, che la scoutistica di category è diversa da quella finalizzata a incrementare la copertura. L'incremento di quest'ultima è una strada obbligata quando il prodotto è poco distribuito e mostra ampi spazi di successo laddove è presente. Tuttavia è anche la strada più costosa, poiché implica nuovi accorsi commerciali. In ogni caso, la penetrazione rimane l'obiettivo principale dei piani di category.

 
     

Key performance indicator del pdv

per valutazione dell'aumento della copertura
   
Voci di computazione  unita'
Vendite totali nel pdv N (dato mediato) Mln €
Numero clienti/famiglie Unità x 1000
Scontrino medio
Frequenza di acquisto (n. acquisti annuo) Unità
Acquisto medio complessivo clienti (negozio N) € x 1000
Fabbisogno medio complessivo N € x 1000
Share of wallet (quota del portafoglio clienti) %
Famiglie potenziali nelle isocrone di riferimento Unità x 1000
Penetrazione media del negozio %
*Nella tabella sono indicati alcuni parametri di un punto di vendita al fine di valutarne l'inclusione nella copertura numerica. A questo primo set di parametri generali se ne aggiungono molti altri specificatamente del singolo negozio e del contesto in cui opera.
 
Fonte: Channel Metrics

Copertura dei retailer italiani
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Allegati

209_RetailBM_efficienza

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