Iva, nuove aliquote. Prossimo shock?

Dopo l’articolo 62 e la Reverse Charge (si veda Mark Up, n. 236, gennaio-febbraio 2015, pagg.12-25. ndr), è in arrivo per la distribuzione, e il settore dei consumi in generale, un altro regalino.
Nel 2016 l’Iva ordinaria passerà dal 22% a 24% e quella agevolata dal 10% al 12%; nel 2017 l’imposta ordinaria passerà ancora dal 24% al 25%, mentre quella agevolata sfiorerà il 13%; per concludere nel 2018 con l’Iva ordinaria che arriverà al 25,5%, ferma restando al 13% quella agevolata. Effetti importanti per un settore come l’alimentare che, in termini di contributo al gettito, apportano un gettito di quasi 11 miliardi di euro, esattamente 10,8 miliardi, dopo le spese per la mobilità (17,2 miliardi) e per la casa (16,8 miliardi).
In generale i prodotti che rientrano nell’aliquota al 22% apportano il 77,5% del gettito, incidenza che si riduce al 47% se restringiamo il campo alla sola distribuzione moderna. Ma non vanno dimenticati gli oltre 91 miliardi fuori campo Iva e i 40 di esenzioni. L’Iva rappresenta per lo Stato poco meno di un quarto delle entrate fiscali totali: 112.134 milioni di euro su un gettito complessivo 2013 di 423.385 milioni di euro. L’orientamento europeo in materia di politica fiscale punta a raccogliere risorse più dalle imposte indirette (come l’Iva) che da quelle dirette (per esempio Irpef e Ires). Così si spiega il focus dei Governi sull’Iva e sulla rimodulazione (verso l’alto) delle aliquote. Va detto che il Governo non ha molte alternative: non potendo aumentare le imposte dirette a causa della crisi e della disoccupazione, deve fare cassa sulla quota più certa di gettito, quella rappresentata dalle imposte indirette che ricadono in ultima analisi sui consumi, i quali sono comprimibili fino a un certo punto.
La quota minima di gettito assicurato corrisponde alla parte di reddito netto destinata ai consumi obbligati che assorbono dal 35% al 45% della retribuzione media netta. Ciò non toglie che le entrate Iva siano in calo: nel 2013 lo Stato ha incassato 3,1 miliardi di euro in meno (-2,7%). Su questo risultato non brillante pesa maggiormente la componente negativa dell’export, mentre gli scambi interni sono pressoché stabili (-0,4%), anzi, aggiunge una nota del MEF, Ministero dell’Economia e delle Finanze: “A partire dal mese di ottobre la dinamica favorevole del gettito Iva sugli scambi interni riflette anche gli effetti dell’aumento di un punto percentuale dell’aliquota ordinaria dal 21% al 22%”.

ivaDai beni di largo consumo il 15% del gettito
Come detto, la filiera alimentare italiana produce un gettito annuale di 11 miliardi di euro, vale a dire il 15% del gettito totale sui consumi. Poco più del 50% dei consumi totali delle famiglie gravita nell’aliquota del 22%; un altro 24% rientra nell’aliquota 10%.
Già da queste poche cifre s’intuisce come l’aumento delle due aliquote principali (10% e 22%) impatterebbe su almeno tre quarti della domanda italiana. Uno degli studi più dettagliati sull’Iva è il Quaderno IV di Gs1 Italy Indicod-Ecr realizzato in collaborazione con Ref-Ricerche, a cura di Donato Berardi e Fulvio Bersaretti. Nell’ambito della filiera alimentare il gettito proviene soprattutto da carni (3 miliardi di euro), gelati-dolci-drogheria (1,5 miliardi), pesce (1,1 miliardi), latte-formaggio-uova (1,0) e pane-cereali (0,9). Le preoccupazioni legate all’aumento previsto delle aliquote Iva vanno a sovrapporsi agli effetti della reverse charge, determinando una lievitazione dei costi finanziari conseguenti a un forte incremento del credito Iva, grazie al quale il Governo ammortizza in buona parte un sicuro calo dei consumi e quindi del gettito, per il meccanismo dell’inversione contabile. Questo consiste, molto in sintesi, sull’anticipazione -integrale- dell’Iva da parte del cessionario, senza i meccanismi di compensazione fra debito e credito e che coinvolge direttamente come tipologie di vendita ipermercati, supermercati e discount e tutte le organizzazioni del commercio associato verticale: (si veda Mark Up, n. 236, gennaoo-febbraio 2015, pagg.12-15, ndr).

Aumento Iva e gdo
Nel 2013 Ref Ricerche e Centro Studi Centromarca ipotizzavano, per il solo innalzamento dell’aliquota dal 21% al 22% (quella in vigore) un incremento dei prezzi pari a circa +0,1% per gli alimentari, e a +0,8% per i non alimentari; insieme totalizzerebbero un aumento di quasi il 3% nel triennio 2016-2018.
Partendo da un giro d’affari di alimentari e bevande pari a circa 78 miliardi di euro realizzato nei punti di vendita della distribuzione moderna, risultano versate, a titolo Iva, somme per 7,6 miliardi di euro. L’aliquota al 10% pesa, come gettito, 3,1 miliardi di euro, quella al 22% 3,5 miliardi su montanti rispettivamente di 34,2 miliardi e 19,8 miliardi.

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