Retail: rischio default con i consumi bloccati

ECONOMIA & ANALISI – L’ultimo rapporto di Cribis D&B sui ritardi dei pagamenti evidenzia che la distribuzione moderna sta peggiorando velocemente i tempi di pagamento. Ma la normativa non ammette tolleranze, se confermata (da MARKUP 220)

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L'ultima edizione dello studio Cribis D&B sui pagamenti della Gdo-Do mette in luce una situazione difficile. In generale, rispetto al 2010, il contesto italiano ha marcato un raddoppio dei ritardi dei pagamenti superiori ai 30 giorni. La percentuale è passata dal 5,5% all'11,1%. Nel settore del commercio al dettaglio la Gdo-Do è in coda in termini di performance e solo il 18,7% delle imprese si dimostra puntuale. In confronto al dato complessivo del Paese che vale il 45,9% di imprese puntuali, la distribuzione commerciale accusa un gap del 27,2%. I pagamenti con un ritardo oltre i 30 giorni medi hanno marcato un incremento del 5,4% rispetto al 2010 per raggiungere un complessivo del 21,8%. A livello geografico la gerarchia di merito è la solita: meglio al Nord-Est, peggio Sud e Isole.

Tre fattori

Leggendo con attenzione i dati rilasciati da Cribis D&B emerge la preoccupante velocità con cui si stanno deteriorando le performance del settore. Dal 2010 a oggi la percentuale dei soggetti che paga oltre i 30 giorni dalla scadenza prefissata è raddoppiata mentre nel confronto europeo, il settore italiano della Gdo-Do ne esce nel peggiore dei modi: all'ultimo posto per puntualità, al primo per ritardo “over 30 day”.
Secondo Cribis sono tre i fattori che spiegano il fenomeno. Un primo elemento è l'istituzionalizzazione dei ritardi dei pagamenti che li trasforma in termini contrattuali al fine di non perdere clienti: il 73,5% delle imprese è disponibile a concedere dilazioni. Ma ovviamente questo fenomeno non è sostenibile sine die. Un secondo elemento è la polarizzazione dei comportamenti: alcune imprese ritardano i pagamenti a oltranza per non fallire. Rispetto a questa dinamica è sufficiente ricordare che allo stato attuale, i fallimenti sono aumentati del 65% rispetto al 1° trimestre 2009. Inoltre il 63% degli insoluti gravi deriva da clienti con oltre 3 anni di anzianità nelle forniture, per cui da rapporti consolidati e non avventurosi. Il terzo fattore è positivo ed è il risultato da parte delle imprese nel posizionare la gestione dei pagamenti al centro della gestione finanziaria. Crescono i monitoraggi, le politiche commerciali sono più puntuali e si diffondo le procedure per il recupero del credito.

Oltre i numeri
La situazione descritta dai dati di Cribis D&B evidenzia una drammatica realtà: gli spazi di manovra sono molto, molto ridotti. La crisi finanziaria che minaccia di falcidiare la Gdo-Do difficilmente è scongiurabile in quanto richiederebbe interventi strutturali e dall'impatto anche esogeno al sistema della distribuzione commerciale. Con grande probabilità, la realtà dei fatti è molto peggiore di quanto è stato finora descritto.
Negli ultimi anni, il sistema distributivo è cresciuto malamente, incurante di almeno tre aspetti: efficienza nei processi, redditività della rete, corretta capitalizzazione. La somma di questi tre vizi è sempre stata coperta dalla consistenza dei volumi, ovvero dai consumi. Ma oggi non è più così.
Partiamo dalla questione finanziaria. Le banche sono accusate di aver chiuso i rubinetti del credito affossando l'economia reale. È vero solo in parte. Le sofferenze bancarie in Italia hanno superato a gennaio 2012 i 126 miliardi di euro con una crescita di 1,2 miliardi rispetto al mese precedente. In media ciò significa che se i soldi vengono prestati, il rischio di perderli è molto elevato. Il problema è semmai la mancanza di discrimine, l'incapacità di selezionare i soggetti finanziabili da quelli fuori mercato. Tornando alla distribuzione moderna, è risaputo che i ritardi dei pagamenti finora “imposti” ai fornitori hanno costituito la vera capitalizzazione dei retailer che con questi denari hanno spesso investito e allargato le reti. L'impossibilità di mantenere questo regime, svuota di fatto le casse. Casse che non sono rimpinguabili con il credito ordinario, neppure se le banche lo volessero. Di fatto i ritardi nei pagamenti si traducono in prestiti infruttiferi forzati che i retailer hanno ottenuto dai loro fornitori. Passando al credito ordinario occorre computare una voce di costo aggiuntiva. Tuttavia nella situazione attuale, la marginalità di un retailer oscilla tra il 2,5% e il 5%; un risultato che non sostiene il costo del credito.
Se i consumi non cresceranno e velocemente, il rischio è quello di assistere a una stagione di chiusure nella quale i punti di vendita delle reti creati senza attenzione alla marginalità puntuale, dovranno cessare l'attività, anche perché le risorse per eventuali travasi mancheranno. Ma tutto ciò significherà perdita di posti di lavoro in una spirale sempre più recessiva. Rimane quindi l'opzione di intervenire sui processi per raggiungere una maggiore efficienza. Ma non è un obiettivo banale. Si tratta di un percorso che coinvolge l'organizzazione del retailer e impatta sul “dna” del mestiere stesso. Tuttavia la volontà delle proprietà di andare in questa direzione unitamente a un adeguamento del management può dare risultati.
In ultima analisi non vi sono soluzioni che possano rimpiazzare una nuova fase di crescita. Se i consumi non ripartono, la derivata del trend di crescita non cambierà segno, qualsiasi azione endogena ai sistemi. Probabilmente non vi è la consapevolezza che senza abbattimento della pressione fiscale e dei costi dello Stato, il sistema nel suo complesso è diretto verso l'autodistruzione per implosione.

Allegati

220_Ritardi_Pagamenti

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