All’alimentare italiano servono meno cliché creativi?

Per parlare a nuovi target il food made in Italy dovrà uscire da un certo provincialismo narrativo? La risposta degli esperti e l'esempio dell'automotive

Il marchio dell'automotive made in Italy Maserati ha lanciato ad aprile 2024 un'importante campagna firmata Naïve per promuovere con forza disruptive il proprio ingresso nella nuova dimensione dell'elettrico. Il volto prescelto per promuovere questa innovazione è stato Damiano David, frontman del gruppo rock Måneskin, che, a prescindere dalle preferenze personali di ognuno, rappresenta un oggettivo e non comune successo internazionale per la musica italiana. Il film di 90 secondi ideato alla scopo punta su passione e stile travolgenti, in linea con quella che è l'anima distintiva del testimonial, ma adattandone l'immagine all'italianità sofisticata e scanzonata della Dolce Vita.

Come ben evidente anche dall'immagine della campagna riportata sopra, latex e tatuaggi sono messi al bando e la rockstar è completamente ripresentata in una perfetta "versione Maserati". C'è complessivo equilibrio tra le parti: un look & feel coerente ai valori del brand, ma che grazie al testimonial mantiene una forza e un carisma diversi da quello di un qualunque modello aitante. David è infatti riconoscibile per tutti, anche oltreconfine, e dà la sua impronta autoriale giovane e ribelle, uscendo sia dal cliché del prestito hollywoodiano, sia da quello del made in Italy tradizionale e comprensibile solo su suolo nazionale. "I Maneskin, in realtà Damiano David, funzionano perché esulando dal solito cliché del made in Italy fanno leva su immaginari più ampi e condivisi. Sono anch'essi cliché- intendiamoci- (l'archetipo del rebel, la rockstar bella e dannata) ma lo sono in modo contemporaneo, affiancando alla propria narrazione temi e immagini più ampie che mal si incastrano con il racconto dell'italianità che conosciamo e che ha prosperato, anche fuori dai nostri confini", ci spiega Ella Marciello, independent creative director e autrice di Scrittura Ribelle.

Una case history d'ispirazione per il mondo food

Parliamo di un tipo di comunicazione e promozione che, pur provenendo da altro settore, potrebbe fare da interessante ispirazione anche per il mondo dell'alimentare italiano, dove associazioni di volti e semantiche simili non si incontrano con frequenza.
"L'ambito food non è scevro dai propri stereotipi e da un certa retorica 'che coniuga innovazione e tradizione'. Il che di per sé non è un male, posto che poi ci ritroviamo con centinaia di brand narrative tutte uguali e non sapremmo riconoscere una comunicazione di marca dall'altra", continua Marciello: "Ogni settore ha i suoi codici, da cui si può più o meno divergere, e il food è di per sé uno dei più conservatori in questo senso: 'l'Italiannes', qui e all'estero è spesso percepita come vita lenta, grande attenzione al piacere, uno status desiderabile di calmo edonismo, in cui i ruoli- anche di genere- sono immutabili come la ricetta della carbonara autentica. Tutto questo è rassicurante, fa stare comodi e in ultimo vende. Se vende, qual è il problema? Beh, magari che potrebbe vendere di più agganciando altri cluster di target. Questa immagine sarà in grado di stare al passo con una società che invece cambia velocemente, così come i desiderata (anche di rappresentazione) di pubblici sempre più frammentati e consapevoli? Spesso, quello che vedo, è che a grande qualità del prodotto non corrisponde altrettanta qualità creativa".

Una riflessione che, con Cibus 2024 alle porte, ben si inserisce nel contesto degli infiniti stand del Salone internazionale dell'agroalimentare, specchio di quanto sia arduo rendersi memorabili e non lasciare una sensazione di omogeneità diffusa nel visitatore. Non solo. Il contesto è quello di italiani che si dichiarano sempre meno fedeli alle grandi marche e più aperti a nuovi brand che meglio rispondono alle loro esigenze e valori. Questo significa che le "rendite di posizione", almeno per un dato interlocutore, non fruttano più e richiedono approcci diversi anche in comunicazione. Niente di male nella comfort-zone della tradizione, o che ricorre alle (nostre) chef star (una su tutti Antonino Cannavacciuolo), ma c'è sicuramente un'audience che richiede di osare un po' di più, guardando oltre il proprio settore e i propri riferimenti standard (non è un tema solo di testimonial, ovviamente).

Secondo Daniele Cobianchi, Ceo di McCann Worldgroup Italy, "il food in Italia ha un manierismo di narrazione dal quale pochi brand riescono a fuggire. Non credo però sia una colpa. Siamo un Paese che ama la retorica e nulla è più retorico di una tavola imbandita di eccellenze italiane e di piatti che vengono passati, l’un l’altro, da commensali sorridenti. Dovremmo osare ed essere disruptive come fanno gli anglosassoni? Non credo sia necessario, e poi in Italia nessuno ha visto i Monty Python. Quello che potremmo fare è raccontare più verità con meno cliché creativi, meno bocche a rilento che masticano con godimento, meno orgasmi palatali, meno spruzzate di italianità gratuita".

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome