Aperture festive nelle città d’arte, si torna alla liberalizzazione

Urbanistica real estate & cci – Dalla Bersani (1998) all’attuale decreto legge 98/2011 il tema della discrezionalità e della deroga in materia di aperture domenicali e festive non manca di suscitare polemiche. Sul dl Confcommercio e Confesercenti: “un regalo alla grande distribuzione”(da MARKUP 202)

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Nel decreto legge 98 del 6 luglio 2011 (articolo 35) si prevede una liberalizzazione delle aperture domenicali e festive nelle città definite turistiche e/o d'arte. Il governo propone come soluzione innovativa una disciplina delle aperture festive, in vigore da 13 anni, già consolidata nel tempo, e sostiene il valore propulsivo che questo nuovo provvedimento eserciterà sullo sviluppo economico.
In realtà, già il decreto Bersani prevedeva questo meccanismo di flessibilità e/o di deroga per i comuni a vocazione turistica. È quindi ripetitivo riproporre alle Regioni l'adeguamento della propria disciplina sulle aperture nei Comuni ad economia turistica.
Nonostante ciò le Associazioni di categoria (Confcommercio e Confesercenti) hanno sollevato una vibrata protesta contro un provvedimento sbagliato nel metodo e nel merito, finalizzato, si dice a favorire solo la grande distribuzione. Il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani dice: “Avete ragione, lo modificheremo”.

Aperture e orari: il confronto è più avanzato
Regioni, comuni, associazioni di categoria, esperti e organi giurisprudenziali stanno discutendo da almeno un quinquennio se sia giusto tenere aperto tutte le domeniche, in qualsiasi luogo del paese, non solo nelle città d'arte. In tale direzione molti pronunciamenti dei Tar, del Consiglio di Stato, molte delibere regionali e comunali, molti accordi categoriali, sono stati emessi e applicati e, d'improvviso, il dibattito torna indietro di almeno 15 anni.
Il confronto nasce da un dilemma: la disciplina degli orari dei negozi al dettaglio rientra nell'ambito del commercio ed è quindi di competenza esclusiva delle Regioni o ricade nell'ambito tematico e giurisprudenziale attinente alla concorrenza, con esclusiva attribuzione statale? Con questo nuovo decreto si torna a proporre una questione che afferma un principio a livello centrale dandone mandato applicativo alle regioni, quasi fossero esclusivamente un organismo decentrato e complementare dello Stato. È come tornare agli anni '90, prima della modifica del titolo V della Costituzione che ha sancito l'autonomia legislativa delle regioni e definito le aree di competenza dell'esercizio di questa potestà.
Il decreto legge dovrebbe essere convertito in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Se fosse approvato, le regioni dovrebbero rimettere mano alla propria disciplina in materia, riaffrontando una questione già risolta e non più oggetto di conflitti tra le parti. E sul tavolo del confronto potrebbero essere posti molti altri argomenti il cui esito, con i tempi che corrono, si presenta incerto. Non dimentichiamo che in due grandi regioni del nord vige di fatto un blocco autorizzativo nel rilascio delle autorizzazioni di grandi strutture di vendita e che in una terza è in discussione un ordine del giorno, presentato dalla maggioranza, su una moratoria almeno biennale. E poi, l'espressione “in via sperimentale” vuol dire che il governo potrebbe revocarla dopo qualche mese di attuazione? Sorge il dubbio che l'indicazione contenuta nell'articolo 35 del decreto equivalga al classico sasso nello stagno per rimettere in discussione orientamenti e norme ormai consolidate e imporre un passo indietro a quel poco di cammino verso la liberalizzazione finora intrapreso.

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