Category management 4.0: lo sviluppo secondo P&G

Per il secondo anno consecutivo Procter& Gamble è riferimento primario per la gdo: non era mai successo prima. Mario Galietti interpreta i pilastri della strategia vincente (da Mark Up n. 272)

Attraverso un’importante indagine svolta dalla società indipendente Advantage Survey, la distribuzione italiana ha votato P&G quale migliore azienda del largo consumo in merito al category development/management. È il secondo anno di seguito che P&G arriva al primo posto. Non c’era mai riuscito nessuno prima. Ne parliamo con Mario Galietti, responsabile della divisione Shopper Based Design della multinazionale americana.

“Quello che dicono i clienti è che il modello di category management di P&G sia particolare ed efficiente. Noi ovviamente siamo felicissimi che lo apprezzino. La ricetta ripercorre le 8 fasi del category management, ma la differenza sta nell’usare ingredienti di qualità, nel dosarli con sapienza e nell’utilizzare gli strumenti giusti”.

Andiamo per gradi. Cominciamo dagli ingredienti di qualità?

Il primo ingrediente è la relazione di fiducia che si costruisce nel tempo con il cliente. Il category management ha ragione di esistere solo se porta valore aggiunto al distributore. Il cliente è dunque assolutamente centrale. Noi rendiamo questo aspetto concreto sintonizzandoci sugli obiettivi del partner e portando le nostre competenze. Il nostro team di category management è una squadra consolidata che opera nel mercato da tanti anni. La maggior parte delle nostre controparti ci conosce individualmente e ha fiducia nella nostra professionalità. Una fiducia basata sui risultati ottenuti dalle precedenti collaborazioni.

Questo è fondamentale e rende tutto più semplice e veloce.

Il secondo ingrediente?

È la qualità del team. Con il supporto della leadership aziendale, abbiamo costruito una squadra di talenti, molto diversi tra loro, che miscelati insieme sono in grado di esprimere grande visione strategica e al contempo un’attenzione maniacale all’esecuzione. Il team costruisce e integra competenze nell’area della trasformazione digitale, nell’omnicanalità, nei big data, nelle neuroscienze e nello stesso tempo è preparatissimo sui fondamentali del category management: cioè, nel suggerire revisioni assortimentali, planogrammazione, gestione delle soluzioni di avancassa e differenze inventariali, layout. Nessuno può infatti essere esperto di tutto. Il segreto è giocare in team dove ciascuno, con le proprie competenze aggiunge valore.

Il terzo elemento è la cultura del team. Ovviamente mutuiamo la cultura aziendale, ma ne sottolineamo ed esaltiamo alcuni elementi specifici. Tutti i membri della squadra di lavoro sono sempre più responsabilizzati a farsi promotori delle opportunità di crescita dei propri clienti e a innovare.

Cultura mediante formazione?

La formazione professionale è indispensabile ed è un criterio di valutazione della performance. Stiamo costruendo assieme un gruppo con priorità chiare, meno gerarchico nelle dinamiche quotidiane e sempre più agile e veloce a rispondere alle esigenze del mercato.

E come dosate questi ingredienti?

Abbiamo un’organizzazione che ruota intorno al cliente, con un responsabile che gestisce i progetti di tutte le categorie. Questo è fondamentale per costruire un rapporto di fiducia con i nostri partner e per conoscerne i processi interni. In caso di necessità il responsabile di cliente coinvolge nel progetto l’esperto del team della specifica opportunità (ad esempio per le differenze inventariali) o altre risorse multifunzionali come ad esempio le ricerche di mercato, l’analytics o lo shopper marketing. Se le specifiche competenze sono molto tecniche nell’area retail e non sono disponibili in azienda, allora coinvolgiamo i nostri partner esterni.

A prima vista manca l’additivo segreto ...

L’aspetto più interessante credo risieda nella forte indipendenza del team di category management dal team commerciale di P&G. Non c’è nessuna linea di riporto con il team commerciale del cliente. Inoltre quando il cliente condivide informazioni o dati considerati riservati all’interno di un progetto di category, entriamo in un regime di segregazione confidenziale dal commerciale. Questo principio, supportato dalla leadership dell’azienda e prescritto dalle nostre procedure interne, è a nostro avviso essenziale per garantire una focalizazione obiettiva sugli interessi della intera categoria e dei suoi shopper presso il cliente.

Quali strumenti utilizzate?

La competenza dei membri del team rappresenta lo strumento più importante. Tutti devono investire sulla propria preparazione per poter essere rilevanti oggi e domani.

Giocate d’anticipo?

Sì, tendiamo a farlo, per essere qualche passo avanti al mercato. Nel 2002 il vincitore del Nobel per l’economia Daniel Kahneman, ha sottolineato le possibilità fornite dall’economia comportamentale: in P&G applicavamo i principi dell’economia comportamentale al category management già dal 1994.

Oggi si parla molto di realtà virtuale applicata al category management: P&G ha cominciato ad usarla nel 2006 quando era quasi fantascienza.

Nel 2013 P&G ha inaugurato il Milan Innovation Center, un centro dotato di tecnologie all’avanguardia e disegnato per elevare la qualità delle proposte e delle possibilità di partnership con il trade mettendole al passo con le opportunità scientifiche costantemente in fase di crescita e sviluppo.

Accennava a un lavoro di team...

Oggi è tutto molto veloce. Le partnership non sono più solo una opportunità , ma una vera e propria necessità. Chi fa tutto da solo è inevitabilmente lento e sarà superato da una concorrenza più agile. In P&G sfruttiamo il nostro network che offre un apprendimento accelerato rispetto alle dinamiche e agli strumenti di trasformazione digitale applicate al retail.

Personalmente faccio parte del Global Innovation Steering Team (squadra per guidare l’innovazione globale, ndr) e alcuni manager del team locale siedono ai tavoli scientifici e associativi più importanti in sede europea o mondiale. In Italia ci stiamo aprendo sempre più all’esterno per integrare risorse intellettuali e competenze specifiche.

Esempi di come differenziate l’approccio tra le diverse categorie?

Nell’igiene orale molti sono i consumatori coinvolti ed esigenti e molti altri che non lo sono per nulla e che acquistano un paio di prodotti l’anno nella categoria. Per esempio, il 20% delle famiglie acquista lo spazzolino da denti con una frequenza superiore all’anno. Una strategia di specializzazione dell’assortimento e dell’esposizione con focus su spazzolini elettrici ricaricabili, collutori, accessori e dentifrici di alta gamma potrebbe portare a una crescita significativa delle vendite della categoria perché risponderebbe alle esigenze degli shopper esigenti, creandone continuamente di nuovi. Se poi questo viene unito a una strategia intelligente di Crm, i risultati diventano ancora più importanti. Invece una strategia assortimentale che si limiti a mediare tra le esigenze degli shopper coinvolti e non coinvolti, non può portare gli stessi risultati.

Nella cura e detergenza bucato, l’efficienza della risorsa spazio è più importante. Abbiamo quindi integrato nel category uno studio quantitativo che misuri l’elasticità dell’assortimento e dello spazio di tutti i segmenti che compongono la categoria. Offrendo agli shopper il giusto mix, le vendite in continuativo della categoria crescono. E crescono proprio i segmenti a maggiore performance e valore aggiunto come i detergenti in capsula (le cosiddette pods), gli ammorbidenti concentrati o gli additivi. Tuttavia un approccio più trasversale può generare un impatto impressionante in termini di crescita della categoria.

In che senso?

Nel chimico esistono categorie che già crescono anno su anno a un tasso di circa 15-20 punti (più o meno come il bio) e che hanno un altissimo potenziale di crescita in virtù di una penetrazione ancora relativamente bassa, ma con un’alta intenzionalità di acquisto. Noi li chiamiamo i “Power segments”. Per questi segmenti la leva prezzo è meno rilevante, mentre è determinante la visibilità a scaffale e soprattutto fuori dallo scaffale. Parliamo di profumatori per bucato, dei catturapolvere, depilazione femminile, spazzolini elettrici ricaricabili, intensivi per la cura del capello. Una strategia organica per dare visibilità a questi segmenti fornisce una garanzia assoluta di crescita incrementale nella categoria.

Qual è la più grande difficoltà nell’operare in termini di category management?

Sicuramente le barriere funzionali. Il category management evoluto deve essere integrato in una strategia omnicanale che si basi su strumenti di analitica avanzata. L’omnicanalità richiede sincronizzazione. I processi aziendali di industria e distribuzione non sono stati disegnati per poter operare in un contesto di integrazione fisica e digitale.

Dunque?

È evidente che tutte le grandi aziende dovranno attraversare un periodo di riorganizzazione interna.

Lei è responsabile del Sud Europa. Quali sono le principali differenze nel category management tra Italia, Spagna e Portogallo?

La principale differenza sta nella struttura della distribuzione. In generale, in Spagna e in Portogallo il retail è caratterizzato da un maggior livello di concentrazione e capacità di controllo delle attività a livello di negozio: questa realtà fa sì che i progetti siano più semplici da eseguire e che si possa dedicare più tempo alla cura del dettaglio. La qualità delle esecuzioni, in media, è superiore.

In Italia abbiamo un category management più evoluto e integrato nei temi di trasformazione digitali. In Sud Europa ciascun Paese impara dagli altri per ottimizzare la performance dell’intero raggruppamento geografico.

Consigli per chi volesse accelerare in quest’area?

Di cominciare solo se la leadership aziendale è assolutamente decisa a investire risorse e talenti.

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